Quattro amiche e una notte d'estate (Youfeel)
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Quattro amiche e una notte d'estate (Youfeel)

  1. 60 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Quattro amiche e una notte d'estate (Youfeel)

Informazioni su questo libro

«Troppo amore! Troppo amore!» Marta, Maria Carla, Simona e Veronica sono trentenni molto diverse fra loro che spesso litigano, non si capiscono, si rinfacciano errori e mancanze, e si vogliono un bene dell'anima. Così quando Simona, in trasferta di lavoro a Parigi, telefona disperata perché ha scoperto che il suo capo, con cui ha una relazione, non ha intenzione di lasciare la moglie e anzi l'ha invitata in Francia con loro, le altre tre non esitano un istante e la raggiungono per impedirle di commettere una sciocchezza. Perché si sa l'affetto tra amiche emerge nel momento del bisogno. E non ci sono malumori o progetti andati in fumo che possano impedirlo. Così quella che doveva essere una missione pericolosa si trasforma presto in un'avventura entusiasmante. Da ricordare e da raccontare. Amori non corrisposti, fidanzati troppo seri e spasimanti troppo giovani, risate, lacrime e chiacchiere notturne. Un romanzo che intreccia l'amicizia al femminile all'ironia, da consigliare rigorosamente alle migliori amiche. Mood: Ironico - YouFeel è un universo di romanzi digital only da leggere dove vuoi, quando vuoi, scegliendo in base al tuo stato d'animo il mood che fa per te: Romantico, Ironico, Erotico ed Emozionante.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2015
eBook ISBN
9788858680315

CAPITOLO DUE

In ritardo, in ritardo, fa’ che siano in ritardo... Una Marta in mutande e reggiseno rigorosamente scoordinati si aggirava disperata per casa. Aveva insistito perché le altre arrivassero puntuali per le undici, «Così usciamo presto e non ci bruciamo metà della serata in casa», ma adesso, a cinque minuti dal loro arrivo, la vestizione del torero (definizione poco adatta: un matador ci avrebbe messo meno) era ancora in alto mare. Uno psicologo dilettante avrebbe sentenziato che questo ritardo era voluto, almeno inconsciamente. E avrebbe avuto ragione. Aveva caricato questa serata di così tante aspettative da non avere più adrenalina in corpo, e l’unica cosa che avrebbe voluto fare era avvolgersi nel piumone e infilarsi quantità spropositate di cibo cinese in bocca guardando reality show assurdi e amorali in televisione. Invece era lì senza sapere assolutamente cosa mettersi, e, scaltramente, per ingannare l’indecisione procedeva al contrario: prima scegliendo le scarpe e gli accessori, poi sarebbe venuto il vestito. Un metodo destinato al fallimento.
Citofono.
Si congelò: le mani tentavano di infilare l’orecchino ma non ci riuscivano. Rifletté nervosa: Non rispondo, penseranno che sono uscita a prelevare e ripasseranno tra mezz’ora. O magari dico che sto male e non usciamo. Oppure moriamo tutte.
Citofono. Citofono. CITOFONO!
Andò ad aprire imprecando e grugnendo come un cinghiale assatanato. Massimo l’aveva presa in giro con una punta di disprezzo l’unica volta in cui l’aveva vista diventare così rozza. Erano quasi quattro anni che stavano insieme e lei non aveva ancora la serenità necessaria per mostrarsi tranquillamente per quello che era. Per sua fortuna non c’era tempo per pensarci: Simona si era già fiondata in casa, seguita da Maria Carla: «Carina, come idea! Che scarpe ci abbini a quelle culotte?» Simona non riuscì a essere così ironica: «Ma l’unica a rispettare gli orari sono io? Siamo arrivate dieci minuti in ritardo per colpa di questa qui e tu sei ancora nuda? Bah, vabbe’... Veronica non viene, comunque, aveva dei parenti in visita o roba del genere. Più che una famiglia, sembrano una comune: sempre appiccicati, stanno!».
Marta avrebbe voluto già eliminarle e non erano entrate nemmeno da due minuti. «C’è della vodka in frigo, tiratela fuori che avete già rotto!» sbraitò.
«Santa Vodka!» esclamò Maria Carla ispirata. Marta era ancora seminuda, ma sopra l’intimo indossava una vestaglia, che apriva in continuazione per pinzarsi i fianchi con le dita e mostrare alle amiche quanto era «grassa». Simona si era tolta le scarpe e dal divano su cui era stesa pontificava sulla necessità di cominciare le diete a settembre, non in primavera. «È troppo tardi, ormai! Io, per esempio, vado sempre dalla dietologa alla fine dell’estate, dopo aver passato tre settimane giù dai miei a mangiare anche le gambe dei tavoli. Ma tu non sei grassa. Smettila di dire cazzate e vestiti.»
