Ora di crescere
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Ora di crescere

  1. 168 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ora di crescere

Informazioni su questo libro

Ora di avere quattordici anni. Ora di annoiarsi. Ora di sognare Wolfgang, le sue dita leggere, i suoi baci immaginati. Ora di litigare con la mamma. Ora di fare lo sciopero delle interrogazioni, ribellarsi, alzare la voce. Ora di crescere.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817033398
eBook ISBN
9788858650905

L’ora della pausa pranzo

Il Rolli torna in classe quando il prof di storia sta ormai seduto da tempo sul banco del Barboncino Nano ad ascoltare Meier il Cocchino che, dalla parte opposta della classe, si è offerto volontario per ripetere il contenuto della lezione precedente e ora lo recita meccanicamente a memoria, esattamente com’era sul libro, tutto compreso, parti scritte in grande e parti scritte in piccolo, e dice addirittura più di quanto il prof stesso abbia spiegato.
Il Rolli voleva spiegare-giustificare il ritardo, ma il prof gli fa segno di lasciar perdere. «Giù seduto, zitto muto e non interrompere mica il Meier che sennò incomincia a balbettare, neh!»
La frase suonava decisamente ironica. Tra l’altro, il prof di storia era l’unico insegnante a parlare quasi in dialetto.
Meier il Cocchino aspetta silenzioso-astioso che Rolli raggiunga il suo posto e, quando finalmente si siede, lui prosegue con il fallimento della rivoluzione del 1948 in Germania.
Anika scrive sulla sua carta assorbente: Posso venire anch’io alla riunione delle due?
Poi spinge il bigliettino dalla parte di Rolli.
Perché? aggiunge lui sotto la sua frase.
Anika riprende la carta assorbente. Perché voglio collaborare!
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Il Rolli, guardando tutto di sbieco, lo legge, rimane sbalordito, però annuisce.
La carta assorbente è piena di superbe macchie d’inchiostro, sul retro c’è disegnata una donna nuda con la vita sottile, seni immensi ed enormi capezzoli a macchia d’inchiostro. Non c’è più un briciolo di spazio per scrivere. Il Rolli sussurra: «Ma prima, all’una, devo incontrarmi con il Sobotka!»
Il Sobotka, oltre che insegnante di ginnastica, era il docente responsabile del giornalino della scuola. Doveva leggere e approvare tutto quello che vi sarebbe stato scritto. Quel che non era da lui autorizzato, non poteva essere pubblicato.
Anika non lo sapeva. Il Rolli cominciò a spiegarglielo sussurrando. Nel frattempo dalle parti di Meier il Cocchino la rivoluzione tedesca era già fallita.
«Egregi signor Huber e signora Gerstl», li apostrofò il prof di storia, «ora parlo io. Ora si toma ad ascoltare con un briciolo d’attenzione, d’accordo?»
Anika e Rolli si rimisero in ascolto. Di solito quello che il prof di storia aveva da dire non era per nulla noioso.

All’appuntamento con il Sobotka, Anika non poteva prendere parte. Il Rolli le aveva spiegato che lì sarebbe stata solo d’impiccio, e che il Sobotka si sarebbe meravigliato.
Anika rimase perciò seduta in classe ad attendere il ritorno del Rolli. Le aveva promesso di passarla a prendere all’una e mezza. Lei aveva fame, una fame ormai di proporzioni gigantesche, una fame che la rodeva dentro, con brontolii minacciosi. Il panino al formaggio che le aveva dato la madre in effetti era ancora in circolazione, ma il burro aveva un aspetto così terribilmente grasso, e quel colore giallastro... per non parlare delle fette di formaggio dai contorni ormai tutti sformati, che trasudavano bollicine translucide. Stava male solo a guardarlo. Decisamente impossibile mangiarlo.
A parte il Banarik, se n’erano già andati tutti. Lui se ne stava seduto al suo posto, intento a suddividere un fuscello di paglia in pezzetti minuscoli, che poi disponeva sul banco in file da dieci. Anika si annoiava, avrebbe parlato volentieri con qualcuno, ma il Banarik era fuori gioco. In quattro anni di scuola Anika ci aveva scambiato sì e no dieci parole: “Pussa via, cretino!”, se per caso lui le invadeva il posto nel guardaroba, oppure “Chiudi il becco, Banarik!”, quando lui cercava di intromettersi in un discorso.
