
- 384 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
La sala rossa
Informazioni su questo libro
In un pomeriggio di maggio, il giovane Arvid Falk osserva, da un'altura, Stoccolma ai suoi piedi e scaglia la sua sfida contro la città , febbrile di traffici, manovre militari, animata dall'esercito del proletariato. La sua esperienza e quella di tutta una generazione d'intellettuali s'incontrano fino a creare un'opera quasi corale, un affresco che sottolinea, con spregiudicata modernità , la dissoluzione dei sentimenti e delle certezze del mondo ottocentesco, il coagularsi delle spinte romantiche anarchiche, l'aprirsi delle prspettive dello scientismo, dello scetticismo e del nichilismo.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La sala rossa di August Strindberg in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Print ISBN
9788817165891eBook ISBN
9788858656945LA SALA ROSSA
dp n="40" folio="40" ? dp n="41" folio="41" ?Rien n’est si désagréable
que d’être pendu obscurément.
que d’être pendu obscurément.
Voltaire
dp n="42" folio="42" ? dp n="43" folio="43" ? 1
STOCCOLMA A VOLO D’UCCELLO
Era un pomeriggio dei primi di maggio. Il piccolo giardino, su a Mosebacke, non era stato ancora aperto al pubblico, né le aiuole erano state sarchiate: i bucaneve erano riusciti a farsi largo tra i mucchi di foglie dell’anno precedente e stavano ora per concludere la loro breve vita e lasciar posto ai delicati fiori di croco rifugiatisi sotto uno sterile pero. I lillà aspettavano il vento del sud per fiorire, ma già i tigli offrivano, con le gemme non ancora dischiuse, filtri d’amore ai fringuelli che avevano cominciato a costruire, fra tronco e ramo, i loro nidi di lichene. Ancora nessun piede umano aveva calcato i sentieri di ghiaia da quando la neve dell’ultimo inverno s’era disciolta, sicché là dentro animali e fiori vivevano indisturbati. I passeri erano intenti a radunare rifiuti che poi nascondevano sotto le tegole dell’Istituto Nautico: raccoglievano frantumi d’involucri di razzi dei fuochi dell’ultimo autunno e racimolavano la paglia caduta dagli alberelli che l’anno prima erano usciti dal vivaio di Rosendal. Tutto avvistavano! Nei pergolati rinvenivano brindelli di garza e, tra le schegge dei piedi d’una panchina, riuscivano a tirar fuori ciuffi di peli di cani che, dal giorno di San Giuseppe dell’anno precedente, non s’erano più azzuffati lì dentro. Gran movimento c’era e animazione!
Il sole intanto sovrastava Liljeholm e riversava fasci di raggi a oriente. Attraversate le fumate che si levavano da Bergsun, questi s’affrettavano di là da Riddarfjärd, s’arrampicavano fin sulla croce della chiesa di Riddarholm, si rifrangevano sul tetto scosceso della chiesa tedesca, giocavano con le bandiere dei battelli ormeggiati a Skeppsbro, infiammavano le finestre della dogana marittima, illuminavano i boschi di Lidingö per andar poi a tingere di rosa una nuvola, lontano, laggiù sulla distesa del mare. E da quella parte giunse il vento, rifacendo all’inverso la stessa strada, attraverso Vaxholm, rasente la fortezza e la dogana, costeggiando l’isola di Sikla. Da dietro Hästholm s’affacciò a dare una sbirciatina alle casette estive, poi via di nuovo, continuò penetrando in Danvik per precipitarsi ancora innanzi, impaurito, lungo la spiaggia meridionale. Si mescolò all’odore di carbone, catrame e olio di balena, urtò contro Stadsgord, s’inerpicò su per Mosebacke, s’ingolfò nel giardino e picchiò contro una finestra. In quello stesso istante, la finestra venne aperta da una fantesca che aveva appena strappato la striscia di cimosa dai doppi vetri: un odore sgradevole di fritto, sedimenti di birra, stipa d’abete e segatura, si precipitò fuori e venne portato via dal vento che ora, mentre la fantesca aspirava l’aria fresca, ebbe cura di trascinare via la cimosa, cosparsa com’era di pagliuzze, coccole, petali di rose, e d’iniziare lungo i viali una sarabanda alla quale presto presero parte i fringuelli e i passeri allorché videro le proprie preoccupazioni per l’erigendo nido in gran parte disperse.