«Sai cosa puoi fare per decidere cosa metterti? Butta giù un altro po’ di vodka e comincia a provare cose a caso. Vedrai che l’ispirazione arriverà. Devi avere fiducia nel caos.»
Era passata mezzanotte, Simona si stava spazientendo e Marta aveva finalmente voglia di uscire e divertirsi. «Carletta, hai ragione: un po’ di scelte alla cieca non potranno mica uccidermi! Gira la moda e fuori di qui!»
Ci sono due tipi di tassista, la notte: quelli che accompagnano le ragazze un po’ brille nei locali con malcelato fastidio e quelli contenti di trovarsi nell’auto un gruppo di sgallettate che li tengono svegli. Quello capitato alle nostre eroine era della seconda specie; tra i più entusiasti, per la precisione. « llora, tre belle ragazze come voi cosa ci fanno a quest’ora? Non ditemi che siete in cerca di un fidanzato perché non ci credo che non ce l’abbiate già.» Risate sarcastiche da dietro.
«Avercelo o non avercelo, vestita così non potrei trovarne uno nemmeno se fossero tutti ciechi! Ma perché mi avete fatto uscire in questo stato?»
«Ma scusa, quale sarebbe il problema? Sei luminosissima!» la rassicurò Maria Carla, che le aveva fatto da stylist.
«Sembro scampata a un naufragio negli anni ’80! Lurex luccicante su gonna a vita alta? Ma dove voglio andare? Un altro po’ e mi si vedono le mutande!»
Sguardo di disapprovazione di Maria Carla: «E cosa te ne frega? L’importante è che ce le abbia! E perché compri le gonne corte se poi ti vergogni di metterle? Sempre a censurarsi, sempre a tarparsi le ali! Sempre con queste mutande in testa!»
«Smettila con queste analisi psicologiche da discount. È tutto l’insieme che è ridicolo!»
«Perché non hai completato il look! Dovevi tirarti su i capelli e aggiungere orecchini enormi, ma tu non mi ascolti. Dai, girati, te li sistemo mentre stiamo andando. Simo, dammi qualcosa per tenerglieli su.» Marta sospirò e diede le spalle a Maria Carla. A questo punto, tanto, cos’aveva da perdere? Al massimo qualche figa di legno l’avrebbe guardata dall’alto in basso, ma la cosa non la toccava più di tanto. Stavano andando al Movida, mai nome fu più cretino, per fare contenta Simona, che continuava a sgridarle per il ritardo.
«Simo, devi solo ringraziarci: non metterei mai piede in un posto del genere se non fosse per te!»
«Martuccia, non preoccuparti. Noi beviamo, diventiamo ubriache e stupide e per punizione la facciamo vergognare davanti a tutto il suo mondo dorato!»
«Sììì! E mentre lei cerca di allontanarsi, noi, col trucco sbavato e la bava alla bocca andiamo ad abbracciarla davanti a tutti!»
«Siete due stronze maledette!» urlò Simona. Il tassista frenò di botto a un rosso, si girò preoccupato. L’urlatrice guardò le altre due con uno sguardo da assassina, scosse la testa con disprezzo e le fissò silenziosamente. Improvvisamente tutte e tre scoppiarono in una risata sguaiata. Il trio era salvo, il tassista poteva tornare al volante sereno. Due minuti e arrivarono.
«Ma con chi è che sta parlando Simona? L’ennesimo collega? Eccheppalle!»
«Non so se lavorino insieme, ma qua è pieno di avvocati o cose del genere: scegliamocene uno e facciamole causa per averci portato in questo posto orribile. Sono tutti infighettati e tirati a lucido, nessuno che balli davvero... Secondo te, anche lei è così? Cioè, pensi che questo sia proprio il suo ambiente?» domandò Marta lanciando da lontano un sorriso rassicurante a Simona.
«Penso di sì. Quand’è l’ultima volta che siamo uscite insieme? Due mesi fa? Quando vi ho portato in quella specie di galleria d’arte occupata? Sembrava completamente a disagio. Guarda com’è contenta qui, invece. E guarda come ti guarda quel tipo lì in fondo, vicino alla colonna!»
«Chi? Quell’infante? Ma sei scema? Avrà appena compiuto diciotto anni, figurati se guarda me.»