Ora il Banarik fruga nella cartella, tira fuori un sacchetto di nylon, e dal sacchetto un panino da cui fa graziosamente capolino una fetta di prosciutto, magro, roseo. Lui si alza, si dirige al cestino. Per Anika è impensabile dire “dammi il panino”. Il panino con il suo roseo e magro prosciutto cade in mezzo alle cartucce di penna stilografica, ai riccioli di matite temperate, alle bustine di latte da passeggio. Il Banarik toma al suo posto.
«Io tra poco devo fare ripetizioni», dice, «e tu?»
Anika trova offensiva solo l’ipotesi che anche lei abbia bisogno di ripetizioni. «Alle due vado alla riunione di redazione!» risponde.
Il Banarik – Anika se ne accorge immediatamente – è rimasto impressionato dal fatto che gli abbia rivolto la parola e lei si sente molto generosa a concedergli ancora: «Faremo un gran bel numero, con questa storia del Sedlak e della difesa dei nostri diritti!»
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Il Banarik la guarda ammirato. «Scrivi qualcosa anche tu?»
Anika annuisce con gesto regale.
«E cosa?»
«Un po’ di tutto.»
«È difficile?»
«Neanche per idea!»
Se al Banarik fosse venuto in mente ora di gettare il panino al prosciutto nel cestino, Anika avrebbe potuto dirgli «Da’ qua!»
Una cavallona dell’ottava si fa sulla soglia della classe. Pelle di un pallore giallastro, capelli lunghi fino alle spalle – unti e privi di colore –, dentatura irregolare, storta e disordinata dietro labbra screpolate, ventre leggermente cascante, gambe da elefantessa, eppure inequivocabilmente, senz’ombra di dubbio, un’autorità in latino, con davanti a sé un sicuro futuro di professoressa. Il Banarik tira fuori dalla cartella il libro di latino. La cavallona latinista lancia un’occhiata di traverso in direzione di Anika. Con voce antica, da vera professoressa, le chiede: «Devi stare qui per qualche motivo?»
E Anika, rivolta alla rispettabile professoressa di latino che la cavallona un giorno diventerà: «Mi scusi, devo aspettare qui fino all’una e mezza.»
«Ma non puoi aspettare da un’altra parte?» La cavallona ha uno sguardo indignato: «Così me lo distrai!» Anika si alza, fa la cartella, si dirige alla porta, lancia alla cavallona uno sguardo carico d’odio che l’altra si lascia scivolare addosso. Il Banarik ghigna con aria d’approvazione. Anika lascia di proposito la porta aperta. Che se la chiuda la cavallona!
Anika aspetta in corridoio, vicino alle scale, fino quasi alle due, ma il Rolli non compare.
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Anika fa una corsa fino al piano terra. Di solito quando a scuola, o dopo la scuola, bisogna prendere accordi di qualche genere, ci si ritrova nella sala d’aspetto riservata agli studenti che abitano lontano. Lì Anika trova due ciccione della terza che se ne stanno sedute in attesa che arrivino le due e mezza. A quell’ora possono avviarsi a prendere il loro autobus. Abitano parecchio fuori città. Ma le due ciccione non hanno visto nessuno, non conoscono né Wolfgang né il Rolli Huber, e del fatto che ci fosse una riunione di redazione non avevano la più pallida idea. A parte il custode della scuola, le dicono, non hanno visto anima viva, garantito.
Il custode era fuori in cortile e con la scopa raccoglieva le ultime foglie secche. Anika corre da lui, gli chiede se sappia qualcosa. Se lei è Anika Gerstl sì, allora deve dirle qualcosa da parte di uno spilungone biondo, un certo Huber.
«L’Huber non può passare a prenderti.»
«Questo l’avevo già capito da sola!» ribatte Anika. Ma lui per caso non sa per quale motivo?
No, questo il custode non lo sa. Huber gli ha solo chiesto, se passava nei dintorni della quarta A, di dire alla Gerstl che non poteva passare. «Finora, però», conclude il custode, “dalla quarta A non ci sono ancora passato, perché dovevo spazzare via le foglie, anche se non sarebbe compito mio. Ma il preside ci mette poco a dire: ”Spazzi via le foglie!“.»
«E lei non lo faccia», dice Anika.
«La fate facile voi giovani», ribatte lui.
Anika attraversa il cortile, oltrepassa le palestre e arriva fino al parcheggio di bici e motorini. Se quello dello Stemberger è ancora lì, allora vuol dire che lui è ancora a scuola. Ergo la riunione non è ancora finita, ergo a scuola c’è ancora anche Wolfgang.
Il motorino dello Stemberger è ancora al parcheggio. Ma c’è anche la Irmi al parcheggio. Esile e piccolina, con i suoi lunghi capelli gialli e setosi. Anika la trovava identica alla sua bambola preferita. Quella che un tempo stava fissa sul suo letto. Ma da quando aveva conosciuto la Irmi, la bambola preferita era stata relegata in un angolino dell’armadio.