Intanto la fantesca continuava il lavoro alla doppia finestra finché, dopo pochi minuti, la porta sulla veranda s’aprì e un giovanotto, vestito con semplicità ma elegante, s’inoltrò nel giardino. Nulla di particolare mostrava il suo viso, ma lo sguardo tradiva angustia e preoccupazione, che tuttavia svanirono non appena, uscito dall’augusto tinello, si trovò dinanzi l’ampio orizzonte. Si volse dalla parte del vento, abbottonò il soprabito e trasse alcuni profondi respiri, che parvero sollevargli petto e animo. Quindi cominciò a passeggiare su e giù lungo lo steccato che separava il giardino dai declivi che scendevano al mare.
Lontano, sotto di lui, rombava la città risvegliata: i verricelli a vapore vorticavano giù alle calate, crepitavano le sbarre sulla pesa del ferro, i fischietti dei guardiani delle chiuse stridevano, i battelli presso Skeppsbro fumavano, gli omnibus di Kungsback traballavano rumorosi tra le buche del selciato. Baccano e vocìo dal mercato del pesce, vele e bandiere che fileggiavano al largo sui flutti, gridi di gabbiani, suoni di corno da Skeppsholm e di trombe dalla piazza Södermalm, pestecciar di zoccoli di operai da Glasbruksgata: tutto dava un’impressione di vita e di movimento che parve ridestare l’energia del giovanotto.
Ora infatti il viso gli assunse un’espressione di sfida, di desiderio di vita e di risolutezza. E allorché si piegò sulla barriera e guardò giù verso la città ai suoi piedi, parve quasi che squadrasse un nemico: le narici gli si dilatarono, gli occhi fiammeggiarono e lui sollevò il pugno chiuso, quasi a sfidare la povera città . O a minacciarla.
In quel momento suonarono le sette alla chiesa di Santa Caterina, a cui tenne dietro quella di Santa Maria con la sua voce di soprano ipocondriaco. Quindi la basilica e, infine, la chiesa tedesca incalzarono coi propri bassi; e ben presto l’aria tutta vibrò al suono dei sette rintocchi di tutte le campane della città . Ma quando tacquero, l’una dopo l’altra, ancora s’udì l’ultima, in lontananza, annunciare serena il vespro; aveva un tono più alto, un suono più puro e un ritmo più affrettato delle altre: in effetti, è questo il suo rintocco. Il giovanotto rimase in ascolto cercando di scoprire da che parte giungesse quel suono: sembrava infatti che gli ridestasse dei ricordi. Poi una lieve espressione d’angoscia gli trascorse sul viso, come su quello d’un bimbo che si senta improvvisamente solo. E solo era, perché il padre e la madre giacevano laggiù, nel cimitero di Santa Chiara, da dove ancora giungeva quel rintocco. Ed era altresì un bambino, perché ancora credeva a tutto, alla verità come alle favole.
La campana di Santa Chiara tacque, e lui fu riscosso dai suoi pensieri da un suono di passi sulla ghiaia del viale. Dalla veranda veniva verso di lui un ometto dalle grandi fedine e con occhiali che parevano inforcati più a protezione degli sguardi che degli occhi; una bocca maligna, capace comunque d’assumere un’espressione cordiale, se non benevola; il cappello mezzo schiacciato, il soprabito lindo con alcuni bottoni mancanti, i calzoni alla saltafossi, l’incedere che rivela la sicurezza e, a un tempo, timidezza. Dal vago aspetto di costui era impossibile stabilirne la condizione sociale e l’età : poteva essere un artigiano come un impiegato e apparentemente la sua età poteva essere tra i ventinove e i quarantacinque anni. In quel momento parve lusingato di trovarsi di fronte il giovanotto: levò a un’altezza insolita il cappello sformato e sfoggiò un cordialissimo sorriso.
– Il signor consigliere ha forse aspettato molto?
– Nemmeno un minuto: le sette sono appena suonate. La ringrazio d’esser stato tanto gentile da venire. Devo infatti confessare che quest’incontro è della massima importanza per me: riguarda molto da vicino il mio avvenire, signor Struve.
