Sia folgorante la fine
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Sia folgorante la fine

  1. 210 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Sia folgorante la fine

Informazioni su questo libro

22 febbraio 1980. Valerio, diciannove anni, viene ucciso con un colpo di pistola alla nuca nella sua casa di Monte Sacro a Roma. I genitori sono nella stanza accanto, legati e imbavagliati. Dopo svariati tentativi di depistaggio l'assassinio è rivendicato dai Nuclei armati rivoluzionari, un'organizzazione neofascista, ma gli esecutori non saranno mai identificati. Chi era Valerio Verbano? Perché è stato ucciso? Vicino all'area dell'Autonomia operaia, stava raccogliendo un dossier sui collegamenti tra alcuni gruppi dell'estrema destra e settori della malavita cittadina, incluse vicinanze e coperture degli apparati statali. Il materiale, sequestrato durante una perquisizione, scompare dagli archivi alla morte del ragazzo. Ricompare sotto gli occhi del giudice Mario Amato, responsabile dell'indagine, che poche settimane dopo muore in un agguato. Alcune prove smarrite e altre, inspiegabilmente, distrutte; infine l'inchiesta si arena in un fascicolo denominato "atti contro ignoti". Del dossier Verbano non si è più saputo nulla. Intanto la mamma di Valerio, dallo stesso salotto in cui si svolse la tragedia, continua a chiedere giustizia: non solo per sé, ma per tutte le famiglie devastate dalle raffiche degli anni di piombo. Carla a sessant'anni ha imparato a sparare, a ottanta a navigare in Internet; ha incontrato poliziotti, carcerati, ex terroristi, e non rinuncia a inseguire il colpevole. Oggi racconta quel giorno di trent'anni fa, il fuoco incrociato di un quartiere in preda alla guerra civile, la sua indagine sui retroscena di un delitto impunito: è una storia di dolore e di coraggio, uno sguardo rivelatore sui misteri di un'epoca oscura. E un messaggio per l'assassino che un giorno, lei lo sa, verrà a bussare alla sua porta.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817038447
eBook ISBN
9788858657102

Il filtro

Se il 19 settembre 1978 mi avessero telefonato e mi avessero detto che c’era un filtro in piazza Annibaliano, io avrei risposto di raccoglierlo, di gettarlo in un cestino. Invece, in quegli anni, «un filtro» in strada voleva dire che qualche fascista si piazzava sul marciapiede: se chi passava aveva un eskimo, o i capelli lunghi o un giornale di sinistra in tasca, giù botte. Facevano cose simili anche i compagni: loro, però, le chiamavano «le spazzolate». Nella tesi scritta sul caso di mio figlio c’è un compagno che dice che fare le spazzolate significava andare in un bar di fascisti e mettersi a distribuire volantini con falce e martello. A provocare, insomma. Quello che racconta io l’ho letto bene, mi ha fatto impressione: sia la provocazione in sé, sia soprattutto il fatto che questo qui, che adesso sarà un uomo adulto, a trent’anni di distanza, è lì che sorride e racconta: «Distribuivamo i volantini e aspettavamo una reazione, e questo avveniva, a voler essere generosi, una volta alla settimana». Dice proprio così, e io non ho capito: forse significa che lo facevano più spesso di una volta alla settimana, o forse vuole dare dei conigli ai fascisti, che reagivano una volta su sette. Non l’ho capito, anche rileggendo. L’unica cosa che so è che noi su Marte per quelli che fanno i filtri e per quelli che fanno le spazzolate usiamo una sola parola, asini.
Invece il 19 settembre 1978 telefonano a Valerio. Gli dicono di questo filtro e che un’ora prima c’è finito dentro un suo amico. Passa un po’ di tempo prima che si veda con altri tre amici, prima che si muovano. Quando arrivano in piazza c’è lo scontro. Un coltello colpisce Nazareno De Angelis, che all’epoca ha vent’anni, e il suo amico Silvio Leoni, di diciotto. Niente di grave per fortuna: all’ospedale, per entrambi, la prognosi è di dieci giorni. Loro non hanno mai accusato Valerio delle coltellate, nessuno tra quelli ascoltati l’ha fatto. Però, il giorno dopo, all’Archimede, prima di entrare, si diffonde la voce che Valerio sia stato accoltellato e che sia ferito, nascosto da qualche parte, probabilmente in gravi condizioni. Alcuni compagni sostengono che ne parlavano tutti, e che per molti fu una specie di choc. Poi invece Valerio quella mattina arriva davanti a scuola, sempre con la vespetta, e si mette in piedi su un muretto, per farsi vedere da tutti, per dimostrare che stava bene.
A ripensarci credo che quella fosse una voce messa in giro ad arte dai fascisti. E se è così, voleva dire una sola cosa: le coltellate ce le hai date tu, stai tranquillo che prima o poi te le restituiamo.
Fortunatamente non tutte le minacce diventano omicidi, però sarebbe interessante capire chi mise in giro quella voce, quella mattina. Ho chiesto, fatto ricerche: niente da fare dicono che è impossibile saperlo.
Lo scontro in piazza Annibaliano finirà solamente in una breve di cronaca, sui giornali, ma nella zona non si parla d’altro. Non tanto per lo scontro in sé, che a quei tempi filtri e spazzolate si susseguono, quanto per il luogo. In quella parte di Roma, in quei giorni, si combatteva palmo a palmo per conquistare una piazza. Per esempio, piazza Sant’Emerenziana, a meno di un chilometro da piazza Annibaliano, nel Risiko della città di quegli anni cambiava continuamente colore. Prima ci andavano quelli delle scuole di sinistra, poi verso la fine degli anni Settanta si sono insediati quelli di Terza posizione. Nell’ottobre 1978, arrivavano da altri quartieri e da altre zone per conquistarla o difenderla. Partivano col motorino per andare, i fascisti coi vesponi, o con le Honda 400, quelle moto basse, chissà se io tocco su una di quelle.
In quei giorni, impadronirsi o abbandonare una piazza, faceva notizia nel quartiere: quando dopo la morte di Valerio chiedevo di queste cose, mi vergognavo di non saperne niente: io andavo a comprare le scarpe in viale Libia e passavo per piazza Sant’Emerenziana e piazza Annibaliano.

