APPENDICE
Il cammino dell’amore
Soltanto l’amore fa queste cose
Questo è il percorso della storia dell’uomo: un cammino per trovare Gesù Cristo Redentore, che dà la sua vita per amore. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo fosse salvato per mezzo di Lui. Questo albero della croce ci salva, tutti noi, dalle conseguenze di quell’altro albero [l’albero della conoscenza, N.d.R.], dove sono incominciati l’autosufficienza, l’orgoglio, la superbia di voler conoscere – noi – tutto, secondo la nostra mentalità, secondo i nostri criteri, anche secondo quella presunzione di essere e di diventare gli unici giudici del mondo. […]
Dio fa questo percorso per amore! Non c’è altra spiegazione: soltanto l’amore fa queste cose.
Lasciamoci riempire il cuore
«Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mt 26,17) chiesero i discepoli a Gesù. E il Vangelo ci rivela che il Signore aveva già predisposto ogni cosa: conosceva il percorso dell’uomo con la brocca d’acqua, sapeva del padrone di casa con una sala, grande e arredata, al piano superiore… E, soprattutto, sapeva con quanto amore i suoi amici avrebbero ricevuto il suo corpo e il suo sangue; quel corpo e quel sangue che Lui desiderava tanto ardentemente lasciarci come nuova alleanza. […]
E Lui esorta anche noi ad andare «in città». A uscire e incontrare quelli che portano brocche colme d’acqua per dare da bere agli assetati. Costoro sono come la samaritana che, lasciando l’anfora con l’acqua, corse – divenuta lei stessa anfora, traboccante di «acqua viva» – fino in città, per annunciare alla gente, ai suoi fratelli: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?» (cfr. Gv 4,5-30). Il Signore prepara l’Eucaristia con quanti hanno il coraggio di essere uomini-anfora, lasciandosi riempire il cuore dell’acqua viva dello Spirito, e facendosi condurre da Lui.
Uscite per incontrare quanti preparano grandi sale per gli altri, come quelle che il re della parabola allestì per il banchetto nuziale di suo figlio (cfr. Mt 22,1-14). Quella sala che «si riempì» di gente del popolo, perché i primi invitati non volevano prendere parte alla festa. Il Signore prepara l’Eucaristia per il suo popolo con coloro che hanno il coraggio di aprire il loro animo agli altri, che hanno un cuore di padre, simile a una grande sala in cui tutti sono invitati a condividere il pane.
Se leggiamo questi due episodi del Vangelo con spirito puro, possiamo scoprire, nei due anonimi protagonisti, un segno della presenza misteriosa dello Spirito e del Padre, che collabora con Gesù nel preparare l’Eucaristia. È questo che accade ogni volta che celebriamo la messa, quando chiediamo al Padre di non smettere di chiamare a sé il suo popolo con la forza dello Spirito Santo, e, attraverso lo stesso Spirito, di santificare le nostre offerte e accettarle, trasformate nel corpo e nel sangue di suo Figlio, come sacrificio vivo e santo.
Oggi ci viene chiesto di diventare come quelle persone: uomini e donne-anfora, che segnano cammini e creano legami, perché hanno il cuore pieno dell’acqua viva dello Spirito e mettono in luce il senso della vita con i gesti, più che con le parole. Ci viene chiesto di preparare la mensa per il Signore e per i nostri fratelli, di propiziare un incontro con i nostri gesti di «prossimità» e accoglienza. A tutti noi viene chiesto che i nostri passi traccino sentieri di speranza, ma in particolare a quanti attraversano momenti bui. A quelli che soffrono, che camminano senza vedere, dico: anche voi, per cui quell’anfora forse si è trasformata in una pesante croce, anche voi avete qualcosa da dare. Non dimentichiamo che è stato per mezzo della croce che Dio, trafitto, si è dato a noi come sorgente di acqua viva.
