I tesori di Troia
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I tesori di Troia

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I tesori di Troia

Informazioni su questo libro

Nell'Ottocento Heinrich Schliemann aveva un sogno: provare che le vicende di Troia narrate dal grande Omero non erano frutto della sua fantasia ma realtà storica. Lavorando di giorno e studiando di notte, a quasi cinquant'anni Schliemann è pronto per iniziare gli scavi. Sempre in lotta con le autorità locali, il caldo e la malaria, riesce a raccogliere un'immensa quantità di tesori, oggi depositati nei sottosuoli del Museo Puskin di Mosca. 'I tesori di Troia' propone passi scelti del diario di questo grande e idealista avventuriero.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817116534
eBook ISBN
9788858656907

IX. LE MASCHERE D’ORO DI MICENE

In Inghilterra, per tradizione la patria dei globe-trotter con la loro smania d’andar lontano, il lavoro di Heinrich Schliemann aveva destato grandissimo interesse sin dall’inizio ed è indicativo che proprio il severo «Times» di Londra, ben prima di tutti gli altri giornalai tedeschi, e di altre nazioni, avesse messo a disposizione di quel «dilettante», così sospetto alla scienza rispettabile, le sue colonne tanto ambite. Suscitavano lo stesso interesse anche le ultime notizie giunte con regolarità da Hissarlik e lette avidamente da un pubblico stupito ed eccitato che le commentava e ne discuteva con passione in tutto il paese e di lì a poco anche nel continente così restio alle novità. Se ne parlava ovunque, nell’intimità delle case, per la strada, nelle carrozze ferroviarie e nei foyer dei teatri.
Schliemann aveva redatto quelle notizie con estrema rapidità e le aveva raccolte in un volume; all’inizio del 1874, appena sei mesi dopo aver terminato gli scavi di Troia, che credeva aver concluso per sempre, fu pubblicato il libro Antichità Troiane. Le reazioni furono numerose e apparvero a iosa su giornali e riviste (l’anno successivo sarebbero state più di 90 le pubblicazioni di libri che si occupavano di Omero e di Troia) sotto forma di rapporti, confutazioni, attacchi feroci, denigrazioni, correzioni, e naturalmente furono di nuovo rispolverate le vecchie tesi secondo le quali Omero non sarebbe altro che un mito e tutte le testimonianze parlerebbero chiaramente del monte Bunarbaschi come del luogo dove sorgeva l’antica Troia. Eppure ogni tanto si leggevano pareri di persone convinte dai fatti e dalle argomentazioni di Schliemann.
Ma ancora altre preoccupazioni affliggevano lo scopritore di Troia, che frattanto corrispondeva con mezzo mondo, rettificava false tesi e si occupava della edizione francese del suo libro. Aveva fatto trasportare i fantastici tesori di Troia di nascosto e su percorsi avventurosi, prima ad Atene e poi verso una destinazione segreta. Questo comportamento non si può certo approvare in pieno, anche se molto o forse tutto è a favore di Schliemann il quale sostiene che così facendo ha reso un servigio alla scienza perché ha salvato i gioielli dall’arbitrio e dall’incuria dei turchi. Ma adesso egli era costretto ad ammettere che in ogni caso questa straordinaria collezione di oltre 25.000 «oggetti per la venerazione degli dei o d’uso domestico», in particolare il «tesoro di Priamo, è diventata un peso enorme per me, e la notte non riesco a dormire tranquillo per paura dei ladri».