Un altro motivo per cui in quei giorni di trincea e di piazze da difendere si parla molto di questo scontro è che Valerio lì a piazza Annibaliano si perde la mia Tolfa con dentro i documenti e l’agendina coi nomi e i numeri di telefono dei compagni.
A me e a suo padre dice una frottola, che va a dormire dagli amici, ma ai compagni dice la verità, li avverte: «Ho perso tutto».

Carla, un’amica di Valerio che quel giorno lo vide tornare nella loro sede tutto ammaccato, racconta: «Valerio venne il pomeriggio stesso in via Scarpanto e ci raccontò appunto dello scontro con i fascisti di Terza posizione ed era preoccupato, sì certo anche ferito, ma per fortuna niente di grave, era soprattutto preoccupato. Perché gli avevano strappato la borsa che conteneva la carta d’identità e un’agendina con i numeri di telefono di tanti compagni [e magari c’era pure il goniometro]. Anche molti di noi, compagni di scuola e compagni del collettivo fummo preoccupati. Ci scortavamo [...]. Fummo insomma tutti più paranoici e guardinghi per un po’ [...] Poi, visto che non accadeva nulla, ricominciammo a fare le solite cose senza preoccuparcene».
Invece Massimo, l’amico di mio figlio, m’ha detto così: «Ci chiamarono perché alcuni compagni erano stati picchiati a un filtro fatto da quelli di Terza posizione. Noi andammo ma era già passato del tempo, credo ore, Valerio era a casa della fidanzata e io ero da un’altra parte: di solito, quelle cose lì, i filtri, le spazzolate, in genere duravano mezz’ora, perché poi arrivava la polizia ed era meglio andar via prima; insomma, noi in piazza Annibaliano andammo ma non pensavamo di trovarli, i fascisti. Eravamo in quattro. Vedemmo questi: capelli lunghi, vestiti come persone di sinistra, a dire il vero ci avvicinammo pensando che fossero i compagni del Croce, un altro liceo. Invece no, erano quelli di Terza posizione. C’era Nanni De Angelis, sì, quell’altro che rimase ferito, Silvio Leoni: avevano spranghe, martelli, bastoni, insomma le solite cose. Anche noi avevamo le solite cose, pure i coltelli. Fu uno scontro duro ma non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo. Valerio perse la borsa e i documenti e l’agendina, sì, e per un po’ facemmo attenzione, ci scortammo, ma poi tutto riprese com’era. Non ce ne preoccupammo più di tanto. Anche perché in quegli anni si era soliti agire subito: le rappresaglie si concludevano nel giro di ventiquattr’ore, qualche giorno al massimo. Passò tempo e non accadde nulla».
Secondo molti c’è un’altra cosa che fa pensare a piazza Annibaliano come movente dell’omicidio di Valerio. È in un documento della DIGOS del 27 febbraio 1980, quindi cinque giorni dopo che quei tre sono venuti qui in casa ad ammazzarlo, in cui si dice:
Si comunica che una persona, che per motivi di sicurezza personale desidera rimanere nell’anonimato, ha riferito a questo ufficio che al giovane Verbano, in occasione dello scontro con elementi di destra avvenuto nel 1978 in piazza Annibaliano, in cui rimasero feriti i segnalati De Angelis Nazareno Andrea e Leoni Silvio, fu sottratta una borsa contenente, tra l’altro, i suoi documenti personali. I suoi avversari politici, pertanto, in quella circostanza, ebbero modo di identificarlo e di conoscerne l’indirizzo. La stessa persona ha poi aggiunto che il Verbano – tratto in arresto ad aprile dello scorso anno – sarebbe stato ritenuto responsabile del pestaggio di un elemento di destra, avvenuto in cella, circa un mese dopo il suo arresto.