«L’età è solo un numero. E lui è carino, molto. E sembra essere capitato qui per sbaglio, come noi. Magari si è perso e vuole che una piacente donna matura lo riporti a casa. Potresti essere la sua MILF! E girati!»
Marta scandagliò con gli occhi la marea di presunti avvocati e presunte aspiranti fidanzate di. Lì in mezzo, appoggiato a una colonna con lo sguardo perso c’era un ragazzo. Castano chiaro, sbarbato, un po’ più alto della media, cardigan blu aperto su t-shirt giallo pallido, pantaloni sabbia e Converse basse slavate. Si capiva che aveva fatto degli sforzi disperati per cercare di non sembrare troppo fuori luogo. Senza riuscirci. L’imbarazzo era palpabile e Maria Carla gli sorrise incoraggiante. Poi, tra i denti, biascicò a Marta: «Srrdi pre t, crtina.»
«Ma stai scherzando? Solo perché è carino e mi guarda? Ammesso che stia guardando me, poi. Un fidanzato ce l’ho già, se ti ricordi, e non ha la metà dei miei anni.»
«Oh, sei la più pesante del mondo! Vabbe’, io vado a parlarci, almeno gli tengo compagnia per cinque minuti. Speriamo non si innamori di me.» Maria Carla si alzò con leggiadria affettata e andò dal ragazzo. Marta la guardava senza dire niente. I suoi modi diretti la lasciavano sempre perplessa; da una parte la invidiava, dall’altra ne era infastidita: il mondo non era fatto solo di persone che afferrano quello che vogliono. Ce n’erano altre che aspettavano e contemplavano l’oggetto del desiderio senza agire, per paura di sciupare qualcosa che ancora non era nato. Lei era fatta così. A volte questa sua inettitudine le sembrava frustrante; altre volte si rivelava un riparo perfetto.
Simona si avvicinò e la salvò da questa deriva intimista. «Dov’è andata quella?» Marta gliela indicò con il dito. «Ci sta provando col ragazzino? Si è già dimenticata il grande artista Werter senza acca?»
«No, dice che l’infante stava guardando me e pretendeva che gli sorridessi e facessi la gallina. Ma dico, un po’ di rispetto per Massimo e per la nostra storia! Mah! Io prendo un vodka lemon. Vuoi qualcosa?»
«Pesante! Certa gente non crescerà mai. A trent’anni ha ancora paura delle relazioni fisse. Le voglio un bene dell’anima, ma dovrebbe smetterla di fare l’universitaria a vita.»
Come al solito, Marta si ritrovava tra due fuochi. Non riusciva a essere sregolata e senza pensieri come Maria Carla, ma la maturità sbandierata da Simona era davvero troppo pretenziosa anche per lei. Nel dubbio su come uscirne, abbozzò una frase a caso e si attaccò al cocktail. Molte amicizie sono state salvate da una scelta del genere.
«Ma con chi stavi parlando, prima? Sembravi la regina del locale. Conosci tutti?»
«Più o meno. Sono persone che frequento per lavoro. Alla fine mi fa piacere vederle anche fuori: abbiamo gli stessi interessi.»
«Nel senso che con noi non è così? Che stronza!» la provocò l’altra con un sorriso perfido. Simona avrebbe voluto risponderle, ma Maria Carla, che si faceva strada tra un branco di bionde tinte male (o «gialle», come le chiama Marta) con uno sguardo fiero stampato in faccia riuscì a intromettersi in tempo: «Allora, il nostro obiettivo…»
«Nostro di chi? Tuo, vorrai dire. Non tirarmi in mezzo», la interruppe Marta mentre l’amica si attaccava alla cannuccia del suo cocktail. «Vabbe’. Comunque si chiama Giacomo e ha ben ventitré anni. Studia Scienze Politiche ed è stato trascinato qui per qualche motivo che non ho capito perché eravamo troppo vicini alla cassa. Ha detto che sei molto carina. E voleva sapere se eri libera.»
«Davvero te l’ha chiesto?» chiese con gli occhi sbarrati Marta, dimenticandosi di nascondere una punta di narcisismo.
«Sì. Ovviamente gli ho dovuto chiedere io a chi di noi due stesse sorridendo. Diciamo che l’ho costretto a dirmelo. Ma non importa: gli ho detto che non sei libera, quindi pace. Io prendo qualcosa da bere per noi due, me e lui. Vi dispiace se lo faccio avvicinare un attimo qui? Dice che si sente a disagio più di noi, in questo posto orrido.» Un’occhiata veloce a Simona, la certezza di aver detto la cosa sbagliata. Tentativo di recupero con occhi sbarrati e sorriso di plastica. «Ma io mi sto divertendo comunque, Simo! Scherzavo!» Marta provò ad aiutarla a sgonfiare il potenziale litigio. Se il ragazzino era in arrivo, le servivano entrambe concentrate per evitare una figura orrida, pensò. Senza nemmeno rendersi conto che «non voler fare una figuraccia» era sinonimo di «voler fare bella figura». Ignara dei trucchi della propria mente, continuò a bere.