– Oh, via!
Per un attimo, il signor Struve batté le palpebre; s’era infatti aspettato solo un invito a toddy, e era molto poco disposto a un colloquio serio, avendo per questo i suoi buoni motivi.
– Potremo chiacchierare meglio, – proseguì il consigliere, – seduti qui fuori a bere un toddy: se lei non ha nulla in contrario.
Il signor Struve si carezzò la fedina destra e, per cautela, si calcò il cappello, ringraziando per l’offerta; ma era chiaramente inquieto.
– Anzitutto, devo pregarla di non chiamarmi più consigliere, – riprese il giovanotto, – perché non sono mai stato consigliere ma soltanto applicato straordinario. Inoltre, da oggi ho cessato d’essere anche questo: ora sono solo il signor Falk.
– Come? – Dall’espressione del signor Struve si sarebbe detto che avesse perduto un amico prezioso, tuttavia continuò a mostrarsi premuroso. – Lei che è un uomo di idee liberali...
Cercava di guadagnare tempo per orientarsi, ma Falk proseguì:
– L’ho mandata a chiamare nella sua qualità di collaboratore al foglio liberale Il cappuccio rosso.
– La prego, sono un collaboratore così poco importante...
– Ho letto i suoi entusiasmanti articoli sulla questione operaia e su tutte le altre che ci stanno a cuore: ormai siamo giunti al nostro terzo anno, perché è il terzo anno che la nuova rappresentanza siede in parlamento, e presto dovremmo vedere realizzate tutte le nostre speranze. Ho letto le sue eccellenti biografie dei principali uomini politici sull’Amico del contadino. Uomini venuti dal popolo, che hanno potuto porre in atto ciò che da tempo avevano in animo. Lei è un progressista, e io la stimo!
Struve, il cui sguardo a quelle parole infiammate s’era spento piuttosto che accendersi, accolse con soddisfazione quella digressione, e prese la parola con ardore:
– Posso dire che odo con vera gioia un tale riconoscimento da parte di un giovane di riguardo come il signor consigliere. Ma d’altro canto, perché dovremmo discutere di argomenti gravi, per non dire malinconici, qui a contatto con la bellezza della natura, nel nostro primo giorno di primavera, quando tutto è in germoglio e il sole dispensa il suo calore su tutta la natura? Abbandoniamo ogni pensiero e vuotiamo in pace il bicchiere. Mi perdoni, ma credo d’essere più anziano come studente... e perciò... mi permetto di proporre...
dp n="48" folio="48" ? Falk, ch’era partito come una selce contro l’acciaio, comprese d’essersi invece imbattuto nel legno. Accolse l’offerta senza entusiasmo, e lì dunque rimasero seduti i due nuovi colleghi, senza aver null’altro da scambiarsi se non il disappunto che traspariva dai volti.
– Accennavo poc’anzi al collega, – incominciò a dire Falk, – che oggi l’ho rotta col passato, rinunciando alla carriera di funzionario. Adesso voglio solo aggiungere che intendo darmi alla letteratura.
– Alla letteratura? E perché mai? Ma è un peccato!
– Non è un peccato. Ora però vorrei chiedere se il collega sa dove potrò ottenere del lavoro.
– Be’, in verità è difficile dirlo: c’è tanta gente che viene da ogni parte. Ma tu non badarci. È un vero peccato che debba ritirarti: è una carriera difficile quella del letterato.
Sembrò che Struve lo giudicasse davvero un peccato, tuttavia non riuscì a nascondere un certo piacere per aver trovato dopotutto un compagno di sventura.
– Ma almeno, – continuò, – dimmi la ragione per cui abbandoni una carriera che conferisce onore e potere.
– Onore per quelli che si sono impadroniti del potere e potere per i senza scrupoli!
– Storie! Di questo non c’è pericolo!
