Peter Pan
  1. 176 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

"La fiaba di Peter Pan può essere ri-raccontata. Mantiene così il suo nocciolo duro, la sua struttura profonda, ma viene caricata di significati che risentono del cambiamento dei tempi, soprattutto se contestualizzata nella società accelerata a noi contemporanea." Tra i più grandi successi letterari del Novecento, Peter Pan è il più delicato e fantasioso romanzo mai scritto sulla difficoltà di abbandonare la magia dell'infanzia. Raccontare da capo la storia del bambino che non voleva crescere è un compito delicato e sottile, che Vittorino Andreoli affronta unendo alla sua consapevolezza di psichiatra la passione del narratore, al rigore dello studioso la creatività del nonno che ama giocare con i cinque nipoti. Confrontandosi con il capolavoro di Barrie, Andreoli dà vita a una riscrittura inedita e originale, che riscopre i significati nascosti di una favola indimenticabile facendone emergere tutta la magia e la modernità. Pagina dopo pagina Peter Pan, Wendy, Capitan Uncino, i bambini perduti e gli altri personaggi che conosciamo da sempre acquistano ai nostri occhi una nuova freschezza, permettendoci di riscoprire un capolavoro della fantasia che ancora oggi continua a far sognare i lettori di ogni età.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817081597
eBook ISBN
9788858680599
LA FAVOLA

