Ricordi di scuola
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Ricordi di scuola

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ricordi di scuola

Informazioni su questo libro

Io vi parlo qui del tempo in cui, ragazzi, andavamo a scuola; del tempo che vorremmo tornasse, ma è impossibile. Dei sogni, delle speranze che avevamo nel cuore; della nostra innocenza; delle lucciole che credevamo stelle perché piccolo piccolo era il nostro mondo, basso basso il nostro cielo. Vi parlo delle stesse cose che voi ricordate, e se ve le siete scordate v'aiuto a ricordarle. Di quelle cose perdute che voi ora ritrovate nei vostri figli e vorreste - tanto sono belle - che non le perdessero mai. Giovanni Mosca

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817125680
eBook ISBN
9788858658208

VII.

IL MARCIATORE COL PALTONCINO

Ronconi non era un bambino, era un’anima.
Quegli occhi grandi e neri, che sembravano ancora più grandi nel visetto pallido ed affilato, domandavano sempre, domandavano cose cui, spesso, non sapevo rispondere.
«Signor maestro, dov’è il cielo?... No, non quello che si vede, azzurro: quello è aria, lo so; ma quello dove sono gli angeli, dove va chi è stato buono...».
Sono cose che nessuno sa, nemmeno i maestri, che dovrebbero saper tutto.
«L’ho domandato alla nonna, neppur lei m’ha saputo rispondere».
La nonna era una vecchietta imbacuccata in uno scialle nero, che veniva tutti i giorni a prendere il nipotino, ma solo perché gli voleva bene, per prendergli il visetto tra le mani e baciarlo sulla fronte, non per accompagnarlo per la strada, perché era lui, piuttosto, che accompagnava lei, e le offriva la spalla perché vi appoggiasse la mano; e a vederli andar via, lui piccolo ancora, lei divenuta piccola come lui, pensavo, con una stretta al cuore, a quel cielo cui erano tanto vicini tutti e due.
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Era una vecchietta buona e addolorata, portava uno di quei cappellini neri legati sotto la gola con un nastro di velluto; quando mi parlava mi prendeva una mano carezzandomela, come a un figlio:
«Signor maestro, il mio nipotino studia troppo, legge sempre, gli fa male... ditegli che deve giocare, si deve divertire, come tutti i bambini della sua età...».
«Glielo dico sempre, signora, l’ho messo vicino a Martinelli ch’è il più allegro della classe... Di’, Ronconi, adesso ch’è primavera faremo delle passeggiate, andremo sui prati, formiamo le squadre di calcio, io starò in porta e tu sarai il centrattacco... se gioco io che sono il maestro, giocherai anche tu, non è vero?».
Ricorderò sempre quel visetto e quel sorriso, piegati, un po’, sulla spalla destra: quella spalla su cui la nonna appoggiava la mano, lieve lieve, una mano senza peso. Mi guardava sempre, ascoltava, in classe, avidamente, le mie parole, sperando d’imparar qualche cosa che non sapesse; lo vedevo, ogni tanto, sul punto di farmi una domanda, ma poi scuoteva il capo e riabbassava la mano che aveva quasi alzata, comprendendo che, se avessi risposto alle domande che avrebbe voluto farmi, gli altri non avrebbero capito niente. E io non potevo fare lezione per lui solo. Dovevo badar bene. piuttosto, a dir cose comunissime, semplici semplici, che tutti capissero, che anche Crippa capisse. Crippa era un ragazzino alto e grosso, con lunghissimi peli sulle gambe, che da anni e anni faceva la quarta, e non si capiva mai bene se dormisse o stesse sveglio perché aveva le palpebre fortemente abbassate per natura, come le saracinesche dei negozi dopo le otto e mezzo di sera, abbassate per far capire al pubblico che è chiuso, ma non tanto da non permettere ai commessi rimasti dentro per fare i conti di uscire carponi col risonante mazzo di chiavi in mano.
Alla fine dell’anno lo promossi, sia perché ritenevo doveroso liberare la scuola di un ragazzo simile, sia per evitare che la vecchiaia lo cogliesse ancora nelle scuole elementari.
Un giorno Ronconi — c’era marcia e corsa in cortile — venne in classe vestito che pareva un vecchino; la nonna lo accompagnò fino alla porta e mi pregò di non fargli levare il paltoncino: «Gli può far male, signor maestro... ancora l’aria è fresca».
«Un marciatore col paltò!», disse Martinelli che sembrava un soldato, e ardeva per l’impazienza di passare davanti alla Direttrice a passo di parata. «Guarda, io non ho niente sotto», e fece vedere, sotto la camicia, la pelle nuda.