Cercò allora di fare tutto il possibile per liberarsi da questo fardello e dargli, nel frattempo, una dimora sicura. Propose al governo greco di costruire, a proprie spese, un museo nella città di Atene; in questo modo la preziosa collezione sarebbe appartenuta al suo amato popolo greco. Unica condizione: che gli fosse concesso il privilegio esclusivo di portare alla luce Micene e Olimpia e di conservare per tutta la vita nel suo museo privato tutti gli oggetti che vi avrebbe trovato. Il governo greco rifiutò questa offerta straordinaria perché era spalleggiato dagli archeologi locali che, a detta di Schliemann, «sarebbero capaci di crocefiggere, arrostire e infilzare» gli stranieri premiati dal successo. Ottenne il permesso di scavare solo a Micene mentre Olimpia spettò al governo tedesco che nel frattempo ne aveva fatto richiesta. Pensò anche di comprarsi una casa a Napoli, ma anche lì i suoi tesori non sarebbero certo stati più al sicuro che altrove. Era già in trattativa con il ministro francese della Pubblica Istruzione per vendere i tesori al Louvre; ma qui, oltre alla mancanza di ogni considerazione politica per la Turchia, mancava anche il denaro, così come mancava a Londra (British Museum) dove tuttavia, cinque anni più tardi, nel museo di Kensington venne allestita una mostra dei reperti troiani.
Ma anche altri si interessarono a mostre di quel genere. Berlino voleva esporre l’intera raccolta e per il museo di Napoli erano già state ordinate le teche di vetro; ma il proposito dell’illustre archeologo Alexander Conze di Berlino, che aveva manifestato una stima sempre crescente verso il lavoro di Schliemann, fallì per via dei costi enormi e del dispendio di tempo. E la collaborazione con il professor Fiorelli, che avrebbe iniziato diversi lavori di scavo in Italia (dove lui e altri credevano ci fosse «una città antichissima al di sotto di Pompei»), fallì perché Schliemann versava in preoccupanti condizioni di salute. Gli sforzi immani fatti durante i lavori a Troia, gli affanni e le tribolazioni successive lo avevano spossato, privandolo delle forze. Il dottore lo avvertì che se non si fosse un po’ moderato nel lavoro le conseguenze sarebbero state molto serie. Ma questo monito non impedì a quell’uomo instancabile, appena un mese dopo aver disdetto il lavoro a Napoli, di mettersi in viaggio per Micene, dove avrebbe iniziato «lo scavo di 34 pozzi sull’acropoli».
Ma non furono soltanto le ostilità del mondo della cultura a rendergli la vita difficile. Nella prefazione al libro Antichità troiane già si accenna alle difficoltà incontrate da Schliemann con i rappresentanti del governo turco; ebbene questi disagi, che rappresentavano soltanto la punta visibile dell’enorme iceberg di angherie, tentativi di ricatto e continue seccature causati dall’insopportabile tendenza alla corruzione in Turchia, si sarebbero adesso moltiplicati. Aveva appena iniziato i lavori a Micene, che subito fu costretto a interromperli per via di un procedimento giudiziario che il governo turco ad Atene aveva avviato contro di lui: Costantinopoli pretendeva la metà della sua preziosa raccolta di reperti. Anni più tardi, nel suo libero Ilio,1 Schliemann di tutta questa faccenda scrisse:

II processo durò un anno e alla fine il tribunale m’impose di versare al governo turco, a titolo di risarcimento, la somma di 10.000 franchi. Nell’aprile del 1875 mandai al ministro turco della Pubblica Istruzione non 10.000, ma 50.000 franchi da utilizzare per il Museo imperiale. Nella mia lettera di accompagnamento espressi il vivo desiderio di restare in buoni rapporti con le autorità dell’impero turco, sottolineando che un uomo come me poteva esser loro tanto necessario, quanto loro per me. Sua Eccellenza Safvet-Pascià, allora ministro per l’Istruzione Pubblica, accettò il mio dono con estrema benevolenza e così io, verso la fine del dicembre, 1875, osai recarmi di persona a Costantinopoli, al fine di ottenere un nuovo firmano per esplorare Troia. Grazie all’influente aiuto dei miei stimati amici, Sua Eccellenza Mr. Maynard, ministro residente degli Stati Uniti, Sua Eccellenza il conte Corti, ambasciatore italiani, Sua Eccellenza Safvet-Pascià e Sua Eccellenza il gran logoteta Aristarches-Bei, e soprattutto grazie all’instancabile zelo e alla grande energia di quest’ultimo, aspettavo che di lì a poco mi fosse rilasciato il firmano, quando d’improvviso il consiglio imperiale respinse la mia richiesta.
Ma il gran logoteta Aristarches-Bei si incaricò di presentarmi a Sua Eccellenza Raschid-Pascià che a quel tempo rivestiva la carica di ministro degli affari esteri. Uomo di grande cultura, Raschid-Pascià era stato governatore della Siria per cinque anni, e sarebbe stato assassinato nel giugno 1876. Non mi fu difficile entusiasmarlo per Troia e le sue antichità tanto che volle recarsi di persona da Sua Eccellenza il gran visir Mahmud-Nedim-Pascià, intercedendo per me con estrema sollecitudine; e infatti di lì a poco un ordine del gran visir dispose che il firmano mi fosse consegnato senza ulteriori indugi. E infine, verso la fine dell’aprile 1876, ottenni l’importante documento e senza esitare mi recai subito nei Dardanelli per continuare i miei scavi. Anche qui, purtroppo, fui costretto ad affrontare la decisa resistenza del governatore generale Ibrahim-Pascià, che non era affatto d’accordo sul proseguimento degli scavi. Ai numerosi viaggiatori che volevano visitarli da quando li avevo conclusi nel giugno 1873, il governatore era solite concedere una sorta di firmano che con la ripresa del mio lavoro non sarebbe stato più necessario; era questa, dunque, la probabile ragione del suo dissenso. E così, con il pretesto di non aver ancora avuto la convalida del mio firmano, Ibrahim-Pascià mi trattenne nei Dardanelli per quasi due mesi; poi, quando finalmente mi consegnò il permesso per iniziare gli scavi, mise alle mie calcagna un sorvegliante, un certo Izzet-Efendi che aveva il solo compito di intralciarmi il cammino. (Questo Izzet-Efendi, a quanto mi scrive il sig. Calvert, è stato di recente esiliato per grave peculato ai danni del governo.) Ben presto mi accorsi che in quelle condizioni non sarebbe stato possibile proseguire il lavoro; ritornai perciò ad Atene, da dove scrissi una lettera al «Times» (pubblicata il 24 luglio 1876) nella quale sottoponevo al giudizio del mondo civile il comportamento di Ibrahim-Pascià. L’articolo giunse fin sui giornali di Costantinopoli e di conseguenza il governatore fu trasferito in un altro vilayet nell’ottobre del 1876.
A questo punto avrei potuto continuare indisturbato gli scavi di Troia; ma verso la fine di luglio avevo già ripreso quelli di Micene, e ormai non mi era possibile abbandonarli prima di aver esaminato con cura tutte le tombe reali. Tutti sono a conoscenza della fortuna e del meraviglioso successo che accompagnarono i miei scavi, e di quale straordinaria ricchezza e importanza erano i tesori con cui ho arricchito la Grecia. Son sicuro che nei tempi a venire, anche quelli più lontani, viaggiatori da ogni angolo del mondo confluiranno nel museo miceneo della capitale greca per ammirare e studiare i risultati del mio lavoro disinteressato.
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Si potrebbe supporre che tutte queste incresciose contrarietà e penose discussioni avrebbero occupato i successivi due anni della sua vita, e nel caso di una persona normale sarebbe accaduto proprio questo. Ma quell’uomo così consapevole di sé e capace di invitare nel suo museo di Atene tutto il mondo della cultura che ne era interessato, aveva forza e tempo a sufficienza per compiere lunghi viaggi sulla terraferma attraverso tutta la Grecia, ed annotare di volta in volta le leggende locali; fu anche in grado di mettere a confronto i reperti che aveva trovato a Troia con quelli raccolti nelle collezioni preistoriche inglesi, tedesche ed italiane. Partì poi per la Sicilia dove avrebbe scavato nella fortezza fenicia di Motye, ma solo per qualche giorno perché il V secolo a.C. lo interessava poco. Lavorò a Kyzikos sul mar di Marmara, ma anche i resti romani che qui riuscì a scoprire, destarono ben poco il suo interesse.
Anche la faccenda della Grande Porta venne finalmente sistemata e Schlielnann fu in grado di proseguire il suo lavoro là dove un anno e mezzo prima era stato costretto a interromperlo. Micene la sanguinaria, costruita secondo la leggenda da Perseo, «nell’angolo più remoto dell’Argos nutrice di cavalli» a sud di Corinto, la capitale del piccolo regno degli Achei, era stata il palcoscenico delle tragedie più ricche di pathos scritte nell’antica Grecia: il rimpatrio e l’assassinio del re Agamennone per mano della propria consorte, Clitennestra, e la sanguinosa vendetta dei suoi figli, Oreste ed Elettra. Ma è anche la città «d’oro», che secondo Omero era più ricca di Troia.

