Evelina Santangelo
Anche i gatti sono in guerra
«Dài, Brindusa. Spingi.»
«Spingo, spingo. Datemi il tempo, però.»
«Avanti, Brindusa, sbrigati! Non vedi che Margareta e Stefan sono già pronti! Se non ti muovi, finisce che Stefan parte, e poi chi lo prende più, quello.»
«Uno, due...»
«Aspetta a contare, Cosmin!»
«Brindusa!»
«Un attimo! Ho un sassolino dentro la scarpa. Mi fa male.»
«Le fa male, poverina... A me fa male il sedere, a stare seduto qui!»
«E tu, Bogdan, non ci pensare» ride Cosmin, poi torna a contare. «Uno, due...»
«Ti ho detto aspetta, no?» urla Brindusa battendo a terra la scarpa. «Guardate che sasso ci avevo.»
Cosmin incrocia le braccia al petto, alza gli occhi al cielo: «Uccisa da un sassolino!» dice, la voce languida. Poi: «Adesso, Brindusa, posso contare?»
dp n="102" folio="102" ? «Adesso, sì.»
«Finalmente!»
Bogdan le lancia uno sguardo. «Sì, finalmente!» si massaggia forte il sedere, sculettando, a far ridere tutti.
«Mettiti in posizione, invece di lamentarti, scemo!» gli urla Brindusa, cercando di far la seria.
«Margareta, sei pronta?»
«Da un’ora almeno, Cosmin!»
«Allora conto davvero stavolta, chi parte parte! Uno, due, tre...» fa scattare su il braccio, l’abbassa. «Via!»
Margareta e Brindusa danno una gran spinta alle schiene di Stefan e Bogdan, che strillando precipitano giù per la discesa, mentre tutt’intorno si leva un brontolio di ruote che macinano sassi tra sbuffi di polvere. Qualche pietra batte sul fondo dei due carretti, i corpi fremono, sobbalzano, i capelli si scompigliano al vento, poi si schiacciano indietro, liberando la fronte e le guance gelate, di un rosso vivo.
«Dài, Bogdan, piega la schiena, che scendi più veloce!» L’urlo di Brindusa l’insegue giù per la discesa, mentre Margareta guarda fissa in silenzio, come a voler spingere ancora con gli occhi Stefan, che inforca la curva un attimo dopo Bogdan. Quello si gira a guardarlo, fa una boccaccia, accenna un saluto, poi torna a concentrarsi sul sentiero, che si fa ancora più ripido e, all’improvviso, butterato di tanti piccoli crateri, le pietre incastonate nella terra a mo’ di grossi denti scuri.
Bogdan sbarra gli occhi, che bruciano al vento, si asciuga con la manica del maglione la faccia impiastricciata di lacrime. Tira la cordicella del freno. Sente Stefan bestemmiare, poi il sibilo di una rotella che gli schizza a un soffio dalla testa. Scansa una buca al centro della pista, poi un gran sasso scheggiato. Fa un cenno con la mano a indicarlo a Stefan, che sterza anche lui e, con il carretto tutto piegato su un lato, continua a scapicollarsi giù fino all’albero grande, da dove Bogdan adesso, fermo e sudato, la schiena appoggiata al tronco, lo guarda, mordendosi il labbro e accompagnando con lo sguardo la sua frenata storta e il carretto, che arranca ancora un po’ sullo sterrato sino a incunearsi in una collinetta di terra calva.
«Tutto ok?»
Stefan alza gli occhi, la faccia scavata e bianca, molla il legno del manubrio. «Tutto ok» mormora guardandosi i palmi scorticati. «C’erano un mucchio di buche nuove.»
Bogdan alza le spalle, osserva le tavole scheggiate del suo carretto. «Basta saperle prendere» dice. Poi gli allunga una mano, l’aiuta a sollevarsi, sente le dita di Stefan tremare sotto le sue, allenta la presa. «Risaliamo» dice brusco, «che ci aspettano.»
«E la rotella?»
«Dev’essere lì in mezzo» indica un cespuglio sparuto. «La raccattiamo e la riavvitiamo» aggiunge. «Semplice, no?»