Quanto a Crippa, il suono dei tamburi che veniva dal cortile lo elettrizzava, tenendolo abbastanza sveglio; ma appena i tamburi cessavano, ecco che tendeva a riaddormentarsi.
Ma un suono di tromba lo fece sobbalzare.
«Adunata! Adunata!».
Già in cortile, quando giungemmo noi, i plotoni (ogni classe, essendo formata di poco più di trenta alunni, costituisce un plotone) erano allineati, pronti a sfilare davanti alla Direttrice, grassa e rossa in viso, ritta su una specie di pedana, circondata da uno stato maggiore di maestre che facevano il possibile per darsi un’aria fiera e guerresca, ma non potevano fare a meno di bisbigliare rapidamente fra loro, come sempre hanno fatto e faranno tutte le maestre del mondo.
Allineai il mio plotone con gli altri, e accanto a Martinelli, fiero, dritto, con l’occhio acceso, col cuore che batteva insieme ai tamburi, insieme agli altri che, impazienti, già segnavano il passo sognando le bandiere, l’assalto, la polvere luminosa delle battaglie, stava Ronconi col paltoncino; il berretto, troppo largo per quella testina, gli scendeva fin sugli occhi e non si vedeva che la bocca e il piccolo mento affilato.
«Non così, non così, Ronconi, non la testa inclinata sulla spalla...».
Mi guardava alzando molto il viso perché aveva il berretto sugli occhi, e pareva dirmi:
“Lo sai che non gliela faccio. Mi piacerebbe tanto essere come Martinelli, poter andare con la sola camicia aperta sul collo, senza niente sotto, ma non posso... La Direttrice, adesso, mi manderà via, perché è brutto vedere un marciatore col paltoncino...”.
Fu comandato il “fianco destr!” e i plotoni cominciarono a sfilare davanti alla Direttrice: la ghiaia del cortile scricchiolava sotto i passi di ottocento ragazzi che parevano ottocento soldati; solo uno, ce n’era, col paltoncino e i polsi esili, dalle piccole vene azzurre che si vedevano.
“Adesso”, pensavo, “la Direttrice lo vede e lo manda via...”.
«Di corsa!», tuonò la Direttrice che poteva solo ordinare di correre, ma guai se, un giorno, lo avessero ordinato a lei...
«Di chi è quel ragazzo col paltoncino?».
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«Mio, signora Direttrice».
Presi Ronconi per la mano, lo portai in un angolo. «Stai buono qui, finita la sfilata ti verrò a prendere. No, non all’ombra, qui al sole. Sudi?».
«Signor maestro, vi voglio bene. Come alla nonna».
«Anch’io, Ronconi. Ti porterò a fare delle passeggiate con me, poi, piano piano, diventerai come gli altri, come Martinelli, faremo lunghe gite, e porterai lo zaino... E un giorno faremo venire la nonna a vedere l’adunata: “Guarda il tuo nipotino”, le diremo, “che sfila con tutti gli altri. Stanco? Macché stanco! Lo zaino è per lui come una piuma...”».
Rispose con un sorriso triste, mi teneva una mano con le sue, e dovetti dirgli:
«Lasciami», e tornai di corsa al mio plotone che sfilava proprio in quel momento davanti alla Direttrice: Martinelli le passò davanti piantandole addosso due occhi spalancati e scintillanti, come se volesse bucarla, e perfino Crippa riuscì a sollevare le palpebre che gli ricaddero immediatamente, però, appena oltrepassata la Direttrice, e che si fosse addormentato lo prova il fatto che all’ “alt!” seguitò a camminare fieramente, dirigendosi con passo sicuro verso il muro.
La Direttrice si congratulò con me come un vecchio generale:
«Però», mi disse, «quel ragazzo là è meglio che non prenda più parte alle adunate».
Salutai e tornai da Ronconi, ma non gli dissi niente.
«Che ha detto la Direttrice?».
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«Torniamo in classe, Ronconi».
E in classe, quel giorno, non feci lezione: chi poteva tenere trentacinque ragazzi elettrizzati dal suono delle trombe e dei tamburi? Chi poteva tenere Martinelli che aveva avuto una lode particolare dalla Direttrice: il miglior marciatore di tutta la scuola? E mentre gli altri facevano chiasso, parlai con Ronconi: gli dissi che non doveva leggere, studiare tanto.
«Non pensare a certe cose che sono più grandi di te; nemmeno gli uomini ci pensano, nemmeno io che sono il tuo maestro. Dai componimenti che scrivi si vede che sei solo, troppo solo, ti manca un compagno con cui giocare; Martinelli, per esempio, perché non giochi con Martinelli?...».
«Martinelli non pensa a niente, signor maestro. E poi con me non ci vuol stare, dice che son matto..».
«Martinelli, vieni qui. Perché non giochi con Ronconi, e non gli fai compagnia?».
«È matto, signor maestro. Studia anche a casa».
Mi guardò, indignato.