– No? Bene, allora parliamo di qualcos’altro. Ti farò un quadro d’uno dei sei uffici in cui sono stato impiegato. I primi cinque li lasciai immediatamente per l’ovvia ragione che non c’era lavoro; ogni volta che andavo a chiedere se c’era qualcosa da fare, la risposta era sempre la stessa: «No». E nemmeno ho mai visto nessuno fare qualcosa. Eppure appartenevo a uffici di responsabilità , come l’Ente per la distillazione degli alcoli, la segreteria dell’Ufficio Imposte e la Direzione Generale delle Pensioni dei Funzionari Civili. Sicché, quando vidi quella gran massa di funzionari, accalcati gli uni sugli altri, immaginai che in un ufficio che doveva provvedere al pagamento di tutti quegli stipendi qualcosa ci fosse pure da fare: passai così all’Ente per il Pagamento degli stipendi dei funzionari civili.
– Sei stato in quell’ufficio? – chiese Struve, che cominciava a interessarsi.
– Sì. Non potrò mai dimenticare la grande impressione che mi procurò l’entrata in questa complessa e organizzata amministrazione. Ci andai alle undici di mattina; in portineria c’erano due giovani uscieri, curvi su un tavolo a leggere La patria.
– La patria?
Struve, che finora era stato tutto intento a gettare zucchero ai passeri, drizzò le orecchie.
– Sì. Diedi il buongiorno: un vago, serpentesco movimento delle schiene di quei signori rivelò che il mio saluto era stato accolto senza decisa riluttanza. Uno di loro fece perfino un movimento col tacco della scarpa destra, che doveva certo valere quanto una stretta di mano. Chiesi se qualcuno di loro fosse disposto a farmi strada, risposero che non erano addetti a questo: avevano ordine di non lasciare la portineria. Chiesi se c’erano altri uscieri; ce n’erano, sì, parecchi altri, ma l’usciere capo era in licenza, il primo usciere era assente, il secondo era in permesso, il terzo era alla posta, il quarto era malato, il quinto era andato a bere e il sesto stava in cortile, e lì rimaneva «tutto il giorno». Del resto, «nessun impiegato ha l’abitudine di arrivare prima dell’una»; col che si alludeva alla sconvenienza della mia visita, mattiniera quanto importuna, ricordandomi peraltro come anche gli uscieri fossero degli impiegati. Quando tuttavia riconfermai la decisione di visitare gli uffici per farmi un’idea della suddivisione del lavoro in una così vasta e importante amministrazione, ottenni che il più giovane dei due mi accompagnasse. Fu uno spettacolo imponente quello che vidi quando spalancò la porta e una fila di sedici camere, tra grandi e piccole, s’estese dinanzi ai miei occhi. Il crepitio di sedici fuochi di legna di betulla, che ardevano in sedici stufe di porcellana, creava un piacevole contrasto col silenzio circostante.
Struve, che aveva ascoltato con attenzione sempre maggiore, a questo punto tirò fuori di tra la stoffa e la fodera del panciotto una matita e tracciò il numero sedici sul polsino sinistro.
– «Questa è la stanza degli avventizi», spiegò l’usciere. «Vedo. E sono molti gli avventizi, in questo reparto?», chiesi. «Oh, sì, abbastanza». E che fanno?. «Scrivono un po’, s’intende...» E assunse una tale espressione confidenziale, che credetti opportuno interromperlo. Dopo avere attraversato le stanze dei copisti, degli amanuensi, dei cancellieri, dei revisori e del segretario di revisione, dei controllori e del segretario di controllo, del consulente legale, dell’economo, dell’archivista e del bibliotecario, del ragioniere, del cassiere, del procuratore, dell’intendente, del segretario di protocollo, dell’attuario, del consigliere, del vicesegretario generale, del segretario generale e del sottosegretario, ci fermammo finalmente davanti a una porta sulla quale, a lettere dorate, era scritto: «Presidente». Stavo per aprire la porta e entrare quando fui trattenuto dall’usciere che, con deferenza ma effettiva agitazione, mi trattenne per un braccio bisbigliando: «Silenzio». «Dorme?» non potetti tenermi dal chiedere, pensando a una vecchia diceria. «Per l’amor di Dio, non parlate! Nessuno può entrare qui dentro prima che il presidente...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- AUGUST STRINDBERG (1849-1912) - UNA CRONOLOGIA
- LA SALA ROSSA: «UN AMLETO MODERNO»
- UN DOCUMENTO
- BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SUL GIOVANE STRINDBERG
- LA SALA ROSSA