E se a tutti, giovani e anziani, bambini e genitori, viene chiesto di diventare uomini e donne che propiziano un incontro, questo vale ancora di più per coloro che subiscono le peggiori ingiustizie radicate nella nostra società, che si sentono esclusi dal banchetto di questo mondo. A loro dico di sollevare lo sguardo, mantenere il cuore aperto alla solidarietà, quella solidarietà che è prerogativa del nostro popolo fedele e che esso non deve mai perdere perché è la sua risorsa, il suo tesoro, il comandamento supremo che ci viene insegnato, fin da piccoli, a quella scuola d’amore che è l’Eucaristia: scuola d’amore per Dio e per il prossimo.
La debolezza e la forza dell’amore
«Mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”» (Mt 26,26).
Il Signore si è appena affidato ai discepoli, ha aperto loro il suo cuore annunciando che uno di loro, quello che intinge il pane nel suo stesso piatto, lo consegnerà alle guardie. Anziché insistere sul tradimento che sta per compiersi, però, Gesù parla dell’alleanza che desidera costruire con noi. Vorrei soffermarmi qualche istante sull’immagine di Gesù che offre il pane che ha appena benedetto, un’immagine di fragilità. Fragilità che trabocca amore e condivisione.
In occasione del Giovedì santo, noi sacerdoti chiediamo la grazia di prenderci cura della fragilità del nostro popolo, facendo un’oblazione santa della nostra stessa fragilità. E il racconto evangelico dell’ultima cena ci offre una suggestione di eccezionale intensità: la fragilità vista non come ferita, come debolezza della quale deve farsi carico il più forte, bensì come strumento di vita. La fragilità amorevole dell’Eucaristia.
Fragile è ciò che si spezza facilmente. L’immagine evangelica che contempliamo è quella del Signore che, fattosi pane di vita, «si spezza» e si dona. Nel pane condiviso – fragile – è racchiuso il segreto della vita. Quella di ogni persona, di ogni famiglia e del mondo intero.
In genere siamo portati a considerare la divisione uno dei pericoli maggiori per la nostra vita sociale e interiore, eppure, per Gesù, il frammentarsi sotto forma di pane tenero è il gesto più vitale, più unificante: per consegnarsi integralmente deve spezzarsi! Nell’Eucaristia, la fragilità è forza. Forza dell’amore che si fa debole per poter essere ricevuto. Forza dell’amore che si scinde per alimentare, dare vita ed essere condiviso in modo solidale. Gesù che spezza il pane con le sue mani! Gesù che si dona nell’Eucaristia!
In questa amorevole fragilità del Signore è insita una «buona novella», un messaggio di speranza. Il dono di salvezza di Gesù viene protetto nell’Eucaristia da tutti i tentativi di manipolazione compiuti dagli uomini: da Giuda, dai sommi sacerdoti e dagli anziani del tempio, fino ai potenti dell’Impero romano e a tutte le interpretazioni distorte che sono state formulate nel corso della storia.
Nell’ultima cena, attraverso la lavanda dei piedi e l’Eucaristia, si chiariscono i termini dell’alleanza: Gesù non vuole essere altro che pane di vita per gli uomini. A chi non ha sperimentato questa alleanza, le scene della Passione potrebbero far pensare che il sangue del Signore sia stato versato invano, che il suo corpo, inchiodato alla croce, sia stato martoriato gratuitamente. Invece, per quanti vivono in comunione con Lui, Gesù, trafitto e dissanguato, è più vivo e integro che mai. Già nell’ultima cena, infatti, si scorge la speranza della risurrezione, di cui il gesto dello spezzare il pane diventa il simbolo: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,30-31). Anche in noi questo gesto dovrebbe risvegliare la fede in Gesù risorto.
«Mistero della fede» annunciamo dopo la consacrazione, constatando la fragilità del pane, il corpo di Cristo, diviso dal sangue del Signore contenuto nel calice. Così manifestiamo la nostra fede nel sacrificio del Signore: assistervi con autentica devozione ci lega nel profondo a Lui e al Padre, ci rende un corpo solo con tutta la Chiesa.