Stefan prende da terra la corda, comincia a tirare. «Semplice, sì» mormora soprappensiero.
Poi, a un tratto, sussultano, si girano. Vedono un nuvolone scuro levarsi in fondo alla valle ai loro piedi e montare verso il cielo bianco. «Sono quelli, vero?» sussurra Stefan affrettandosi. Bogdan dà uno strattone alla corda: «Sembra proprio di sì» dice, mentre osserva le gambe dell’amico che vanno su per la scarpata, la stoffa sdrucita dei pantaloni che freme al vento. «Sembra proprio di sì» mastica tra i denti. Poi: «Dobbiamo trovare la tua rotella» aggiunge.
«Ma ci sono quelli!»
«Ci sono quelli» torna a guardare la valle in fondo, «e allora? Dobbiamo trovarla.» S’avvia verso i cespugli.
«Ma si può sapere che avete fatto?» urla Brindusa, scostandosi con una manata i capelli dagli occhi.
Bogdan si piega a raccogliere con tutta calma un filo d’erba, che splende tra piccole chiazze di neve. «La gara» dice. Poi: «A Stefan è saltata una rotella» aggiunge, sfilandola dalla tasca. «Il tempo di trovarla.»
Stefan allunga lo sguardo verso la valle, che adesso è schiacciata sotto una coltre grigia e piatta, torna a fissare Brindusa: «La gara, sì» dice. «Ha vinto lui.»
Brindusa non l’ascolta. «Dobbiamo andare!» continua a ripetere.
E Bogdan: «L’hai sentito che ha detto Stefan? Abbiamo vinto, Brindusa!»
«Saranno già tutti via! Dobbiamo andare» l’incalza lei, mentre Bogdan adesso si guarda intorno: «Margareta e Cosmin?» domanda, masticando piano l’erba che gli invade di un sapore verde e intenso la bocca.
«Lassù, che vi aspettano. È un’ora che vi aspettiamo, scemi!»
dp n="105" folio="105" ? «Scema sarai tu» fa Bogdan, gettando a terra l’erba e tornando a trascinare per la salita il carretto, scuro in volto.
Brindusa lancia un’occhiata a Stefan: «Ma che ha?» mormora, indicando il fratello.
«Ce l’ha con quelli, credo. La pista era piena di buche» sussurra, mentre da lontano, alle loro spalle, arriva l’eco di una voce metallica, gracchiante, mescolata al guaito di una sirena che perfora l’aria.
Brindusa alza gli occhi al cielo, che è bianco e muto. «È la seconda volta che suona! Ci dobbiamo muovere!» prende per un braccio Stefan, mentre lui: «Vieni Bogdan! Dài, vieni!» ripete, tenendo stretta la corda del carretto che s’incastra di continuo, storto, tra i sassi.
Quando arrivano in cima, Margareta e Cosmin hanno occhi spersi, d’animali. «Finalmente siete arrivati!» Poi: «Dobbiamo fare in fretta!» avviano dritti verso la valle sull’altro lato della collina, seguiti da Stefan e Brindusa, le schiene rigide, che sobbalzano all’unisono non appena la sirena torna a squarciare l’aria e la voce al megafono riprende a martellare le istruzioni, incalzante.
Anche Bogdan sussulta, poi scalcia lontano un legnetto affumicato. «Ecco la cornacchia! Qua qua qua, qua qua qua.» Nessuno ride. Neanche Cosmin. Lui affretta il passo, lo raggiunge. «Ho scansato una buca grande così e anche una pietra scheggiata» sussurra. Cosmin fa sì sì con la testa, gli occhi puntati verso il villaggio, che è tutto un rimescolio sommesso di corpi.
dp n="106" folio="106" ? «Ho scansato una buca grande così» ripete Bogdan, «e ho vinto» aggiunge in fretta, lanciando uno sguardo verso Stefan, che: «Sì, ha vinto» dice, come per fargli semplicemente piacere.
«Bravo, ma adesso muoviti» lo incalza Brindusa.
E lui: «Mi sto muovendo, no?»
«Non mi va di essere rimproverata per colpa tua.»
«E chi ti trattiene!»
