
- 896 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il cardellino
Informazioni su questo libro
Theo Decker sopravvive, appena tredicenne, all'attentato terroristico che in un istante manda in pezzi la sua vita. Solo, a New York, viene accolto dalla ricca famiglia di un compagno di scuola. Ma nella nuova casa di Park Avenue si sente a disagio, e la nostalgia per la madre lo tormenta. L'unica cosa che riesce a consolarlo è un piccolo quadro dal fascino singolare. Da lì, il suo futuro diventa una rocambolesca girandola di salotti chic, amori e criminalità, in balìa di una pulsione autodistruttiva impossibile da controllare. PREMIO PULITZER 2014
Domande frequenti
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Informazioni
IV
Il vincolo che fa di noi dei padri e dei figli risiede nel cuore, e non nella carne e nel sangue.
SCHILLER
Capitolo 9
Un universo di possibilità
I
Un pomeriggio di otto anni più tardi – nel frattempo avevo deciso di non proseguire gli studi e mi ero messo a lavorare per Hobie – stavo uscendo dalla Bank of New York per incamminarmi sulla Madison, teso e preoccupato, quando sentii chiamare il mio nome.
Mi voltai. La voce mi era familiare ma non riconobbi il suo proprietario: sui trenta, più robusto di me, con cupi occhi grigi e capelli di un biondo scialbo lunghi fino alle spalle. I vestiti – trasandati pantaloni di tweed e un maglione ruvido col collo a scialle – erano più adatti a una fangosa stradina di campagna che a una via di città; e c’era, nel suo aspetto, un indefinibile sentore di privilegi perduti, notti passate sul divano a casa di amici, denaro della mamma e del papà sperperato in droga e altri eccessi.
«Sono Platt» disse. «Platt Barbour.»
«Platt» ripetei, dopo una pausa stupita. «È passato un sacco di tempo. Dio mio.» Era difficile riconoscere in quel passante dimesso e dall’aria premurosa il vecchio bulletto che giocava a lacrosse. L’insolenza era svanita, e anche l’atteggiamento aggressivo; ora pareva spossato e c’era un’ombra di ansia e di rassegnazione nei suoi occhi. Si sarebbe detto un marito infelice con una casa in periferia e una moglie infedele, o magari un insegnante sfigato di una qualche scuola d’infimo livello.
«Be’. Allora. Platt. Come va?» chiesi, dopo un silenzio imbarazzante, facendo un passo indietro. «Vivi sempre a New York?»
«Sì» rispose lui, grattandosi la nuca, evidentemente a disagio. «In realtà ho appena cominciato un nuovo lavoro.» Non era invecchiato bene; era stato il più biondo e il più bello dei fratelli, ma ora era appesantito, la mascella troppo prominente e i lineamenti del volto come involgariti, privi della perversa bellezza da Jungvolk che avevano avuto un tempo. «Lavoro per una casa editrice universitaria, la Blake-Barrows. La sede principale è a Cambridge, ma hanno un ufficio anche qui.»
«Grandioso» annuii, come se conoscessi l’editore e non era vero, giocherellando con le monete che avevo in tasca mentre cercavo di escogitare un piano di fuga. «Be’, mi fa piacere averti rivisto. Come sta Andy?»
Il volto di Platt parve irrigidirsi. «Non l’hai saputo?»
«Be’…» replicai titubante, «ho sentito dire che studia al MIT. Ho incontrato Win Temple per strada un paio di anni fa e mi ha detto che Andy aveva vinto una borsa di studio per ricercatori… in Astrofisica, giusto? In realtà…» farfugliai nervoso, sotto lo sguardo sconcertato di Platt, «non sono rimasto in rapporti coi vecchi compagni di scuola e…»
Platt si passò la mano sul collo. «Mi dispiace. Probabilmente nessuno di noi è riuscito a mettersi in contatto con te. Siamo ancora tutti scombussolati, ma ero certo che ormai l’avessi saputo.»
«Saputo cosa?»
«È morto.»
«Andy?» chiesi, e poi, dato che Platt non rispondeva: «No».
Una smorfia di dolore apparve sul suo viso, così fugace che sparì nel momento esatto in cui la notai. «Sì, è stato un brutto colpo. Mi dispiace doverti dare questa notizia. Andy, e anche papà.»
«Cosa?»
«Cinque mesi fa. Sono annegati.»
«No.» Incollai lo sguardo al marciapiede.
