La missione teatrale di Wilhelm Meister
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La missione teatrale di Wilhelm Meister

  1. 400 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La missione teatrale di Wilhelm Meister

Informazioni su questo libro

Per il giovane Wilhelm Meister, il teatro è uno spazio in cui la vita può assumere infinite forme, un mondo in cui la malinconia e l'insoddisfazione nei confronti della realtà non impediscono l'azione. La passione di Wilhelm, profonda e sofferta, lo porta a scontrarsi con le leggi cui l'individuo deve sottostare anche sul palcoscenico, ma nel contempo gli dà la forza per reagire e rinnovare le regole del teatro. Guidato dall'Amleto di Shakespeare, che sente come vera e propria rappresentazione di se stesso e fonte di ispirazione, Wilhelm impara a conoscersi come uomo diviso tra mondo esteriore e io interiore, tra spirito e azione, ma con un destino inevitabilmente legato al teatro.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817169639
eBook ISBN
9788858656327

LIBRO QUARTO

CAPITOLO I

Conosci il paese dove fioriscono i limoni,
tra verdi fronde splendono arance d’oro,
dal cielo azzurro spira un vento leggero,
tranquillo è il mirto e gaio l’alloro,
lo conosci?
Laggiù, laggiù
mio signore, con te vorrei andare.

Conosci quella casa, su colonne il tetto,
per saloni e stanze grande splendore,
e statue di marmo mi stanno a guardare:
Che ti hanno fatto, povera piccola?
lo conosci?
Laggiù, laggiù
mio signore, con te vorrei andare.

