
- 410 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La tavola fiamminga (VINTAGE)
Informazioni su questo libro
"Chi ha ucciso il cavaliere?" Un'iscrizione riemerge da un quadro fiammingo del Quattrocento. La giovane donna che l'ha riportata alla luce, Julia, si trova improvvisamente coinvolta nell'indagine mozzafiato su un misterioso omicidio irrisolto. In una Madrid insolita e sfuggente, Julia è costretta a giocare una partita mortale che prosegue da cinque secoli. Dalla penna raffinata di Pérez-Reverte un thriller colto che ha fatto scuola. "Un enigma elegante, sofisticato e perversamente intelligente" The New York Times
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Informazioni
1
I segreti del maestro Van Huys
Dio muove il giocatore, questi il pezzo. Quale Dio dietro Dio la trama ordisce?
JORGE LUIS BORGES
Una busta è un enigma che racchiude altri enigmi. Quella era grande, gonfia, di carta di Manila, con il timbro del laboratorio impresso nell’angolo inferiore sinistro. E mentre la soppesava tra le mani cercando contemporaneamente un tagliacarte tra pennelli e barattoli di colori e vernici, Julia era molto lontana dall’immaginare fino a che punto aprirla avrebbe cambiato la sua vita.
In realtà, sapeva già cosa conteneva. O, come scoprì in seguito, pensava di saperlo. Forse per questo non provò niente di speciale finché non estrasse le fotografie e le stese sul tavolo per esaminarle, vagamente sconcertata, trattenendo il fiato. Solo allora capì che La partita a scacchi sarebbe stata qualcosa di più di una semplice routine professionale. Il suo mestiere era costellato di scoperte inattese in quadri, mobili o rilegature di libri antichi. I sei anni passati a restaurare opere d’arte le avevano dato una lunga esperienza in schizzi e correzioni originali, ritocchi e restauri, e persino falsificazioni. Ma mai, fino a quel giorno, aveva rinvenuto un’iscrizione nascosta sotto gli strati di colore di un quadro: tre parole svelate dalla foto ai raggi X.
Prese il pacchetto stropicciato di sigarette senza filtro e se ne accese una, incapace di distogliere gli occhi dalle fotografie. Non c’era alcun dubbio, era tutto lì, nei positivi delle radiografie formato 30×40. Si distingueva perfettamente il piano originale del quadro, una tavola fiamminga del XV secolo, nel dettagliato disegno eseguito con il verdaccio, così come si vedevano le venature del legno e le giunture incollate dei tre pannelli di rovere che formavano il supporto dei successivi tratti, pennellate e velature che l’artista aveva steso fino a completare la sua opera. E, nella parte inferiore, quella frase nascosta che la radiografia portava alla luce con un ritardo di cinque secoli, scritta in caratteri gotici che spiccavano nitidamente sul bianco e nero della lastra:
QUIS NECAVIT EQUITEM
Julia sapeva abbastanza il latino per tradurre senza dizionario: Quis, pronome interrogativo, chi. Necavit veniva da neco, uccidere. Ed equitem era l’accusativo singolare di eques, cavaliere. Chi ha ucciso il cavaliere. Con il punto interrogativo, implicito nell’uso del quis, la frase acquisiva una certa aura di mistero:
CHI HA UCCISO IL CAVALIERE?
Era a dir poco sconcertante. Diede un lungo tiro alla sigaretta e la strinse tra le dita della destra, mentre con la sinistra riordinava le radiografie sul tavolo. Qualcuno, forse il pittore in persona, aveva inserito nel quadro una specie di indovinello, che poi aveva coperto con una mano di colore. O forse l’aveva fatto un altro, in seguito. Poteva essere accaduto in una fascia di tempo all’incirca di cinquecento anni, e l’idea fece sorridere Julia tra sé e sé. Poteva scoprire l’incognita senza troppa fatica. In fondo, era il suo lavoro.
