L’omicidio
Voglia di ammazzare
La signora Tarantola aveva un unico difetto che la rendeva insopportabile: era perfetta o, meglio, riteneva di esserlo. Questo intollerabile vizio apparve alle figlie, in tutta la sua evidenza e in maniera via via più grave, mentre percorrevano l’adolescenza, in una fase della crescita in cui generalmente ai figli non piacciono né i propri genitori né la propria casa.
Su questo punto tutte e tre erano d’accordo e non facevano fatica a immaginare che anche la quarta avrebbe avuto la medesima percezione.
Proprio per questo bisogno di contrapposizione, erano felici di avere dei difetti e cercavano persino di sottolinearli, qualche volta addirittura se li inventavano, pur di non essere come lei che mai, nemmeno una volta, aveva sbagliato. Per mantenere questo assoluto stato di grazia, che non è proprio nemmeno agli dèi, era capace di negare l’evidenza e di cambiare i fatti con una facilità che disarmava e faceva al contempo impazzire.
Se affermava qualcosa che poi veniva smentito dai fatti, sosteneva che tutto era accaduto come aveva previsto lei, semmai erano le figlie, disattente e superficiali, che non l’avevano capita. E non serviva a nulla se tutte e tre, essendo state presenti, potevano confermare che la sua affermazione era assolutamente falsa. Anzi, si offendeva e le accusava di superficialità, quando non di una cattiveria incomprensibile nei suoi confronti, verso una madre che aveva dato la vita, tutta, per loro.
Ciò che mandava in bestia le figlie era quando esprimeva giudizi sulle loro amiche e, in particolare, su quegli amici che godevano della loro simpatia. Le bastava averli visti un attimo, magari senza che nemmeno avessero il tempo di pronunciare una parola, oppure averne sentito parlare, senza dunque alcuna esperienza diretta, per formulare un giudizio sulla loro personalità, sullo stile di vita, sulla educazione, sulla affidabilità…
Era inutile parlare con lei per l’analisi di qualche dubbio: sapeva tutto e già poteva correggerle.
Si trattava ovviamente di un tratto della sua personalità indipendente dalle circostanze: era proprio fatta così, non si accorgeva di nulla, non solo dei cambiamenti di opinione, ma neppure ammetteva mai di aver detto una bugia.
E così le figlie avevano imparato che la percezione di dire una bugia si raggiunge mettendo a confronto due affermazioni, se invece se ne cancella una, allora si annulla la possibilità stessa di rilevarla. Se una di loro, o tutte e tre insieme, le ricordavano una sua affermazione, la madre negava convinta. E le accusava di malafede, di volerla mettere in cattiva luce, sostenendo non solo di non essere caduta in quell’errore, ma che era proprio impossibile ci potesse cadere, per la sua prudenza e «se permettete, anche per la mia esperienza legata alle persone e alla loro psicologia». Da qui le derivava il diritto di interpretare e di capire nel profondo chiunque, laddove loro invece rimanevano alla superficie.
Se Claudia le ricordava i suoi studi proprio in quella materia, la conclusione era che ne aveva ancora di strada da fare, poiché la psicologia può essere menzognera se non è applicata con grande prudenza e circospezione, come faceva sempre lei. Non era facile impedire questo loro contrasto, e non bastava evitare il confronto, poiché lei aveva bisogno dell’imperfezione per rinsaldare la propria straordinaria qualità. Sarebbe troppo comodo se bastasse dividere due persone per fare sparire il conflitto. Così non è, il conflitto viene appresso, anzi, è come se si fosse attaccato, e dovunque una vada e qualunque cosa faccia, sente il fastidio e non riesce a fingere che non sia nulla… E infatti nessuna delle due riusciva a liberarsene proprio perché sentiva l’ignominia, l’assurdo di un cambiamento di posizione che diventava un’accusa.
Il conflitto, la sua intensità, la ferita alla dignità non si possono dimenticare, è come se rimanesse sempre vivo il richiamo a non accettare il sopruso, una sorta di imperativo a imporsi e a far valere la propria ragione. Diversamente si è perdenti sempre, quando si sbaglia ma anche quando si è nel giusto.