Contemplando l’Eucaristia, noi crediamo. È questa la forza contenuta nella fragilità del pane, sacramento della nostra fede, fino al ritorno del Signore.
L’incontro e la speranza
Il Vangelo descrive con intensità le circostanze, semplici e sorprendenti, con cui il Signore volle incorniciare i preparativi per l’ultima cena. A partire da quella santa notte, tutta la nostra vita ruota intorno alle parole dell’amore incondizionato di Gesù: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Il corpo e il sangue del Signore… sacrificato per tutti noi! Il racconto evangelico dell’ultima cena ci invita a percorrere, insieme ai discepoli e a Gesù, due cammini: uno che porta all’Eucaristia e l’altro che ha origine in essa. Il primo è un cammino di incontro, il secondo è un cammino di speranza.
Quello che conduce all’Eucaristia iniziò quel giorno, con la domanda dei discepoli: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mt 26,17). Il Signore li mandò in città dove avrebbero dovuto seguire un uomo con una brocca d’acqua, incontrato per caso lungo la via. Un cammino che appare incerto ma, tuttavia, è sicuro. Gesù li invita ad andare con uno sconosciuto tra la moltitudine della grande città, ma ha già previsto e pianificato tutto. Il Maestro conosce ogni dettaglio della stanza al piano superiore della casa dove sta per donarsi come pane di vita per il mondo.
Essi partirono, obbedienti nella fede. Forse si scambiarono qualche sguardo complice, all’inizio di quella specie di caccia al tesoro che il Signore aveva proposto loro. Il Vangelo ci conferma che «trovarono come aveva detto loro» (Mc 14,16; Lc 22,13). Il Signore indirizza sul giusto cammino quanti si affidano a Lui, in modo che l’obbedienza del discepolo possa fondersi con la sapienza del Maestro. Lo fece con Pietro, quando lo mandò a pescare un pesce dal cui ventre tirò fuori la moneta per pagare il tributo, e anche con i discepoli quando ordinò loro di gettare la rete a destra della barca, oppure di contare quanti pani e pesci avevano a disposizione: «Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere» (Gv 6,6).
Come ricordiamo durante la notte di Pasqua, dal giorno in cui Abramo intraprese il suo cammino di fede «senza sapere dove andava», qualcosa è cambiato per sempre nel percorso dell’umanità. Egli obbedì e fu ricompensato. Anche a noi succede lo stesso quando camminiamo seguendo gli insegnamenti di Gesù, come fecero i discepoli. Quando ci lasciamo «condurre spiritualmente» dal Signore, la strada ci porta all’Eucaristia, al pane dell’incontro, della verità e della vita.
Dopo aver nutrito gli apostoli con il suo corpo, il Signore indica loro un nuovo cammino che è il proseguimento del precedente, ma richiede un impegno più duraturo perché la sua destinazione è il cielo, il banchetto eucaristico che avrà luogo nella casa del Padre, dove Gesù stesso ci farà sedere alla sua tavola e ci servirà. Per dimostrarci che siamo sulla via del Regno, il Signore usa una metafora: dice che non berrà «mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio» (Mc 14,25). Ha inizio così un’era intermedia, quella della Chiesa pellegrina sulla strada che conduce al cielo, dove l’ha preceduta il suo Buon Pastore. È un cammino di speranza verso quel mistero di cui siamo già partecipi attraverso l’Eucaristia. Il sacramento della comunione ci rassicura sull’esistenza del Signore, che ci sta aspettando.
Due cammini dunque, e in entrambi il pane è protagonista. Il cammino quotidiano, tra le cose di tutti i giorni, in mezzo alla città, che termina nell’Eucaristia fraterna, nella messa. L’altro, che attraversa tutta la vita, la storia dell’uomo e che porta alla comunione con il Signore, al banchetto del cielo, nella casa del Padre. L’Eucaristia è il principio e la ricompensa di entrambi.
L’Eucaristia quo...