Prese le radiografie e si alzò. La luce grigiastra che entrava dal grande lucernario del tetto spiovente illuminava direttamente il quadro, appoggiato su un cavalletto. La partita a scacchi, olio su tavola dipinto nel 1471 da Pieter Van Huys… Si fermò davanti all’immagine, osservandola a lungo. Era una scena domestica dipinta con il minuzioso realismo quattrocentesco; un interno di quelli con cui, applicando l’innovazione dell’olio, i grandi maestri fiamminghi avevano gettato le basi della pittura moderna. La scena in primo piano raffigurava due gentiluomini di mezz’età dal nobile aspetto, seduti ai due lati di una scacchiera ed evidentemente impegnati in una partita. In secondo piano, sulla destra e vicino a una finestra ogivale che incorniciava il paesaggio, una dama vestita di nero leggeva il libro che teneva in grembo. Completavano la scena i coscienziosi dettagli tipici della scuola fiamminga, registrati con una perfezione quasi maniacale: i mobili e le suppellettili, il pavimento piastrellato in bianco e nero, il motivo del tappeto, addirittura una piccola crepa nel muro e l’ombra di un minuscolo chiodo in una delle travi del soffitto. La scacchiera e i singoli pezzi erano stati eseguiti con altrettanta precisione dei lineamenti, delle mani e degli abiti dei personaggi, il cui realismo contribuiva alla straordinaria qualità del risultato finale, insieme alla luminosità dei colori, che si percepiva nonostante l’annerimento prodotto dall’ossidazione della vernice originale con il passare del tempo.
Chi ha ucciso il cavaliere. Julia guardò la radiografia che teneva in mano e poi il quadro, senza scorgere in quest’ultimo, almeno a prima vista, la benché minima traccia dell’iscrizione occulta. Neanche un esame più attento, condotto con una lente binoculare che ingrandiva ben sette volte, fornì nuovi elementi. Chiuse allora la grande persiana dell’abbaino oscurando la stanza, e avvicinò al cavalletto il treppiedi con la lampada Wood a luce nera. Puntati sui quadri, i suoi raggi ultravioletti rendevano fluorescenti i materiali, i colori e le vernici più antiche, e lasciavano scuri e opachi i più recenti, svelando restauri e ritocchi apportati in seconda battuta. Ma la luce nera rivelò solo un’uniforme superficie fluorescente che comprendeva la zona dell’iscrizione. Ciò significava che questa era stata coperta dall’autore stesso, o da altri, ma in data immediatamente successiva alla realizzazione del quadro.
Schiacciò l’interruttore della lampada per spegnerla, aprì il lucernario e la luce d’acciaio della mattina autunnale si riversò di nuovo sul cavalletto e sul quadro, rischiarando lo studio pieno zeppo di libri, le scansie con colori e pennelli, vernici e solventi, gli strumenti di ebanisteria, le cornici e gli arnesi di precisione, le sculture antiche e i bronzi, i telai, i quadri appoggiati per terra con la faccia rivolta verso la parete, il costoso tappeto persiano macchiato di pittura, e l’angolo in cui, sul comò Luigi XV, troneggiava uno stereo hi-fi circondato da pile di dischi: Dom Cherry, Mozart, Miles Davis, Satie, Lester Bowie, Michael Edges, Vivaldi… Dalla parete, uno specchio veneziano con la cornice dorata restituì a Julia la sua immagine un po’ appannata: capelli tagliati all’altezza delle spalle, leggere ombre di sonno sotto gli occhi grandi e scuri, ancora senza trucco. Attraente come una modella di Leonardo, era solito dirle César quando, come ora, lo specchio le incorniciava il volto nell’oro, anzi, più bella. E sebbene César fosse in realtà più esperto in materia di efebi che di madonne, Julia sapeva che la sua affermazione era rigorosamente vera. Anche a lei piaceva guardarsi in quello specchio dalla cornice dorata perché le dava la sensazione di trovarsi al di là di una porta magica che, attraversando il tempo e lo spazio, le restituiva la propria immagine reincarnata in una bellezza del Rinascimento italiano.