Non si deve pensare che questo fosse il clima familiare stabile, c’erano anche dei periodi neutri, durante i quali era possibile stare in stanze separate senza sentire la voglia di correre a sfogarsi o a riaffermare con maggiore impeto che la falsa era lei, la madre, e non l’una o l’altra delle figlie. Correre per sfogarsi con il rischio di perdere le staffe seguendo il bisogno di affermarsi e non di essere succube di menzogne.
Durante le fasi di tranquillità, la madre si mostrava dedita completamente a loro, disposta ad aiutarle, a dare il proprio tempo. Purché non si toccasse la questione di chi aveva ragione. In questo caso l’imperativo era che fosse lei a detenerla e che nessuno osasse attribuirle un torto. Non ammetteva mai di sbagliare, in nessun campo, in nessun momento, su nessun tema.
Non era però difficile imbattersi in qualche «Mamma, mi avevi detto», e nella risposta «Tu sei matta, mi hai frainteso, ti ho detto esattamente il contrario, ma dove hai la testa quando parlo. Siete tutte uguali, non ammettete mai di avere capito male e soprattutto non siete mai attente a quello che dico».
Non c’era verso che la madre mollasse la presa, che accettasse di riconoscere che, magari, una parola fosse uscita imprecisa. Impossibile, perché «Io sono sempre attenta e non posso sbagliare».
«Te l’avevo detto, ma non mi ascolti mai.»
«Mamma, di questa faccenda non ne abbiamo mai parlato.»
«Oh, adesso neghi l’evidenza.»
«Mamma, non era un evento prevedibile, non avevo mai pensato a questa possibilità.»
«Per me invece era scontata, te lo avevo detto, e ricordo anche perfettamente le parole: “Nel caso ti capiti e ti capiterà, stai attenta a non…” e tu hai fatto esattamente il contrario.»
«Mamma, ma cosa stai dicendo…»
«… Che non mi ascolti mai e, che se tu lo facessi, tutto sarebbe più facile, eviteresti errori e la tua vita scorrerebbe un po’ più serenamente.»
«Perché ti pare che sia così? Non è certo tutta rose e fiori, ma non mi sembra nemmeno un disastro.»
«Io vorrei vederti più tranquilla e soprattutto capace di cogliere le occasioni.»
«Appunto, le occasioni non sono prevedibili, come in questo caso: devi scegliere, lo devi fare subito, e appena hai scelto, senti che sarebbe stata meglio un’altra strada e che, anzi, scegliendo quella ne è sfumata un’altra.»
«Un’occasione d’oro, di quelle che non capitano tutti i santi giorni, ecco perché ti avevo detto, anzi, pregato, di fare attenzione e di comportarti esattamente al contrario di come è avvenuto. E hai la fortuna di avere una madre che sente le cose, semplicemente perché ti vuole bene, ma voi mi trattate come fossi una di quelle che pensano solo a se stesse e non gliene importa nulla dei figli. Io dico e tu non mi ascolti.»
«Mamma, scusami, stiamo parlando di un incontro casuale, una mia amica mi ha presentato il suo principale, lui mi ha chiesto quale fosse la mia occupazione e io gli ho risposto che stavo lavorando, anche se non è vero, almeno nel senso che il posto, come sai, non è fisso, anzi, piuttosto aleatorio e poi non mi piace. Mi sono accorta che la mia risposta era in realtà destinata alla mia amica, che si crede la Madonna Assunta in Cielo. Non volevo buttarmi giù, e così non ho tenuto conto che la domanda me l’aveva fatta lui… E lui come ha commentato? “Che peccato, avevo una occasione per lei.” E a quel punto cosa potevo fare? Cambiare registro, “Ah ma, guardi, io vengo via”, oppure “Le ho detto una cosa inesatta o del tutto falsa”, due affermazioni che lo avrebbero demotivato a mantenere quella proposta poiché avrei dimostrato di esser poco seria. Così lui ha concluso: “Peccato, la sua amica mi ha parlato tanto bene di lei”. Cosa, fra l’altro, da non credere poiché è una malalingua e non penso che spenda parole a vantaggio di qualcuno…
«Questa è la storia, cosa c’entri tu, e cosa c’entrano i tuoi consigli? Vuoi avere sempre l’ultima parola, e poi riesci in ogni caso a colpevolizzare. Sarebbe preferibile che una madre dicesse che non cade il mondo, che le occasioni si ripresenteranno e magari che quella offerta era semplicemente fasulla, un atteggiamento di quel tale per mostrarsi potente di fronte alla mia amica perché, è chiaro, vuole farsela come amante, altro che segretaria d’ufficio.»