«Lo capisci che hanno suonato già tre volte? Dobbiamo andare, se no...»
«Se no, cosa?»
«Se no, botte orbe!»
«Cominciate a litigare voi due adesso?» fa Margareta con una voce piccola, volgendo di continuo gli occhi intorno e su, al cielo.
«Bogdan, dài, falla finita!» urla a un tratto Cosmin passandogli il braccio intorno alla spalla. «Hai vinto, bravo. Adesso andiamo.»
«Domani, però, torniamo, vero?»
«Ma se hai vinto!?» esclama Margareta, mentre Stefan: «Domani ci saranno un mucchio di buche nuove, Bogdan!»
«E noi veniamo lo stesso.»
Accucciati nella cantina, aspettano che la voce al megafono torni a gracchiare il suo liberi tutti, che il padre di Stefan si alzi e vada ad aprire la porta in fondo alle scale. È da un’ora che Bogdan la guarda, volgendo di tanto in tanto gli occhi in giro per la stanza e fermandoli ogni volta su una bava di ragno intessuta minuziosamente in un angolo tra il muro e il soffitto basso. Osserva le zampe dell’animale muoversi lente, come incollate alla sua stessa bava, che vibra elastica, senza spezzarsi, neanche quando una grossa farfalla scura sbatacchia cieca contro il muro e ci finisce in mezzo, dimenando le ali punteggiate di giallo fino a spalancarle per sempre. Bogdan si alza per vederla meglio, la voce tesa di suo padre lo richiama al suo posto. Ha solo il tempo di guardare le zampette scattare, raspare un frammento d’aria, il corpo sussultare, poi dondolare inerte tra i fili. «Usciamo da qui?» chiede. Nessuno risponde. Solo suo padre gli fa un cenno con la mano, a dirgli di sedersi e stare zitto.
Lui si mette a osservare Brindusa, che da un’ora gioca a intrecciare e liberare le dita, Cosmin e Stefan, seduti vicini e impegnati in una schermaglia di piccoli pugni sui fianchi, un riso muto a deformargli i volti, mentre il padre di Cosmin: «Ma la volete finire!» continua a mormorare, fumando. Bogdan lascia scorrere ancora lo sguardo verso Roman e Razvan, che lanciano piano sassolini con gesti meccanici, come cercando di superare una linea immaginaria tracciata sul pavimento, mentre Nora e Ileana ripetono quel loro gioco con l’elastico, che si tende a ogni nuova mossa, poi sfilano via le dita incastrate, disfano la rete, ricominciano da capo.
Margareta se ne sta immobile nel suo quadratino a filare in silenzio un pensiero. Poi, a un tratto, s’allunga verso di lui, lo chiama piano. «Hai vinto davvero?» gli chiede sottovoce. Bogdan abbassa la testa. «Tuo fratello si è perso una rotella...» mormora, «c’erano un mucchio di pietre...» Con la coda dell’occhio s’accorge che Stefan e Cosmin adesso lo stanno guardando. «Non ho vinto davvero» aggiunge. «Domani però... lo lascio un metro indietro» bisbiglia. Margareta sorride: «Allora, non abbiamo proprio perso perso, io e Stefan» esclama, trattenendo la voce. «Domani perdete sicuro» fa Bogdan, e quando Margareta sussurra: «Vedremo!» con un tono di sfida, si lascia scivolare beato contro il muro. Poi torna a osservare la tela, che è di nuovo immobile e vuota. Il ragno acquattato al centro, un sasso nero, in attesa.
L’indomani, al pomeriggio, s’incontrano dietro al casolare delle rose selvatiche, appena fuori il villaggio. Ci sono anche Razvan e Roman, Ileana e Nora. Bogdan tira fuori dalla tasca cacciavite e rotella. «La metto a posto in un attimo» dice.
«L’ha rubato» fa Brindusa, «dalla cassetta degli attrezzi.» Si mette a sedere su un masso a braccia conserte.
Bogdan le lancia uno sguardo: «L’ho solo preso in prestito». Tira su le maniche del maglione per non sporcarle. «E smettila con quell’aria da mammina» sbotta, sollevando su un fianco il carretto. «Cosmin e Stefan, vi decidete a darmi una mano!»