Micene fu la nuova grande meta di Heinrich Schliemann. Aveva trovato la via per Troia quasi come un sonnambulo, guidato soltanto dalla mano incerta di un poeta cieco, Omero, e in contrasto con tutta la scienza moderna; anche questa volta decise di affidarsi, piuttosto che ai suoi contemporanei, ad uno scrittore dell’antichità: Pausania. Giunto a Micene nel 170 d.C., Pausania aveva descritto quello che continuano a vedere i posteri; la famosa Porta dei Leoni e le cosiddette case dei tesori. Ma aveva narrato anche delle tombe di Agamennone e di tutte le altre che non era più possibile vedere; la questione relativa alla loro collocazione allentò la tensione fra Schliemann e le autorità archeologiche del suo tempo. Loro credevano che in base alle indicazioni di Pausania le tombe si trovassero al di fuori del vallo, mentre Schliemann sosteneva che interpretando correttamente Pausania, dovessero risultare collocate all’interno. E Schliemann volle dimostrarlo senza soffermarsi a discutere e interpretare, bensì scavando quelle tombe.
Ma uno strano timore lo trattenne dal farlo come già a Troia pochi anni prima, e così ripiegò verso Tirinto, a parecchi chilometri più a sud.


Tirinto, 6 agosto 1876

Nella pianura dell’Argolide, nell’angolo sud-est, si innalzò una schiera di alture rocciose che emergono dalla depressione paludosa come isole; sulla più bassa e piatta di queste, a una distanza di soli otto stadi o circa 1.500 metri dal golfo di Argo, sorgeva l’antichissima cittadella di Tirinto, oggi chiamata Paleocastro: Godeva di grande considerazione per aver dato natali a Ercole, ed era famosa per via dei suoi muri ciclopici, dei quali Pausania dice: «Il muro di cinta, che è la sola testimonianza rimasta [di Tirinto], fu costruito dai ciclopi; è formato da pietre grezze, tutte così grandi, che non sarebbe bastato il tiro di due muli insieme per riuscire a smuovere anche la più piccola dal suo posto; gli interstizi sono riempiti con pietre piccole, in modo da fissare ancor meglio i massi al proprio posto».
Di solito le pietre della cinta muraria sono lunghe 2,33 metri e spesse 1 metro, ma io ne misurai parecchie che erano lunghe 3 metri e spesse 1 metro e mezzo. A giudicare dalla massa di pietre cadute è giusto pensare che il muro di cinta, quando era ancora intatto, raggiungesse i 18 metri d’altezza.
Mi pare giunto il momento opportuno per sottolineare che la definizione «mura ciclopiche» è usata del tutto a sproposito e deriv...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CRONOLOGIA DELLA VITA
  4. BIBLIOGRAFIA
  5. SULL'IMPOSTAZIONE DEL TESTO
  6. I. IL SOGNATORE DI TROIA
  7. II. IL MESSAGGIO DI OMERO
  8. III. IL MONDO DI ODISSEO
  9. IV. VERSO AGAMENNONE
  10. V. ALLA RICERCA DI TROIA
  11. VI. UN SOGNO DIVIENE REALTÀ
  12. VII. RITROVAMENTI ED ERRORI
  13. VIII. IL TESORO DI PRIAMO
  14. IX. LE MASCHERE D'ORO DI MICENE
  15. X. DI NUOVO A TROIA
  16. XI. OMERO HA ESAGERATO?
  17. XII. TIRINTO, LA CITTÀ DEI CICLOPI
  18. XIII. DI PASSATO IN PASSATO
  19. I RISULTATI DELLA RICERCA DOPO SCHLIEMANN
  20. NOMI E CONCETTI