«Le proposte si valutano, tu l’hai semplicemente buttata via… Non è possibile consolarsi, non serve, mentre è utilissimo dirti che dovresti ascoltarmi, perché io le cose le sento. E tu, come le tue sorelle, potresti vivere in santa tranquillità: basterebbe accettare i miei consigli fondati su una vita intera, su una grande esperienza. Purtroppo i giovani ritengono di non avere bisogno di nessuno, tanto le esperienze sono uniche e non sono a portata di noi vecchi… E tu, non soltanto hai perduto un’occasione, che io sento sarebbe stata la soluzione ai tuoi problemi, ma con quel comportamento sciocco hai anche rifiutato tua madre, rifiutando un suo consiglio. Il mio era un suggerimento puntuale, e così mi fai sentire inutile, una madre inutile.»
«Quando sei semplicemente perfetta. Ma ti rendi conto che non se ne può più di te? Della tua strafottenza, del tuo delirio di onnipotenza, ormai leggi il futuro, dai consigli senza parlare. Non pensi che sia il caso di farti valutare da un medico della mente? Ecco, un consiglio che ti do io stavolta: seguilo.»
A questo punto, indipendentemente da quale delle figlie fosse in gioco, si sentivano una o due porte sbattere e l’espressione: «Crepa, sarebbe ora di ammazzarti».
Per fortuna si trattava solo di intemperanze, poiché c’è un limite al comportamento, al fare, ma anche ai pensieri e ai desideri. Un conto sono le intenzioni, un conto i fatti. Purtroppo è anche vero che i desideri sovente diventano cronaca e in qualche modo la condizionano. E di questi tempi è meglio controllare persino i desideri poiché ci si ammazza che è un piacere, e anche per molto meno di un’accesa discussione.
La conseguenza pratica era che, invece di parlare del fatto, chiedendosi per esempio se fosse opportuno tentare di salvare l’offerta magari con una telefonata a quell’amica per capire meglio la proposta, insomma, invece di cercare di riprendere in mano la situazione, si parlava di lei, della madre che non era stata ascoltata e sempre si finiva con le lacrime della donna perfetta e senza macchia, forse persino vergine, pur avendo dato alla luce tre figlie, e qui certamente doveva entrarci lo Spirito Santo.
Il padre aveva ormai raggiunto nei rapporti con la moglie un’essenzialità, che gli permetteva di evitare le discussioni e di sentirsi dire che lei glielo aveva detto. «Ma con te non so mai nulla. Anche se potessi fare profezie, per te sarebbero sempre sciocchezze e osservazioni marginali. Faresti senz’altro orecchie da mercante.»
Aveva imparato a non farci caso e a contenere gli scambi verbali. Ciononostante non poteva dire che simili pretese incredibili non gli dessero fastidio. Faceva finta di nulla, ma gli rimaneva dentro una voglia di riscattarsi, di gridare, invece si limitava a urlare in silenzio, dentro di sé. E anche quando non parlavano affatto, protetti magari dalla televisione accesa o da un muso buttato dentro un piatto di minestra, gli rintronava nella testa: «Hai visto, è andata come ti avevo detto io mentre tu sostenevi che non era possibile». E lui aveva voglia di rispondere in maniera volgare dicendole che era una maniacale, una che credeva di essere sempre dalla parte della verità, che non ammetteva mai di aver sbagliato… era insopportabile, lui non ne poteva più e pertanto se ne sarebbe andato.
E invece, in nome di quel minimalismo, non se ne andava. Pur tuttavia era angosciato e sapeva che era sufficiente una sciocchezza per sentirla sentenziare… Insopportabile davvero, lei, non il tema che veniva affrontato.
Meglio sarebbe stato chiudersi l’uscio di casa dietro le spalle, andarsene e non riaprirlo più. Aveva pensato in mille occasioni di farlo, ma ogni volta subentrava un richiamo tremendo, un senso di colpa ora per le figlie, ora per la sua dignità, quella di un uomo che aveva sempre difeso la coerenza e sostenuto che i legami affettivi vanno mantenuti e non gettati nell’immondizia, poiché i contratti si rispettano.