Stefan rimane fermo accanto a Margareta, che: «Bisognava aggiustarlo in un modo o nell’altro» dice. Poi: «Magari stavolta vinciamo» dà un pugnetto sul braccio al fratello che non ne vuole sapere di tornare lassù. «Ci sono un sacco di buche» continua a ripetere. «E noi le scansiamo» fa Bogdan tutto concentrato a dare un ultimo giro di vite.
«La fai facile tu!»
dp n="109" folio="109" ? Bogdan molla giù il carretto, gli si pianta davanti: «Dobbiamo finire la gara» fa con la voce incredibilmente seria, guarda Margareta, e lei: «Ha ragione Bogdan» sussurra. «E poi, e poi la pista è nostra, l’abbiamo trovata noi» aggiunge, cercando gli occhi di tutti, che annuiscono incerti.
«E se arrivano quelli?»
«Gli diciamo che è nostra» ripete Roman, allargando un sorriso sdentato sulla faccia piccola, spruzzata di lentiggini arancio. «Gli diciamo che non si rompe la roba degli altri» gli fa eco Razvan, asciugandosi con il pugnetto un filo di muco che gli cola dal naso. «Sì, mamma lo dice sempre che è una cosa brutta litigare» mormora timida Ileana, guardando la sorella, che: «Io non le rompo mai le cose» dice come a giustificarsi. «Non lo faccio apposta, quando le rompo...»
Brindusa salta giù dal masso. «Stupidate» sbotta. «Se lo sanno i grandi, ci fanno lividi» dice. «Ha ragione Stefan. È da pazzi andare lassù» indica la collina, che riposa sotto un cielo incredibilmente azzurro.
«I grandi... sanno solo lamentarsi» interviene Cosmin.
«I grandi non c’entrano con la nostra gara! Non ne capiscono niente di gare!» fa Bogdan.
«Sì, sanno solo starsene lì chiusi a dire: “Silenzio! Buoni!”»
«Margareta!»
«È così, Stefan!»
«Io e Razvan ci secchiamo a stare lì dentro a far niente!»
«Roman, bisogna stare lì dentro, quando arrivano quelli...» esclama Brindusa.
dp n="110" folio="110" ? «E perché?»
«Perché, se no, puoi morire, capito?»
Roman e Razvan piegano il capo su una spalla, la guardano. «Non è vero» dicono con la voce che sa di pianto.
Brindusa fa un gesto d’impazienza con la mano. «Oooh, chiedetelo a vostra madre perché bisogna stare lì dentro!»
Margareta smuove per un po’ un mucchietto di terra con la punta del piede, si gira a cercare il viso del fratello: «Senti, Stefan, facciamo la gara e ce ne torniamo a casa. In tempo, ecco» sussurra.
«In tempo per cosa?» l’incalza Brindusa.
«In tempo... per non prenderle di santa ragione.» Guarda Stefan: «Eravamo d’accordo, no?»
Stefan abbassa la testa. «E facciamola, ’sta gara, ma in fretta.»
«Chi vince vince!» esclama Cosmin schioccando le dita.
«Chi vince vince» gli fa eco Bogdan. Poi solleva la corda del carretto e la porge a Stefan, come a stringergli in un gesto leale d’intesa la mano.
Arrivano sulla sommità della collina sudati per la gran corsa. Margareta e Brindusa con in braccio Ileana e Nora, che se la ridono imitando il frusciare del vento, le fanno impazzire dimenando le mani e le teste. Roman e Razvan chini sui carretti, ad aiutare Stefan e Bogdan, i piedi che affondano nella terra e le mani aggrappate ai bordi. E: «Su, su! ancora uno sforzo!» le voci atteggiate ad adulti, mentre Cosmin con una canna in mano segna il passo, snocciolando battute che fanno arrossire le ragazze, storcono i musi dei più piccoli, che si lanciano sguardi interrogativi, poi ridono anche loro, così, per non esser da meno. Sgranano gli occhi quando scorgono ai loro piedi la pista che scende a precipizio verso la valle, incuneandosi tra ...