Dall’altra parte del locale, Giacomo finì metà bicchiere in due sorsi: aveva bisogno di sentirsi intraprendente per andare a parlare con... Come aveva detto che si chiamava l’amica? Marta? Maura? Martina? Cazzo!
Marta non sapeva perché, ma aspettava che «l’infante» si avvicinasse. In parte era un fastidio che voleva togliersi di torno; ormai Maria Carla aveva combinato quel casino, non c’era modo di evitarlo. In parte, ma di questo era meno consapevole, le piaceva essere il centro dell’attenzione di qualcuno, anche solo per un momento. Certo, nel racconto della serata a Massimo ci sarebbe stata qualche omissione, dopo questo episodio. Ma l’avrebbe ascoltata, comunque? Immersa nei meandri del cervello, sentiva in sottofondo le voci delle amiche che continuano a discutere. Ogni tanto riusciva a intercettare, in mezzo alla musica e ai rumori della folla, qualche scampolo di frase, e si rese conto che la sobrietà non regnava sovrana. Maria Carla voleva fare la disinvolta davanti a Simona, ancora offesa per la sua uscita, e tracannava il suo cocktail alla velocità della luce.
Marta era ancora impegnata in pensieri che si ingarbugliavano tra vanità, sensi di colpa e frasi a effetto da prima presentazione quando sentì un debolissimo «Ehm... ciao» provenire da qualche parte. Alzò la testa: l’infante era davanti a lei. Lo guardò. Guardò le amiche. Lo riguardò. Diede un colpetto a Maria Carla. Le fece versare il cocktail. Si rigirò verso di lui. Lui ripeté: «Ehm... ciao». Simona annunciò: «Va bene, io vado in bagno». Maria Carla biascicò: «Forse ho bevuto troppo, non sto molto... benissimo». Marta lo fissò con aria da martire e gli disse: «Senti, aiutami a portarla fuori, così le facciamo prendere aria. Intanto passo a prenderle il cappotto al guardaroba».
Entrambi sospirarono: un approccio da manuale.
«Quindi ti chiami...?» chiese Marta mentre cercava di far sedere Maria Carla su un muretto.
«Giacomo, piacere. Tu sei Marta, no? Forse ti dovresti sedere accanto alla tua amica e tenerla da dietro, altrimenti si ribalta. Venite spesso qui?»
«No, è la prima volta, e penso sarà anche l’ultima. Mi aiuti a metterle il cappotto? Questa si assidera, altrimenti. Sempre in giro mezza nuda... L’adolescenza è finita da secoli!»
«Be’, scusa, lo so che non si chiede, ma quanti anni hai? Non mi sembri così... vecchia.»
Marta lo fulminò con lo sguardo. Poi ci ripensò e si trasformò in una gallina leziosa: «Tu quanti me ne dai?» chiese sorridendo, mentre dentro di sé pregava che gliene desse qualcuno in meno.
«Boh, non so... Io ne ho ventitré... Tu ne avrai... Ventisette?» ipotizzò lui allungando il collo e guardandola con attenzione.
«Ma mi stai analizzando per vedere se ho le rughe? Ne ho ventinove.» Poi lo guardò e sbarrò gli occhi: «Aspetta… ventitré? Quindi vuoi dirmi che sei nato nel... 1992? Sto parlando con una persona nata negli anni Novanta? Oh, dei dell’Olimpo, aiutatemi voi!» Alzò al cielo il braccio libero in segno di implorazione fingendosi disperata.
«Ah. Ah. Ah. Simpatica. Se ti può consolare ho compiuto gli anni qualche giorno fa. Sono nato all’inizio del 1992. Va un po’ meglio?»
Marta si scurì di c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Capitolo Uno
  4. Capitolo Due
  5. Capitolo Tre
  6. Capitolo Quattro
  7. Capitolo Cinque
  8. Capitolo Sei
  9. Capitolo Sette
  10. Capitolo Otto
  11. Capitolo Nove
  12. Capitolo Dieci
  13. Capitolo Undici
  14. Capitolo Dodici
  15. Capitolo Tredici
  16. Capitolo Quattordici
  17. Capitolo Quindici
  18. Capitolo Sedici