«La barca si è capovolta. Al largo di Northeast Harbor. Non ci eravamo allontanati molto, forse non saremmo dovuti uscire per niente, ma papà… Sai com’era…»
«Oh, mio Dio.» Immobile in quell’incerto pomeriggio di primavera, mentre i bambini appena usciti da scuola mi correvano intorno, mi sentivo tradito e confuso come di fronte a uno scherzo di pessimo gusto. Sebbene negli ultimi anni avessi pensato spesso ad Andy e un paio di volte ne avessi sentito persino la mancanza, non lo avevo mai ricontattato dopo essere rientrato a New York. Ero sicuro che prima o poi l’avrei incontrato per caso, com’era successo con Win, James Villiers, Martina Lichtblau e altri vecchi compagni. E nonostante fossi stato più volte tentato di sollevare il ricevitore, per un motivo o per l’altro non l’avevo fatto.
«Tutto bene?» mi chiese Platt; continuava a massaggiarsi il collo, a disagio quanto me.
«Ehm…» Mi girai verso la vetrina per ricompormi e il mio fantasma si voltò a incontrare il mio sguardo. Riflessa nel vetro la folla scorreva come niente fosse tutt’intorno a me.
«Gesù» dissi, «non posso crederci. Non so che dire.»
«Mi spiace avertelo detto così, per la strada» si scusò Platt, grattandosi la mascella. «Sei bianco come un cencio.»
Bianco come un cencio, un’espressione del signor Barbour. Con una fitta dolorosa, lo ricordai mentre frugava nei cassetti della camera di Platt, offrendosi di accendere il fuoco per me. Quello che è capitato è assurdo, Dio santo.
«Così è morto anche tuo padre?» Sbattevo le palpebre come se qualcuno mi avesse appena risvegliato di colpo da un sonno profondo. «È questo che hai appena detto, no?»
Si guardò intorno, sollevando il mento in un modo che mi fece ripensare al Platt arrogante che ricordavo, poi diede un’occhiata all’orologio.
«Senti, hai un minuto?»
«Be’…»
«Andiamo a bere qualcosa» propose, dandomi una pacca sulla spalla così forte che sussultai. «Conosco un posticino tranquillo sulla Terza Avenue, ti va?»
II
Ci sedemmo nel bar quasi vuoto, un locale che in passato era stato famoso, con le pareti rivestite di quercia e tappezzate di bandierine dell’Ivy League, in cui aleggiava l’odore di grasso degli hamburger. Platt parlava con irruenza, in tono inquieto, la voce così bassa che facevo fatica a sentirlo.
«Papà…» cominciò, lo sguardo fisso sul suo gin e lime, il drink della signora Barbour. «Evitavamo tutti di parlarne, però… Mia nonna lo definiva uno squilibrio chimico. Disturbo bipolare. Il primo episodio, o attacco, o come lo vuoi chiamare, lo ebbe a Harvard, quando studiava Legge. Era al primo anno e non è mai arrivato al secondo. Tutti i suoi progetti folli, tutti quei grandi entusiasmi… Era sempre polemico a lezione, faceva interventi fuori luogo e si era messo a scrivere un poema epico lungo come la fame sulla baleniera Essex, un’accozzaglia di assurdità. Poi il suo compagno di stanza, che a quanto pare aveva avuto su papà un’influenza stabilizzante, partì per un quadrimestre all’estero, in Germania, e… Be’, mio nonno dovette andare a Boston in treno per riportarlo a casa. Era stato arrestato per aver appiccato un incendio davanti alla statua di Samuel Eliot Morison sulla Commonwealth Avenue e per resistenza a pubblico ufficiale.»
«Sapevo che aveva dei problemi, ma non immaginavo niente del genere.»
«Be’.» Platt fissò il suo bicchiere per qualche istante, poi buttò giù il gin tutto d’un fiato. «È successo molto prima che arrivassi io. Le cose cambiarono molto dopo il matrimonio con la mamma e l’inizio della cura farmacologica, ma nonna non riusciva più a fidarsi di lui fino in fondo, dopo tutti quei casini.»
«Quali casini?»
«Oh, naturalmente noi nipoti andavamo abbastanza d’accordo con lei» si affrettò a precisare, «ma non puoi immaginare i problemi che papà ha causato quand’era più giovane… Sperperava montagne di soldi, per non parlare delle continue zuffe, dei suoi accessi di rabbia, delle relazioni con ragazze minorenni… Si metteva a piangere e chiedeva scusa, e poi ricominciava da capo. Gaga ha sempre incolpato lui per l’infarto del nonno, lui e mio padre stavano litigando nel suo ufficio e boom. Con le medicine, però, era diventato un agnellino. Un padre meraviglioso, be’, insomma, meraviglioso con noi figli.»