Sorrise al pensiero di César. Lo faceva sempre, fin da quando era piccola. Un sorriso affettuoso, spesso complice. Poi lasciò le radiografie sul tavolo, spense la sigaretta in un pesante posacenere di bronzo di Benlliure e si sedette alla macchina da scrivere:
La partita a scacchi:
Olio su tavola. Scuola fiamminga. Datato 1471.
Autore: Pieter Van Huys (1415-1481).
Supporto: tre pannelli fissi di rovere, calettati da finte linguette.
Dimensioni: cm 60×87. (Tre pannelli identici di 20×87).
Spessore della tavola: cm 4.
Stato di conservazione del supporto:
Non è necessario alcun tipo di raddrizzamento. Non si rilevano danni per l’azione di insetti xilofagi.
Stato di conservazione della pellicola pittorica:
Buona adesione e coesione dell’insieme stratigrafico. Non presenta alterazioni di colore. Sono presenti le crepe dell’età, ma non si rilevano protuberanze o squame.
Stato di conservazione della pellicola superficiale:
Non si notano tracce di essudazione di sali né macchie d’umidità. Cospicuo annerimento della vernice, dovuto all’ossidazione; lo strato deve essere sostituito.
In cucina la caffettiera fischiava. Julia si alzò e andò a versarsi il caffè, senza latte né zucchero. Tornò con una grande tazza in una mano, asciugandosi l’altra, umida, nel largo maglione maschile che indossava sul pigiama. Bastò una lieve pressione dell’indice perché le note del Concerto per liuto e viola d’amore di Vivaldi inondassero lo studio, insinuandosi nella luce grigia della mattina. Bevve un sorso di caffè denso e amaro che le bruciò la punta della lingua. Poi, muovendosi a piedi nudi sul tappeto, andò a sedersi per continuare a battere sulla tastiera il suo resoconto:
Ispezione UV e radiologica:
Non si rilevano modifiche importanti, pentimenti né ritocchi successivi. I raggi X scoprono un’iscrizione nascosta dell’epoca, a caratteri gotici, visibile nelle riproduzioni fotografiche allegate, non rilevabile tramite l’indagine convenzionale. Può essere scoperta senza danno per l’opera mediante la rimozione dello strato di colore che la copre.
Estrasse il foglio di carta dal rullo della macchina da scrivere, lo piegò e l’infilò in una busta, allegando due radiografie. Terminò il caffè, ancora caldo, e si accinse a fumare un’altra sigaretta. Di fronte a lei, sul cavalletto, davanti alla dama intenta nella lettura vicino alla finestra, i due giocatori continuavano una partita a scacchi che durava da cinque secoli, ritratta sulla tavola da Pieter Van Huys con un rigore così magistrale che i pezzi sembravano sporgere dal quadro, come il resto degli oggetti lì riprodotti. L’effetto realistico era tanto intenso che raggiungeva pienamente lo scopo perseguito dai vecchi maestri fiamminghi: integrare lo spettatore nella rappresentazione pittorica, convincendolo che lo spazio da cui osservava il quadro ne fosse la continuazione; come se il quadro fosse un frammento della realtà, o la realtà un frammento del quadro. Contribuivano a creare questa impressione la finestra dipinta sul lato destro della composizione, con un paesaggio esterno che si apriva al di là della scena, e uno specchio rotondo e convesso appeso al muro sulla sinistra, che rifletteva di scorcio i giocatori e la scacchiera, deformando la prospettiva dal punto di vista dello spettatore, posto al di qua della scena, e ottenendo così lo stupefacente risultato di integrare i tre piani – finestra, stanza, specchio – in un unico ambiente. Come se l’osservatore, pensò Julia, fosse riflesso tra i due giocatori, all’interno del quadro.