Valerio quando entra in carcere ha diciotto anni appena compiuti. È facile pensare che a Regina Coeli fosse il più piccolo, o comunque tra i più giovani. E dopo un mese che è lì, dietro le sbarre – ammesso anche che fosse tipo da farlo – può già organizzare un pestaggio? Nelle lettere agli amici Valerio scrive di sentirsi solo, che non c’è neanche un compagno, che non sa con chi parlare. Però, secondo questo informatore, dopo trenta giorni decide vita e morte degli altri detenuti, organizza pestaggi. Qualche anno più tardi sono andata a parlare con un po’ di compagni che erano stati in carcere e che si sono fatti ben più di sette mesi. Con alcuni sono riuscita a chiacchierare con franchezza, a dire loro che non volevo sconti: mi raccontassero pure tutto di Valerio lì dentro, se aveva fatto cose buone, se aveva fatto a pugni, tutto. Uno m’ha detto: «Il pestaggio organizzato da lui un mese dopo l’arresto mi sembra inverosimile: Valerio quand’è arrivato era un ragazzino».
Poi c’è questo Daddo Fortuna – protagonista di uno scontro a fuoco con la polizia nel 1979 –, che sta in carcere con Valerio proprio nelle ultime settimane, dal 10 ottobre al 22 novembre, per il quale «Valerio ha retto bene, all’inizio sembrava spaventato ma poi ha sopportato la galera meglio di tanti che quando entrano fanno gli spavaldi».
Certo quello che succedeva in carcere io mica lo posso sapere, non con certezza voglio dire. Mi sono fatta dare l’elenco completo dei compagni di cella. Non ci sono nomi conosciuti, non da me almeno. Io quando Valerio era dentro gli preparavo da mangiare: ma tanto, anche per quelli che erano dentro con lui, e per più giorni visto che potevo andare solo una volta alla settimana. Portavo sempre tutto quello che riuscivo a trasportare. Le sue amiche il giorno prima della visita venivano qui in casa mia, si davano da fare, preparavano le polpette, lavavano la verdura. Una volta sono andata lì, a Regina Coeli – mancava poco all’appello, eravamo fiduciosi, speravamo che uscisse. Quel giorno Valerio mi ha detto che se fosse andata male avrebbe chiesto di essere trasferito al carcere di Capraia. Mi avesse dato un pugno, avrei reagito meglio: sono rimasta in silenzio, a guardarlo. Allora mi ha detto: «Ma’, neanche avessi detto l’Asinara».
In verità, io non sapevo nulla né dell’Asinara né di Capraia. La cosa che mi spaventava, non era che cambiasse carcere. Era che andasse lontano da me.

Capire cosa avviene nei sette mesi di carcere può essere utile a capire cosa accade quando esce. Perché tre mesi dopo aver ritrovato la libertà, Valerio lo ammazzano in quel modo.
Per questo motivo ho parlato anche con i ragazzi che sono stati arrestati con Valerio, per quella specie di grosso petardo fatto esplodere nel casolare abbandonato. Ho chiesto loro se sapevano cos’era successo in carcere, ma loro erano stati in quello minorile di Casal Del Marmo. Però, mi hanno raccontato un’altra cosa interessante. A quanto pare anche loro avevano un gruppo con una sigla. L’hanno conf...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nella bocca della fontanella
  4. La borsa e la vita
  5. Terrestri e marziani
  6. Adesso posso
  7. C’era il sole
  8. Andiamo a passeggiare
  9. Facciamo un gioco
  10. Un danno che noi pagheremo
  11. Domenica
  12. Neanche silenzio
  13. Mille lire
  14. Torna puntuale
  15. Sigle e persone fantoccio
  16. L’inchiesta è arrivata cadavere
  17. Ho scoperto una cosa
  18. Come con Valerio
  19. Il filtro
  20. Una ragazza
  21. Nel diario di Valerio c’è un numero ricorrente
  22. Ammazzerem Valerio
  23. La condanna
  24. Sia folgorante la fine
  25. Appendice - Organizzazioni militanti extraparlamentari
  26. La vita ai supplementari
  27. Il ragazzo che catturò il vento