«Era fantastico. Almeno, quando l’ho conosciuto io.»
«Sì.» Platt si strinse nelle spalle. «Sapeva esserlo. Col matrimonio le cose migliorarono per un po’, poi… non so cosa sia successo. Fece degli investimenti sbagliati e quello fu il primo segnale. Iniziò a fare telefonate imbarazzanti a nostri conoscenti nel cuore della notte, e cose del genere. A un certo punto perse la testa per una studentessa che faceva il tirocinio nel suo ufficio… e la mamma conosceva la famiglia della ragazza. Fu davvero dura.»
Chissà perché, sentirlo chiamare «mamma» la signora Barbour mi commuoveva profondamente. «Non ne avevo idea.»
Platt aggrottò la fronte in un’espressione rassegnata e inconsolabile che, per un istante, mise in evidenza la sua somiglianza con Andy. «Ne sapevamo poco anche noi… noi figli, intendo» disse con amarezza, facendo scorrere il pollice sulla tovaglia. «Ci dicevano solo: “Papà è malato”. Io ero via, a scuola, sai, quando lo fecero ricoverare. Non mi permettevano di parlargli al telefono, dicevano che stava troppo male e per settimane pensai che fosse morto e non volessero dirmelo.»
«Mi ricordo quel periodo. È stato orribile.»
«A cosa ti riferisci?»
«Al… ehm… al suo esaurimento.»
«Già, be’…» Rimasi turbato dal lampo di rabbia che aveva attraversato il suo sguardo. «E io come diavolo potevo sapere che il suo era un problema di nervi e non un cancro o che cazzo ne so? “Andy è così sensibile… Per Andy è molto meglio stare in città, non starebbe bene in collegio…” Be’, io so solo che la mamma e il papà hanno spedito via me più o meno nell’istante in cui ho imparato ad allacciarmi le scarpe, una maledettissima scuola equestre del cazzo chiamata Prince George, di bassissimo livello dal punto di vista accademico, ma oh, wow, un’esperienza così formativa, una preparazione perfetta per Groton, e poi accettavano anche i ragazzi più giovani, dai sette ai tredici anni. Avresti dovuto vedere la brochure, Virginia la patria della caccia eccetera eccetera, peccato che non fossero solo colline verdi e cavalcate come nelle foto. Un cavallo mi travolse e mi ruppi una spalla, ed eccomi lì in infermeria, a fissare il viale d’accesso attraverso il vetro della finestra, in attesa di una macchina che non arrivava mai. Nessuno mi venne a trovare, neanche Gaga. Per non parlare del dottore, era un alcolizzato, mi curò male e da allora la spalla mi dà problemi. Ancora oggi odio i cavalli con tutto me stesso, cazzo.
«Ad ogni modo…» continuò in tono più pacato, «mi avevano già tirato fuori di lì e spostato a Groton quando la situazione di papà precipitò e lo portarono via. Dicevano che aveva causato dei problemi in metropolitana… ma le versioni non combaciavano, papà diceva una cosa, la polizia un’altra, ma…» fece una smorfia sarcastica, «in ogni caso papà finì nella casa dei matti! Otto settimane. Niente cintura, niente lacci alle scarpe, niente oggetti appuntiti. Lì gli fecero l’elettroshock, e sembrava che avesse funzionato, perché quando uscì era un’altra persona. Be’… te lo ricordi anche tu. Il padre dell’anno, praticamente.»
«Quindi…» Ripensai al mio tremendo incontro col signor Barbour per strada, ma decisi che era meglio non parlarne. «Poi cosa accadde?»
«Be’, chi lo sa. Qualche anno fa ricominciò ad avere problemi e fu costretto a tornare là dentro.»
«Tipo?»
«Be’…» Platt trasse un sospiro profondo. «Più o meno lo stesso, telefonate imbarazzanti, scenate in pubblico eccetera. Naturalmente lui stava benissimo, era in piena salute, tutto cominciò quando ci furono dei lavori di rinnovo nel palazzo a cui era contrario, il rumore dei martelli e delle seghe e tutte le multinazionali che stavano distruggendo la città, tutto vero, certo, ma questo innescò una reazione a catena, finché si convinse di essere costantemente seguito, fotografato e spiato. Scrisse delle lettere deliranti a parecchie persone, compresi alcuni clienti della sua azienda… Cominciò a piantare grane allo Yacht Club… diversi membri si lamentarono, persino certi suoi vecchi amici, e chi poteva dargli torto?