Conosci il monte e il cammino perso fra le nubi,
tenta il mulo il sentiero nella nebbia,
negli antri abita dei draghi l’antica genìa,
a precipizio scendono la roccia e il torrente,
lo conosci?
Laggiù, laggiù,
volge il nostro cammino! Signore, andiamo!24
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Tra le canzoncine che Mignon cantava, Wilhelm ne aveva notata una di cui gli piacevano in modo particolare la melodia e l’espressione, benché non fosse in grado di comprenderne tutte le parole. Chiese alla bambina di cantarla, se la fece spiegare, ne prese nota e la tradusse in tedesco, o piuttosto ne fece un’imitazione, come quella che proponiamo ai nostri lettori. Certo, il candore infantile dell’espressione si perse insieme con la dizione stentata, e il fascino della melodia non poteva trovare paragone. La piccola cominciava ogni verso con tale solennità e grandiosità come volesse attirare l’attenzione su qualcosa di straordinario, raccontare qualcosa d’importante. Alla terza e quarta riga il canto si faceva più cupo e melanconico. «Lo conosci?» lo proferiva con mistero ed esitazione, in «laggiù, laggiù» vi era un’irresistibile nostalgia, e il «signore, andiamo» lo sapeva modulare ogni volta in modo diverso, ora supplichevole, ora fervido, ora esortante, ora frettoloso e denso di promesse.
Una volta che aveva ripetuto la canzone, stette in silenzio un istante, guardando il suo signore in modo penetrante, poi gli chiese:
«Lo conosci il paese?».
«Si tratta certo dell’Italia» rispose Wilhelm. «Com’è che sai questa canzoncina?»
«L’Italia!» ribatté Mignon; «se andrai in Italia, mi prenderai con te, ho freddo qui.»
«Sei stata in Italia, piccina cara?» chiese Wilhelm. La bambina non rispose, e Wilhelm non riuscì più a farle dire nulla.
Non so proprio perché ci occupiamo della piccola creatura, quando abbiamo abbandonato il nostro eroe in una situazione critica.
Fra i nostri lettori difficilmente ci sarà qualcuno che non desideri sapere come sia andata a Wilhelm sulla scena, ma non ci sarà quasi nessuno che non possa immaginarselo meglio di quanto noi potremmo fare raccontandolo. Lo ritroviamo, quindi, seduto nella sua stanza, pensieroso e svestito.
Con lo sguardo abbassato innanzi a sé, era assorto in profonde considerazioni, e se non avesse scorto gli stivaletti, che si erano dimenticati di slacciare, avrebbe pensato che tutta quella sua avventura fosse stata un sogno. Aveva ancora negli orecchi il rumoroso consenso, l’assordante battimano della folla, ancora, a un passo bello e intenso, percepiva diffondersi da un palco all’altro l’emozione, e a questa prima, singolare prova sentì quella che un tempo si era immaginato come la felicità di chi nell’arte è maestro. Godette pienamente la meravigliosa sensazione di essere il centro dell’attenzione di una gran folla là convenuta, e se ci è concesso di esprimerci per immagini, di sentirsi la chiave di volta di un grande arco sulla quale mille pietre, senza caricarla, fanno pressione, e che le tiene insieme, senza lavoro e senza forza, soltanto grazie alla sua posizione, poiché se così non fosse in un attimo precipiterebbero tutte in confuse rovine. Anche a opera conclusa la sua forza di immaginazione non li lasciò andare, li trattenne quanto meno idealmente, convinto che ciascuno a casa con i suoi e nei suoi avrebbe rivissuto le buone, nobili azioni e le intense impressioni dell’opera. Non aveva chiesto la cena, per la prima volta aveva mandato via Mignon senza badarle, e non pensò ad andare a letto finché non ve lo costrinse il lume consumato. Il mattino seguente, dopo essersi ristorato con un lungo sonno, si alzò come destandosi da un’ubriacatura. I resti del trucco sulle guance e i capelli che ancora cadevano disordinati in meravigliosi boccoli rianimarono in lui le circostanze del giorno precedente, facendogli, ad animo tranquillo, una singolare impressione.
Non passò molto che entrò il signor Melina, alle cui visite fino a quel momento, e in particolare così di buon’ora, non era abituato.
«La mia signora Vi manda i suoi saluti» egli disse «e se fossi capace di esser geloso, questa volta dovrei esserlo, giacché si sta comportando come un’infatuata di Voi e della Vostra recitazione di ieri.»
«La ringrazio» disse Wilhelm «se ha la bontà d’esser soddisfatta di me. Questo solo posso dire, di non sapere come ho recitato, e Voi vorrete credermi. In generale mi sembra che tutti abbiano fatto molto bene ciò che loro toccava, e per questo Vi sono molto debitore.»
«Su, su! Chi più, chi meno!» disse il signor Melina.
Continuarono a parlare dell’opera, della rappresentazione e dell’effetto di diverse scene. Infine Melina disse:
«Permettete che come amico Vi ricordi qualcosa: temo infatti che dimentichiate una questione fondamentale. L’acclamazione del pubblico è una gran bella cosa, ma desidero che la sfruttiate come meritate. L’incasso di ieri è stato considerevole, e la direttrice deve avere in cassa un bel po’ di talleri: non lasciatevi sfuggire questo momento, per riavere ciò che Vostro; ho osservato quanto denaro avete speso, in parte prestandolo a lei, in parte utilizzandolo per la rappresentazione dell’opera. Negli ultimi due giorni avete ordinato e fatto preparare in gran fretta ancora diverse cose, di cui presto vi arriveranno addosso le fatture. Per quanto ne so, finora non avete neppure pagato l’oste, il quale vi farà un bel conto, e non voglio che Vi troviate in difficoltà».
Incamminato sull’ameno sentiero del piacere spirituale, per il nostro amico fu molto spiacevole vedersi all’improvviso aprire innanzi questo baratro di domestica miseria.
«È mia intenzione» disse «contare il mio denaro, quando arriveranno le fatture pagarle e all’occasione parlare con la direttrice.»
«Amico mio!» esclamò il signor Melina «pensate bene a quel che fate, e approfittate di questo momento! Giusto adesso, ora che madame De Retti non ha ancora speso il denaro incassato o non può trovare scuse per dir di no, e questo non Ve lo posso garantire fino a mezzogiorno.»
«Non avrà intenzioni così malvage» replicò Wilhelm «e non rifiuterà quanto mi spetta. Ancora ieri, nel momento critico, promise che senza alcun dubbio mi avrebbe pagato, e le facciamo un bel torto: forse proprio ora sta facendo il conto di quanto mi deve, per liberarsi dagli obblighi verso di me.»
«Allora non la conoscete bene» disse il signor Melina, «e non avete osservato come si è comportata sinora. Se avesse avuto serie intenzioni, già da tempo avrebbe fatto il proprio dovere, avrebbe potuto pagarvi a poco a poco. Su questa strada non concluderete nulla con lei, e devo insistere che Vi comportiate con fermezza. Sapete quanto avete già speso, e avete fatto un calcolo di quanto ancora Vi attende?»
«Penso» disse Wilhelm «di risolvere tutto con seicento talleri, e con i settanta che Vi ho prestato fate pure settecento. Prevedo cinquanta talleri per il conto dell’oste, e ancora ne ho d’avanzo, sì da non potermi in alcun modo trovare in difficoltà.»
«Mi pare che non teniate in ordine la vostra contabilità» replicò l’altro. «Scommetto che avete già speso ottocento talleri da quando siete qui. Vi prego, verificate, e perdonate se insisto tanto.»
Wilhelm andò con una certa riluttanza al forziere e rimase ben stupito quando si accorse che l’amico aveva indovinato il conto e che la sua borsa era più assottigliata di quanto non pensasse.
«Avete ragione» disse «tuttavia la cosa non mi dà pensiero.»
«Non mi si addice» replicò quello «chiedervi quanto al momento Vi rimane, ma devo dirvi, preparatevi a cento talleri per gli artigiani e a un conto dell’oste di almeno duecento talleri.»
«Impossibile!» esclamò Wilhelm.
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«Scusate la mia curiosità» disse l’altro «ma l’intenzione era lodevole: ieri mi son fatto mostrare il libro dell’oste, e così ho trovato che il conto è salito a tanto. L’ospitalità, e la generosità non potevano costarvi meno.»
Il calcolo era presto fatto; dopodiché a Wilhelm del suo contante rimanevano a stento cento talleri. Era costernato, mentre Melina si faceva ancor più insistente:
«Vedete che non vi è affatto da scherzare» disse. «Abbiamo la direttrice in pugno: tutto quanto ha e possiede è ipotecato a Vostro favore, e possiamo impadronircene subito. Prima di rovinarsi e di farsi cacciare dalla città, farà sicuramente tutto il possibile, e Voi avrete quanto vi spetta. Insistete affinché ciò che avete già dato Vi sia pagato subito e il resto a poco a poco con gli incassi, affinché ella si addossi anche la spesa per gli artigiani, ancora da pagare. Così facendo salverete il salvabile, giacché certamente non ne uscirete senza lasciarvi in parte le penne. Vi prego, vestitevi e andate da lei. Se non temessi di guastarmi con lei e di essere indiscreto, Vi risparmierei di buon grado questo passo increscioso.»
Un giovane principe che si stia apprestando alla caccia, equipaggiato di tutto punto, non può dar udienza a un ministro delle finanze che viene a fargli rimostranze con maggior fastidio di quello con cui Wilhelm in quel momento seguì la richiesta dell’amico. Ben diversamente pensava di trascorrere quella mattina! sperava di ricrearsi con gli amici e le amiche, di riassaporare e gustare con loro l’avventura del giorno precedente, quel piacere, quell’acclamazione.