Si alzò avvicinandosi al cavalletto e, dopo aver incrociato le braccia, esaminò ancora a lungo il dipinto, senza muovere un muscolo tranne che per aspirare la sigaretta il cui fumo le faceva socchiudere gli occhi. Il giocatore sulla sinistra dimostrava circa trentacinque anni. Aveva i capelli castani, rasi all’altezza delle orecchie, secondo la moda medievale, il naso deciso e aquilino, e un’espressione grave e concentrata in volto. Indossava una specie di farsetto, il cui rosso vermiglio aveva resistito ammirevolmente al passare del tempo e all’ossidazione della vernice. Portava al collo il Toson d’oro e, all’altezza della spalla destra, esibiva un artistico fermaglio la cui filigrana era ritratta fin nel minimo dettaglio, compreso un impercettibile riflesso di luce nelle pietre preziose. Il personaggio appoggiava un gomito, il sinistro, e una mano, la destra, al tavolo, accanto alla scacchiera. Teneva in mano uno dei pezzi catturati: un cavallo bianco. Accanto alla testa, un’iscrizione a caratteri gotici lo identificava come FERDINANDUS OST. D.
L’altro giocatore era più magro e andava per la quarantina. Sopra la fronte ampia, tra i capelli quasi neri si notavano le finissime pennellate di bianco di piombo che gli brizzolavano le tempie. Un particolare che, rafforzato dall’espressione del volto e dalla compostezza, gli conferiva un’aria di precoce maturità. Il profilo era sereno e dignitoso, e invece di indossare sontuosi abiti di corte come l’altro portava un semplice corsetto di cuoio e, sulle spalle, intorno al collo, una goletta di acciaio lucido che gli conferiva un inequivocabile tocco militare. Chino sulla scacchiera più dell’avversario, con l’espressione di chi studia con attenzione il gioco, indifferente a quanto lo circondava, teneva le braccia incrociate sul bordo del tavolo. La sua concentrazione era tradita dalle lievi rughe verticali della fronte aggrottata. Guardava i pezzi come se presentassero un problema difficile la cui soluzione esigeva una grande attenzione. La sua iscrizione diceva RUTGIER AR. PREUX.
La dama sedeva accanto alla finestra, in disparte nello spazio interno del quadro rispetto ai giocatori, in un’accentuata prospettiva lineare che la situava in un orizzonte più alto. Il velluto nero del vestito, al cui drappeggio dava volume una sapiente quantità di velature bianche e grigie, sembrava sporgere verso il primo piano. Il realismo del vestito rivaleggiava con la scrupolosa riproduzione dell’ordito del tappeto che ne evidenziava persino il più piccolo nodo, con la stessa precisione con cui risaltavano giunture e venature delle travi del soffitto o il pavimento della sala. Piegandosi sul quadro per apprezzarne meglio i particolari, Julia sentì un brivido di ammirazione professionale. Solo un maestro come Van Huys poteva raggiungere un simile risultato con il nero di un vestito – il colore che nasce dall’assenza di colore, con il quale pochissimi avrebbero osato tanto – rendendolo così reale che si aveva quasi l’impressione di sentire la morbida carezza del velluto sullo sgabello ricoperto di cuoio lavorato.
Guardò il volto della donna. Bella e pallidissima, secondo i canoni estetici dell’epoca, con una cuffia di organza bianca sotto la quale raccoglieva sulle tempie la folta chioma bionda. Dalle ampie maniche del vestito spuntavano le braccia fasciate di damasco grigio chiaro, e mani lunghe e sottili che reggevano un libro delle ore. La luce della finestra strappava un identico scintillio metallico al lucchetto del libro e all’anello d’oro che costituiva l’unico ornamento delle mani. Teneva bassi gli occhi, che si indovinavano azzurri, con quell’aria di modesta e serena virtù che era l’espressione usuale nei ritratti femminili dell’epoca. La luce proveniva da due fonti, la finestra e lo specchio, e avvolgeva la donna nella stessa atmosfera dei due giocatori, pur mantenendola discretamente in disparte, accentuando su di lei scorci e ombre. Vicino a lei l’iscrizione BEATRIX BURG. OST. D.