La Irmi se ne stava appoggiata al muro della scuola. «Quell’idiota del Bina, quel fetente, mi ha sbattuta fuori dalla classe, lo disturbavo mentre spazzava, ha detto.»
Il Bina, quell’idiota, quel fetente, era il bidello che teneva in ordine il terzo piano. Anika lo trovava simpatico. Poi la Irmi le chiese: «Perché sei ancora qui? Non finivate all’una oggi?»
Anika fece finta di non avere sentito. La Irmi prese un pacchetto di sigarette dalla cartella. «Vuoi una svapora?» chiese ad Anika. Lei rifiutò, in quel momento non le andava di avere fumo in bocca. La Irmi si accese una sigaretta. «Finalmente», sospirò, «cinque ore senza neanche un tiro!»
Anika si chiese se la Irmi era davvero così dipendente dalla nicotina, o se stava facendo soltanto una scena.
La Irmi guardò impaziente l’orologio. «Che cos’avranno da dirsi anche oggi quelle scimmie, per tutto questo tempo!» Le sue sopracciglia sottili, vezzosamente sfoltite con le pinzette, si sollevarono a formare un arco. «Eppure il Wolfi mi ha giurato e stragiurato che non sarebbe durata oltre le tre meno un quarto!»
Il Wolfi! Che brutto suono! E quanto poco si adattava a Wolfgang!
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«Aspetti Wolfgang?» le chiese Anika sperando che la sua voce suonasse neutrale.
La Irmi annuì come fosse un’ovvietà, quasi fosse impensabile aspettare qualcun altro.
«E dove andate?» Magari andavano al bar. Meglio un Wolfgang con Irmi al seguito che niente.
«A casa da me», rispose la Irmi. «I miei vecchi non ci sono! In visita dalla zietta danarosa!»
Anika fissava le rastrelliere per le bici deserte, fissava l’Honda dello Stemberger.
«E tu chi aspetti?» chiese di nuovo la Irmi.
Dal parcheggio delle bici si vedeva tutto il cortile, fino al portone interno della scuola. E proprio da lì ecco lo Stemberger correre attraverso il cortile, con il casco giallo sotto il braccio e senza cartella, eccolo sorpassare in velocità il custode che spazzava via il suo mucchietto di foglie. Lo Stemberger arrivava spesso a scuola senza cartella e scriveva su minuscoli fogliettini che poi si ficcava nelle tasche dei pantaloni. Gli insegnanti andavano in bestia.
La Irmi lo vide arrivare. «Alleluia, è finita l’attesa!» e buttò per terra la sigaretta fumata a metà.
Lo Stemberger era già alle rastrelliere delle biciclette. «Irmengunde, i miei onori, magnifica dama!» salutò a gran voce.
La Irmi gli chiese notizie di Wolfgang, raccontò nuovamente con indignazione che il Bina, quel fetente, l’aveva mandata fuori dalla classe e che ora con ogni probabilità Wolfgang sarebbe andato a cercarla lì e magari avrebbe pensato che se ne era già andata a casa da sola.
«Naa, Irmengunde, se non ti trova là», la rassicurò lo Stemberger, «verrà sicuramente a cercarti qui, è ovvio che lo aspetteresti qui!»
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«A meno che...», aggiunse con uno sguardo malizioso, «... nel frattempo non si sia trovato qualcosa di meglio! La Irmi sorrideva. Si vedeva benissimo che un’ipotesi simile non la prendeva nemmeno in considerazione.
«Quando tornano i tuoi?» le chiese lo Stemberger.
«Dopodomani.»
«E se per caso tornano prima?» chiese lui riprendendo quell’aria maliziosa. «Tornano e trovano la loro unica figlioletta sul loro rispettabile divano insieme al Wolfgang?»
«Piantala, Puffo», protestò lei. La Irmi lo chiamava spesso “Puffo”.
«Voleva solo essere un timido avvertimento!»
La Irmi si passò tutte e dieci le dita tra i capelli gialli e setosi, scuotendo i ricci. «Non mi inibire», si lamentò. «Il solo pensiero che i miei genitori si presentino alla porta mi rende frigida!»
«Povera Irmengunde», la compatì lo Stemberger. E poi: «Potrei venire a farvi il palo!»
La Irmi rideva, guardando di nuovo l’orologio.