CAPITOLO II

Quando fu vestito, sul punto di recarsi dalla direttrice, Wilhelm ricevette un biglietto dell’amico, il signor von C., che lo elogiava con vivo entusiasmo e meraviglia per l’opera del giorno precedente e per la sua inattesa recitazione, e al tempo stesso lo invitava per la sera, dicendogli che lo avrebbe condotto da un paio di squisite signore che per vedere la tragedia erano giunte in città dai loro possedimenti ed erano molto desiderose di far la sua conoscenza. Egli inviò un messo a dire che si metteva a disposizione, poi si diresse alla stanza di madame De Retti.
Innanzi alla porta udì che era impegnata in una violenta lite, e subito riconobbe la voce del signor B., che si dimostrava villano con lei. Madame De Retti non udì Wilhelm bussare, e quando egli aprì la porta, poté ancora comprendere assai chiaramente le parole del rozzo uomo, che stava esclamando:
«Basta, non era certo il caso di affrettarsi tanto, potevate dare un’altra opera, e il giorno dopo avrei recitato io stesso».
L’arrivo di un’altra persona interruppe la sua veemenza, Wilhelm lo salutò, rallegrandosi di vederlo in forma; lo zoticone replicò invece soltanto farfugliando parole incomprensibili, prese sotto braccio una cassettina che si trovava sul tavolo e sbatté la porta dietro di sé.
«Vorrei» disse madame De Retti «che aveste preso questa parte sin dall’inizio, e che monsieur B. non l’avesse affatto imparata; ora è indispettito che l’abbiate recitata prima di lui.»
«Avrà tutto il tempo che vorrà per recitarla dopo di me» replicò Wilhelm. «Mi sono trattenuto già troppo, i miei affari mi costringono a proseguire il viaggio, sono venuto a comunicarvelo e a pregarvi di rimborsarmi il mio denaro con cui volentieri finora Vi sono venuto in aiuto; l’incasso di ieri sarà infatti sufficiente.»
«Io stessa non so ancora» disse la direttrice «quanto è stato incassato, or ora ho dato la cassa al signor B. per mettere in ordine e contare il denaro. Verso sera Vi potrò render conto della cosa.»
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«Madame» replicò Wilhelm «desidererei che mandaste di nuovo a prendere la cassa; mi offro d’incaricarmi della cosa, in un’ora sarà tutto risolto.»
«Non mi farete fretta ora» replicò la direttrice «devo al nostro oste una cifra considerevole, e se voglio sperare da lui ancora qualche credito, allora non mi resta che pagarlo immediatamente.»
«Tenete conto, madame» disse Wilhelm «che quanto mi dovete non è meno urgente, infatti non posso trattenermi qui un giorno di più.»
«Non lo pretendo assolutamente» disse madame «lasciatemi il Vostro indirizzo e Vi prometto di mandarvelo al più presto.»
«Su questo non posso cedere» la interruppe Wilhelm «considerate che sono ipotecati in mio favore l’intero guardaroba, le scenografie e tutto quanto appartiene al teatro, e mi spiacerebbe esser costretto a far valere il mio diritto.»
«Sareste capace» esclamò madame De Retti con grande veemenza, gettando sul tavolo un rotolo di carta che fino allora aveva tenuto in mano e andando su e giù per la stanza «sareste capace di essere così severo e ingiusto con me?»
«Non vedo nulla d’ingiusto» replicò Wilhelm «nel tentare di ottenere quanto mi spetta.»
«No!» esclamò lei, battendosi la fronte con la mano «no, non pensavo di fare una tale esperienza! Come Vi ho giudicato male finora! come mi sono sbagliata sul Vostro conto! Non Ve lo perdonerò finché vivrò!»
Proseguì ancora con accesa stizza a lamentarsi del suo comportamento, e a fargli sentire quanto fosse offesa dalla sua richiesta. Wilhelm stava là tutto stupito; sentiva infatti di essere lui la parte offesa: era lui ad avere di che lagnarsi, era lui ad avere da perdonare! E si meravigliò di se stesso mentre tentava di chetare madame dicendole che non era stata sua intenzione farla adirare e farle dispetto.
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«Affinché vediate» replicò lei «che faccio sul serio, voglio cominciare subito con un acconto, dandovi venticinque talleri dell’incasso di ieri, e altrettanti ne darò di ciascuno dei prossimi, finché capitale e interessi non siano estinti. Infatti non crediate» proseguì con tono orgoglioso «che sia per me un piacere rimanere in debito con qualcuno.»
Il nostro buon amico era stordito e umiliato; non aveva mai imparato a essere attento al proprio tornaconto, quindi dimenticò il buon consiglio del signor Melina, il vuoto della propria cassa, e all’offerta di lei lasciò perdere, senza respingerla o accettarla. E madame De Retti fu tanto intelligente da mandargli subito il promesso acconto, non appena egli ritornò nella propria stanza. Il signor Melina, al quale Wilhelm, seppur malvolentieri, aveva riferito l’esito della cosa, era sommamente dispiaciuto di quella compiacenza e noncuranza, e in particolare del fatto che, se egli avesse proprio voluto accettare un acconto, non avesse stabilito somme maggiori e indirizzato a lei le fatture imminenti degli artigiani. All’insoddisfazione del marito, madame Melina andò fuori di sé, e a malapena le riuscì di dire all’amico di teatro la centesima parte di tutto ciò che di piacevole si era preparata, e i suoi pensieri più belli dovettero far spazio a considerazioni di carattere economico. Il signor Melina non faceva che riflettere sul modo di dare un’altra piega alla faccenda; ma Wilhelm non voleva decidersi ad attaccar briga con la furente direttrice.
Dopo pranzo, come avevano previsto, giunsero alcuni artigiani che volevano esser pagati. Su consiglio del signor Melina furono mandati dalla direttrice, che reclamando li rimandò indietro; assicurò di non aver ordinato nulla di tutto ciò, e disse loro di rivolgersi al signore che ne aveva dato disposizione. Detto fatto, quelli ritornarono indietro, e Wilhelm li pregò soltanto di voler pazientare fino alla mattina successiva, quando avrebbe messo a posto ogni cosa.
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La sera andò dall’amico, che lo portò in una compagnia molto gradevole. Tutti, e in particolare un paio di signore di eccellenti qualità, gli stettero intorno, e non bastavano le lodi per la felicità che egli aveva dispensato loro il giorno precedente e per lungo tempo. Parlarono molto dell’opera, la esaminarono minuziosamente e si dimostrarono anche soddisfatti dell’armonia della scenografia e dei costumi; persino il tappeto verde non fu dimenticato, cosicché Wilhelm avrebbe potuto essere pienamente contento, se tutte le cose elogiate non gli avessero ricordato le difficoltà in cui per causa loro quel giorno si trovava, e ancor più si sarebbe trovato l’indomani. E così tutta la dolce ambrosia che gli era stata preparata, gliela tolsero dalle labbra i cattivi spiriti degli affanni.

CAPITOLO III

Nel frattempo il pubblico aveva atteso con gran desiderio il giorno seguente, in cui la compagnia aveva promesso di ripetere la tragedia. E anche questa volta la sala avrebbe dovuto essere ben più grande per contenere il gran numero di coloro che si accalcavano. In città non vi era infatti alcun dubbio che il nuovo attore si sarebbe mostrato di nuovo nella parte di Dario, anche se in cuor suo Wilhelm era ben deciso a non risal...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE
  4. LIBRO PRIMO
  5. LIBRO SECONDO
  6. LIBRO TERZO
  7. LIBRO QUARTO
  8. LIBRO QUINTO
  9. LIBRO SESTO
  10. APPENDICE - POESIE DELLA WILHELM MEISTERS THEATRALISCHE SENDUNG