Insomma, o per un motivo o per il suo esatto contrario, tornava anche quando era uscito con l’esplicita intenzione di andarsene per sempre. E appena riapriva la porta, lei, giuliva, a voce spiegata, ironizzava: «Avete visto, come dicevo, è tornato?». E a lui veniva da dire: “Ma come potevi saperlo, se nemmeno io ero in grado di dire come mi sarei comportato?”.
Era arrivato un giorno a inventarsi di sana pianta una storia assurda, dando sfogo a una pura fantasia. Eppure in casa l’aveva raccontata come se fosse accaduta realmente. E lei, senza nemmeno fare una piega, aveva detto che ne era già al corrente, gliene aveva parlato un’amica e la cosa non la meravigliava più di tanto, se si analizzava la situazione del mondo presente e, in particolare, della città in cui il fatto era avvenuto. E naturalmente quell’analisi l’aveva condotta lei e loro l’avevano al solito ignorata. Insomma, non solo era a conoscenza di ciò che non era accaduto, ma anche delle determinanti che l’avevano prodotto.
Quando il marito alla fine confessò d’averla presa in giro, poiché non era affatto successo, la risposta immediata e sorprendente era stata: «Lo sapevo e sono stata al gioco semplicemente per prenderti in giro avendo la certezza che tu volessi prendere in giro me. Chi la fa l’aspetti, e l’aspetti persino prima di farla».
E a questo punto tutti i discorsi vertevano sulla dimostrazione che in realtà c’era caduta poiché lui aveva detto… E subito dopo lei diceva di aver sostenuto esattamente il contrario di quanto le attribuiva il marito.
Anche se ogni parola fosse stata registrata, lei avrebbe senz’altro negato, quella non era la sua voce, e si trattava sicuramente di un trucco ai suoi danni, ordito da parte di persone che non la apprezzavano, talmente stolte da volerla a tutti i costi accusare, mentre lei era sempre disposta ad aiutare, anche se veniva trattata come una scema inascoltata.
Insomma, anche nel minimalismo reggere la perfezione, il trovarsi stabilmente nella veste di poveri esseri in errore perpetuo era veramente difficile. Proprio perché persino nel silenzio, su cui si fonda prevalentemente il minimalismo domestico, si immagina quello che potrebbe subito manifestarsi, quel gioco tragico per cui ogni affermazione viene negata e la menzogna non riconosciuta e nemmeno percepita.
Per esprimere il dramma in poche parole, il marito non tollerava l’atteggiamento della moglie, non per un puro razionalismo, ma perché gli produceva un senso di rabbia che lo portava a stare male, a sentirsi angosciato. Se solo le diceva: «Sono nervoso perché tu mi hai reso nervoso», subito si sentiva rispondere: «Io, che c’entro io, te la prendi sempre con me; io non ho fatto nulla, semmai sono quella che sopporta, costretta alla passività per sopravvivere. Sei tu che sei intrattabile».
«Guarda che se sono così è perché rispondo alle accuse, ai tuoi atteggiamenti insopportabili.»
«Non penso che la mia serenità, la chiarezza con cui mi esprimo e la mia coerenza debbano infastidire… Forse i furfanti…»
«Ti accorgi almeno di offendere?»
«Mi sono riferita ai furfanti, non necessariamente a te, e poi furfante è un termine della commedia comica, non offensivo, semmai critico, ma tu non sopporti le critiche.»
«Ma come, proprio tu affermi questo, tu che sei onnipotente e perfetta.»
«Certo non faccio gli errori grossolani che sono abituali in te.»
«Ma stai farneticando. Accennane uno, uno solo.»
Insomma eravamo già all’ingolfo delle rabbie e, se si fosse continuato così, sarebbe volato un piatto contro il soffitto e lei, serafica, avrebbe chiamato le figlie per mostrare che cosa era un incivile. Il marito diventava matto poiché era arrivato a casa con le migliori intenzioni, si era seduto a tavola e lei lo aveva subito provocato dicendogli incidentalmente: «Ma quando imparerai a stare a tavola, mangi come un porcellino».
E su quel porcellino si poteva scatenare una guerra.
Perché vale la pena di dirlo: oltre ad avere sempre ragione sullo svolgimento dei fatti, anche quelli che mai si erano presentati sulla scena del concreto, lei sola possedeva il vero gusto estetico. Lei era sempre vestita bene e gli ...