Anika avrebbe chiesto volentieri com’era andata la riunione, e se il Rolli Huber aveva detto agli altri che anche lei voleva collaborare. E avrebbe chiesto volentieri se il Rolli magari non era passato a prenderla perché gli altri non la volevano. Ma in fin dei conti era una rappresentante di classe pure lei, anche se finora si era occupata solo di denaro per il latte-comitato genitori-corone di fiori-croce rossa. Tutto sommato aveva lo stesso diritto del Rolli a svolgere prestazioni intellettuali. «Il Rolli per caso...», cominciò Anika.
«Il Rolli», la interruppe lo Stemberger, «ha detto che la vostra classe è d’accordo con lo sciopero, che partecipano tutti!» Lo Stemberger la guardava. «È vero? Non è lui che la vede un po’ troppo rosea?»
Anika dice no di sicuro, il Rolli ha perfettamente ragione. Tranne forse la Sonntag e il Cocchino, ma quelli li si può costringere.
«E come?» domanda lo Stemberger.
Anika gli spiega che con il Cocchino non è difficile, è un vigliacco, e la Sonntag pure.
«A parte le prime, le seconde e le terze» commenta lo Stemberger, «gli altri ci stanno tutti. E alle prime tre classi non lo abbiamo neanche chiesto. Sono troppo piccoli.»
La Irmi sbadiglia, ma non sul serio, lo fa solo così, per dare espressione alla propria noia. «A me dà già ai nervi» commenta. «Ma che cos’è tutto d’un tratto questo cancan per il Sedlak. Da quando per mia disgrazia sono capitata in questa maledetta baracca, il Sedlak è sempre stato il Sedlak, non è cambiato di una virgola! E d’improvviso bisogna prendere provvedimenti contro di lui?» La Irmi ha lo sguardo rivolto allo Stemberger. «Che cosa mai dovremmo ottenere? Credi forse che sbattano fuori tre anni prima del previsto un prof che ha quasi diritto alla pensione solo perché è un maiale e dà castighi collettivi?»
«Il Weininger, te lo ricordi?» chiede lo Stemberger. «... si è beccato un procedimento disciplinare per il ceffone che ha allungato allo Schober! Se quella volta nessuno avesse fatto una piega, l’avrebbe passata liscia!»
La Irmi sorride ironica: «Ma solo perché disgraziatamente si era dimenticato che quello a cui aveva allungato il ceffone era figlio di un segretario di sezione! E poi, tra l’altro, che fine ha fatto il Weininger, eh? Lo hanno sostituito? Lo hanno mandato in pensione? No! È ancora qui.»
«Ma ora ci sta più attento», obietta lo Stemberger.
«Sì, ora preferisce metodi più sottili, in modo che nessuno possa dimostrare nulla», precisa la Irmi.
«Non è esattamente così», dice lo Stemberger, «e anche se lo fosse, lo sarebbe solo perché gli studenti non si difendono più spesso, perché non agiscono di comune accordo e perché i genitori non stanno dalla loro parte!»
«E vorresti cambiare tutto questo?» gli chiede la Irmi mentre si accende un’altra sigaretta.
«Bisogna almeno provarci», risponde lui, «se non facciamo mai neanche un tentativo, non c’è da meravigliarsi se non otteniamo nulla. Al massimo vengono fuori solo delle scemenze. Se la sesta B attacca un bigliettino sul sedere del Sedlak, e lui se ne va in giro con “Maiale” scritto sul sedere, ridono tutti, Irmengunde, ma non gliene viene niente a nessuno, non significa nulla, lo capisci?»
«Ma il Wolfi dice che anche lo sciopero è una scemenza», protesta la Irmi.
Lo Stemberger ride. «Ma il Wolfi dice cosi, ma il Wolfi dice cosà», le fa il verso. «E io ti dico che il Bluntschli è un bravo ragazzo, ma di queste cose non capisce nulla, è sottosviluppato, o, se preferisci, è un tipo reazionario!»
«Preferirei parlare d’altro», ribatte secca la ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L'ora dell'adolescenza
  4. L'ora del Verme
  5. L'ora della pausa pranzo
  6. L'ora dei soldi
  7. L'ora degli specchi
  8. L'ora del bar e dei ricordi
  9. L'ora dell'educazione emancipata
  10. L'ora del vino rosso
  11. L'ora del risveglio
  12. L'ora del Verme II
  13. L'intervallo
  14. L'ora della pausa pranzo
  15. L'ora del caffè surrogato
  16. L'ora delle domande
  17. L'ora delle telefonate
  18. L'ora del compito in classe
  19. L'ora della cospirazione
  20. L'ora del flipper
  21. L'ora dello sciopero
  22. L'ultima ora