«Comunque, quando papà tornò dall’ospedale la seconda volta non era più lo stesso. Gli sbalzi d’umore erano meno violenti, ma non riusciva più a concentrarsi, ed era sempre irascibile. Circa sei mesi fa decise di rivolgersi a un nuovo team di specialisti, prese un periodo di permesso dal lavoro e se ne andò nel Maine… nostro zio Harry ha una casa da quelle parti, su un’isoletta. Non c’era nessuno a parte il custode e papà diceva che l’aria di mare gli faceva bene. A turno, andavamo lì per fargli un po’ di compagnia. In quel periodo Andy era a Boston, al MIT, e l’ultima cosa che voleva era ritrovarsi incastrato con papà, ma sfortunatamente era più vicino di noi, quindi gli toccava occuparsene piuttosto spesso.»
«Non tornò nella, ehm…» Non volevo dire casa dei matti. «Nel posto in cui si erano già presi cura di lui?»
«Be’, era impossibile convincerlo. Non è facile spedirci qualcuno se non è d’accordo, specialmente se non ammette di avere dei problemi, come faceva lui in quel periodo; e poi ci avevano fatto credere che fosse solo una questione di farmaci, che sarebbe tornato sano come un pesce non appena la nuova cura avesse fatto effetto. Il custode ci aiutava a tenerlo d’occhio, si assicurava che mangiasse e che prendesse le medicine, papà parlava con lo strizzacervelli tutti i giorni al telefono… Insomma, lo psichiatra aveva confermato che era tutto a posto» si difese. «Dichiarò che papà poteva guidare, nuotare e andare in barca, se ne aveva voglia. Probabilmente non fu un’idea brillante uscire così tardi, verso sera, ma le condizioni non erano tanto male quando partimmo, e poi, lo conosci. Intrepido uomo di mare e tutto il resto. Eroismo e gusto della sfida.»
«Già.» Avevo sentito moltissime storie sul signor Barbour che salpava in «acque agitate» che presto si rivelavano vere e proprie tempeste, stato d’emergenza in tre diversi Stati e blackout lungo la costa atlantica, Andy in preda al mal di mare che vomitava cercando di buttare fuori l’acqua dalla barca. Notti intere inclinati su un lato, incagliati in un banco di sabbia, al buio e sotto una pioggia torrenziale. Lo stesso signor Barbour – ridendo come un matto davanti al suo Virgin Mary e al piatto di uova e bacon della colazione domenicale – aveva raccontato più di una volta di quando lui e i ragazzi, con la radio fuori uso, erano stati trasportati al largo di Long Island Sound durante un uragano, e la signora Barbour aveva chiamato un prete della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola all’angolo tra Park Avenue e l’Ottantaquattresima ed era stata sveglia tutta la notte a pregare (la signora Barbour!) finché non aveva ricevuto la chiamata nave-terra dalla guardia costiera. («Una raffica di vento ed ecco che lei corre dal Papa in persona, non è vero, tesoro? Ah!»)
«Papà…» Platt scosse tristemente la testa. «La mamma diceva sempre che se Manhattan non fosse stata un’isola, lui non avrebbe accettato di viverci un solo istante. Sulla terraferma era depresso, sempre ossessionato dal pensiero dell’acqua… doveva vederla, doveva sentirne l’odore. Ricordo ancora un viaggio in macchina con lui fino al Connecticut, da ragazzino: invece di andare dritti a Boston sull’84, allungammo di chilometri e chilometri per fare la costa. Guardava sempre l’Atlantico; il modo in cui le nuvole mutavano man mano che ci avvicinavamo all’oceano.» Per un attimo chiuse gli occhi grigio cemento. «Sapevi che la sorella minore di papà è affogata, no?» chiese, con una voce talmente piatta e inespressiva che per un momento pensai di aver capito male.
Sbattei le palpebre, senza sapere cosa dire. «No, non lo sapevo.»
«Be’, sì» disse Platt, senza emozione. «Si chiamava Kitsey anche lei. Si buttò da una barca nell’East River durante una fest...
Indice dei contenuti
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- Dedica
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