«Non voglio diventare come lui. Mi dice cose che non capisco: l’altro giorno, ai giardini, coglievamo fiori per farne tanti mazzi e portarli a voi, e lui ne colse uno solo, piccolo piccolo, e disse che era la stessa cosa cogliere un mazzo grande e un fiore solo...».
Guardò Ronconi quasi con timore e tornò al proprio posto a parlare di battaglie con i compagni, facendo spesso l’atto di puntare un fucile.
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«Ronconi, adesso che è primavera bisogna muoversi...».
«Signor maestro, io mi sento peggio, a primavera».
Si sentì bussare alla porta, entrò il bidello:
«Domani mattina, alle dieci, visita del signor Ispettore».
Di colpo si spensero tutti gli ardori guerrieri.
«Madonna mia», disse Leonardi, un ragazzo piccolo piccolo, con gli occhiali, alzandosi in piedi e giungendo le mani come in chiesa, «fa che non m’interroghi e ti prometto che non mangerò ciliege per una settimana!».
«Che venga!», esclamò Martinelli, ma lo guardai fisso e gli feci abbassare gli occhi.
Quel mio sguardo voleva dire:
“Tu non verrai, domani, Martinelli. Tu domani, alle dieci in punto, mentre entrerà l’Ispettore, te ne starai ai giardini, a fare gran mazzi di fiori...”.
Beato te che lo puoi fare... Io, invece, dovrò star qui, consegnargli i registri, illustrargli il programma svolto... “Signor maestro”, mi dirà, “siete in regola col programma? Avete spiegato i verbi irregolari?”. “Certamente, signor Ispettore”, risponderò io, bugiardo come uno scolaretto. “Abbiamo fatto tutti i verbi irregolari, e se volete interrogare i miei ragazzi...”.
Ah, non c’è momento, per un maestro, più terribile di questo: può darsi che l’Ispettore, pago della risposta, non interroghi, e allora il cuore, che s’era fermato, ricomincia a battere, come i tamburi di ieri in cortile; ma può darsi anche che: “Be’!”, dica, “sentiamo quel ragazzo piccolo, con gli occhiali, in prima fila. Come ti chiami, ragazzo?”.
“Leonardi Alberto”.
“Bravo. Sai dirmi qualche cosa sui verbi irregolari?”.
“Signor Ispettore, i verbi irregolari il signor maestro ancora non ce li ha spiegati...”.
E allora è la fine. Il signor Ispettore aggrotta le sopracciglia e se ne va senza dire una parola, e poco dopo il bidello bussa alla porta e, facendo capolino:
“Signor maestro”, dice con gioia malvagia, “siete desiderato in direzione”.
Io mi trovavo, appunto, a non aver spiegato ancora niente dei verbi irregolari: non ero un maestro metodico che andasse, giorno per giorno, di pari passo col programma: no, spiegavo un giorno la grammatica, e un altro giorno parlavo dei fiori, un altro giorno di Furio Camillo che salva Roma dai Galli arrivando come un fulmine sulla groppa di un cavallo bianco, proprio nel momento in cui l’odioso Brenno, posta sulla bilancia anche la pesante spada: “Guai ai vinti!”, esclama, e i ragazzi applaudivano, e mi domandavano notizie di quel cavallo bianco:
«Signor maestro, era grosso? Correva molto?».
«Come il vento», rispondevo, «come il vento», e m’entusiasmavo anch’io per quel cavallo; credevo, come i ragazzi, che bianco, candido come la neve, fosse effettivamente il cavallo col quale Camillo aveva liberato Roma.
Poi guardavo Ronconi, Ronconi sorrideva, e mi vergognavo un po’ di questi slanci: mi pareva di essere un ragazzino di fronte a un uomo, e abbassavo gli occhi.
«Ragazzi», dissi con gravità cercando di farmi vedere calmo e tranquillo, «domani mattina verrà il signor Ispettore e probabilmente interrogherà anche sui verbi irregolari... Lo so, lo so, voi non siete in obbligo di saperli perché io non ve li ho spiegati... ma vediamo un po’, non ne sapete proprio niente? Tu, Leonardi, se il signor Ispettore, domani mattina, ti dicesse...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE
  4. PREFAZIONE
  5. I. - TORNARE MAESTRO
  6. II. - LA CONQUISTA DELLA QUINTA C
  7. III. - IL MIRACOLO DELL'ALBERO
  8. IV. - COMPITO IN CLASSE
  9. V. - BATTISTON LORENZO
  10. VI. - IL GIARDINO INCANTATO
  11. VII. - IL MARCIATORE COL PALTONCINO
  12. VIII. - PRIMAVERA IN CORTILE
  13. IX. - ODOR DI FRITTATA
  14. X. - LA SIGNORINA CENCI
  15. XI. - IL SEGRETO DEL MAESTRO
  16. XII. - LA MONETINA D'ORO
  17. XIII. - CORACINI ADRIANA
  18. XIV. - IL TESORO DEL MAESTRO PAGLIANI
  19. XV. - ANCHE GLI UCCELLI VANNO A MESSA
  20. XVI. - L'OROLOGETTO FINTO
  21. XVII. - LA LUCE NELLA SCATOLETTA
  22. XVIII. - ULTIMO GIORNO DI SCUOLA
  23. XIX. - I FIORI NEL TEOREMA DI PITAGORA
  24. XX. - ADDIO ALL'ESAME DI STATO
  25. XXI. - PERCHÉ AVETE PAURA DEL PROFESSORE