Julia indietreggiò di due passi per dare al quadro uno sguardo d’insieme. Un capolavoro, indubbiamente, con tanto di documentazione prodotta dagli esperti. Quindi la quotazione all’asta di Claymore del prossimo gennaio sarebbe stata alta. Forse l’iscrizione nascosta, corredata di documentazione storica, l’avrebbe fatta salire ulteriormente: il dieci per cento sarebbe toccato a Claymore, il cinque a Menchu Roch, e il resto al proprietario, al quale però sarebbe stata fatturata una percentuale dell’un per cento relativa alle spese di assicurazione e di restauro e pulitura.
Si spogliò per infilarsi sotto la doccia lasciando la porta aperta perché la musica di Vivaldi l’accompagnasse in mezzo al vapore dell’acqua. Il restauro per la presentazione sul mercato della Partita a scacchi poteva fruttarle un discreto compenso. Pochi anni dopo aver terminato gli studi, Julia si era ormai guadagnata una solida reputazione nell’ambiente dei restauratori d’arte più richiesti da musei e antiquari. Metodica e disciplinata, nel tempo libero pittrice di qualche talento, aveva fama di affrontare ogni lavoro con un grande rispetto per l’originale, una scelta etica non sempre condivisa dai colleghi. Nella relazione spirituale difficile e spesso scomoda che si stabilisce tra un restauratore e la sua opera, nell’aspra battaglia tra la conservazione e il rinnovamento, la giovane aveva il dono di seguire sempre un principio fondamentale: un’opera d’arte non poteva mai essere restituita al suo stato originario senza grave danno. Julia riteneva che l’invecchiamento, la patina, persino certe alterazioni dei colori e delle vernici, i difetti, i ritocchi e i restauri, con il passare del tempo, diventassero parte essenziale di un’opera. Forse per questo, i quadri che passavano dalle sue mani non ne uscivano rivestiti di nuovi e insoliti colori e luci illusoriamente originali – cortigiane truccate, li definiva César –, ma sfumati con una delicatezza che integrava le impronte lasciate dal tempo nell’insieme dell’opera.
Uscì dal bagno avvolta in un accappatoio, con i capelli bagnati che le gocciolavano sulle spalle, e accese la quinta sigaretta della giornata mentre si vestiva davanti al quadro: scarpe dal tacco basso e giubbotto di pelle sulla gonna a pieghe color castagna. Poi lanciò un’occhiata soddisfatta alla propria immagine nello specchio veneziano e, volgendosi nuovamente verso i severi giocatori di scacchi, fece loro l’occhiolino, provocante, senza che nessuno dei due se ne accorgesse né alterasse la grave espressione del volto. Chi ha ucciso il cavaliere? La frase continuava a frullarle nella testa come un indovinello mentre infilava nella borsa il rapporto sul quadro e le fotografie. Quindi inserì il sistema di allarme elettronico e diede due giri di chiave alla porta blindata. Quis necavit equitem. Qualsiasi cosa fosse, doveva avere un senso. Ripeté a bassa voce le tre...
Indice dei contenuti
- Cover
- Frontespizio
- Copyright
- Dedica
- 1. I segreti del maestro Van Huys
- 2. Lucinda, Ottavio, Scaramouche
- 3. Un problema di scacchi
- 4. Il terzo giocatore
- 5. Il mistero della donna nera
- 6. Delle scacchiere e degli specchi
- 7. Chi ha ucciso il cavaliere
- 8. Il quarto giocatore
- 9. Il fossato della Porta Orientale
- 10. L’auto blu
- 11. Approssimazioni analitiche
- 12. Regina, cavallo, alfiere
- 13. Il settimo sigillo
- 14. Dialoghi da salotto
- 15. Finale di donna