I GIARDINI DI KENSINGTON

I Giardini di Kensington si trovano a Londra, la città dei re e delle regine. Sono i giardini più belli del mondo. Si capisce perché tutti i bambini vogliono poterci andare almeno una volta nella vita.
È un desiderio così forte che si racconta che alcuni piccini nascono dicendo: «Voglio andare a Kensington!». È capitato anche a bambini nati in Italia, che di certo non conoscono l’Inghilterra!
Londra adesso è una grande città, ma un tempo era molto piccola, c’erano solo i Giardini di Kensington, ed è proprio attorno a questi che è diventata grande.
Sono un Paradiso della Terra e vi si entra attraverso un cancello alto, che una volta, da piccolo, era basso e dorato. Lo aprono tutti i giorni alle sei del mattino, quando la campana di Westminster batte i sei colpi: don-don-don-don-don-don.
E proprio da quel cancello parte la Passeggiata Grande, e tutti i bambini, al termine dei rintocchi vi si precipitano. Fortuna che è grande, appunto, perché altrimenti uno inciamperebbe nell’altro e così tutti cadrebbero per terra, senza poterla percorrere.
Nelle favole bisogna essere precisi, e allora occorre dire che prima di diventare grande anche la Passeggiata era piccola, e a quei tempi c’era un solo bambino che aspettava le sei per entrare nei Giardini di Kensington.
Da molti lustri ormai però al cancello d’ingresso, quello che prende il nome da Miss Mabel Grey si aspettava uno dietro l’altro, in fila «inglese».
Tutti i bambini avevano in mano un orologio e guardavano le lancette con un’attenzione che pareva in grado di spostarle per accorciare l’attesa. Occorreva infatti che le lancette fossero allineate e dividessero in due metà precise la circonferenza del tempo.
Entrati si era presi dalla fretta, si sentiva la voglia di correre per arrivare presto all’albero Cecco Allocco. Era certo che tutti volevano andare proprio lì, perché era un albero misterioso, il posto dove un bambino chiamato Cecco perse l’unico penny che aveva e cercandolo ne trovò due. Per questo occorre avere una paletta e un penny, in modo da poterlo perdere e poi scavare per trovarne due. Ed è sicuro che, dopo un poco di fatica, si trova il tesoro!
L’importante è non piagnucolare, né mentre si aspetta che il cancello si apra, né mentre si cammina sulla Passeggiata Grande, e soprattutto che non ci si lamenti se non si trovano subito le due monete.
A questo proposito tutti i bambini ricordano che cosa è successo a Marmaduke Perry. Aveva piagnucolato per tre giorni di seguito, lungo la Passeggiata Grande, tanto che il quarto fu condannato a percorrerla vestito con gli abiti di sua sorella. Non si poteva dire che fosse un bel bambino, perché dopo tutti quei capricci aveva gli occhi arrossati dal pianto e i moccoli al naso dai lamenti, e vestito da bambina, con un abitino confezionato dalla nonna fatto di un corpetto e di una gonnellina a pieghe, per giunta con calzettine bianche e ballerine ai piedi, pareva proprio un brutto e ridicolo mostriciattolo.
La storia di Marmaduke Perry aveva fatto sì che a lungo tutti attraversassero la Passeggiata Grande con il sorriso, felici di perdere un penny per trovarne due.
Se qualcuno crede che i bambini, avendo le gambe corte, corrano piano, dovrebbe andare il mattino presto ai Giardini di Kensington. E si convincerebbe che anche il più piccolo sa compiere salti e capriole. Alcuni scendono addirittura dalle carrozzine e iniziano non a camminare, ma a correre lungo la Passeggiata Grande per arrivare all’albero Cecco Allocco.
A proposito, per favore, è importante: non chiamatelo Allocco Cecco, perché bisogna dire sempre prima il nome Cecco, e poi il cognome, Allocco.
Succedeva spesso che le mamme che accompagnavano i bambini ai Giardini non riuscissero a stargli dietro ed è così che li perdevano, ma non disperavano, perché sapevano che erano diretti alla Casa degli Smarriti. La si vedeva bene, poiché era sovrastata da una grande magnolia con tanti fiori bianchi, così profumati che la si sarebbe riconosciuta anche a occhi chiusi. Qui andavano i bambini che le mamme non trovavano, e tutti naturalmente avevano un penny pronto per essere perso.
Dall’albero Cecco Allocco era abitudine raggiungere il Laghetto Rotondo, perché è pieno di anatre e cigni, ed è il luogo in cui i bambini capiscono la differenza tra un piccolo anatroccolo e un’anatra grande. Il piccolo segue il grande sulla superficie dell’acqua e lo fa proprio per crescere: è ancora un anatroccolo, ma basta che segua un’anatra ed è sicuro che presto diventerà adulto, tanto che si potrebbe dire che nonostante sia ancora piccolo, in fondo è già grande.
Se provate però a fare l’inverso, a mettere un’anatra grande dietro un anatroccolo, il grande non diventerà piccolo.
Al Laghetto Rotondo tutti, ancora adesso, guardano il lungo collo del cigno e poi quello piccolo degli anatroccoli, che però sono eleganti perché portano una farfallina nera e sulla testa una bombetta. Sono piccoli ma già, come dicevo, si sentono grandi, pronti per una festa a Buckingham Palace.
Dal Laghetto Rotondo è difficile staccarsi perché si finisce per girare attorno alla riva, e così si ha l’impressione o di non essersi affatto mossi, oppure di essere in giostra e che dunque sia il laghetto a muoversi. Così del resto fanno i piccoli anatroccoli.
Ma occorre riuscire a proseguire, perché i Giardini di Kensington sono un mondo intero, il mondo dei bambini. Qui sono presi dalla voglia di correre, di conoscere, di scoprire, mentre nella City percorsa da strade fatte per le automobili, con case che vanno verso il cielo, non solo non sanno cosa fare, ma si spaventano perché sembra che non ci sia posto per loro.
Allontanandosi dal Laghetto Rotondo, molti vogliono andare subito dove si tosano le pecore, altri invece al Cimitero dei Cani; i più grandi non resistono a raggiungere l’albero su cui siede il Corvo Salomone, che tutto conosce, anzi di più.
E non fatevi ingannare, è completamente sveglio, anche se tiene sempre un occhio chiuso. Tutti sanno che il Corvo Salomone è stato il primo ad arrivare ai Giardini di Kensington, e secondo quanto ha raccontato un bambino, è stato proprio lui a costruirli.
Se però volete raggiungere almeno questi luoghi di cui abbiamo parlato dovete fare presto, perché a mezzogiorno tutti i bambini devono andare a casa, fare la pipì e mangiare la minestrina di carote, che contiene anche tre fagioli che servono a diventare grandi. Perché un bambino è più o meno come un anatroccolo, è piccolo ma deve diventare grande.
È meglio andare subito al Cimitero dei Cani, anche perché sulla strada si incontra una piccola foresta dove gli alberi crescono tutti alla rovescia. Lo si vede benissimo, perché per scorgere le cime degli alberi non si deve guardare in alto ma per terra. Sotto una grande pozzanghera si trovano salici piangenti e betulle grandissime.
Ma bisogna fare presto perché i Giardini di Kensington occupano tanto spazio e il Cimitero dei Cani si trova proprio in un angolo, come se avesse bisogno di silenzio perché questo è il luogo dove i cani vivono da morti. E voi tutti sapete che è meglio vivere da vivi.
Ogni bambino, quando viene al mondo, dovrebbe trovare un cagnolino; sarebbe questo un modo sicuro di avere un compagno di giochi, qualcuno che ti sia amico anche quando hai il mal di pancia, magari proprio perché stai male: un cagnolino è l’unico a provar piacere a stare con te anche al gabinetto. È il solo amico che sente un buon profumino anche dove di solito gli altri storcono il naso per la puzza. E se un bambino ha la fortuna di averne uno, se lo porta anche ai Giardini di Kensington.
Ogni cagnolino cresce e si fa grande, percorrendo una strada e dunque facendo una passeggiata che si potrebbe chiamare «della crescita».
Ma un cane, diventato grande, qualche volta saluta e se ne va. Forse ha voglia di stare soltanto con gli altri cani, e allora entra un mattino nei Giardini di Kensington e non ne esce più, perché va nel Cimitero dei Cani, sotto terra, in un mondo rovesciato proprio come quegli alberi che invece di andare in alto crescono nel mondo che non si vede, ma che però c’è.
A differenza del Corvo Salomone che esiste da sempre e per sempre, che vede tutto e sa tutto perché ha già visto tutto e anche di più, e rimane seduto sullo stesso ramo del grande albero, con lo stesso occhio chiuso, quello di sinistra, ogni cane dopo un poco se ne va, e semmai continua a esistere sotto terra.
Il fascino del Cimitero dei Cani è proprio che puoi incontrare cani che non ci sono più o perlomeno che non si vedono perché sono sotto terra.
Ecco, così è un cagnolino morto. C’è ma non si vede, ed è sicuro che ci sia, altrimenti il Cimitero sarebbe fatto di cani che non ci sono. E nessuno costruirebbe un cimitero per niente.
C’è un gran silenzio nel Cimitero dei Cani di Kensington, e sugli alberi che ci sono attorno si vedono tanti uccelli, passeri, rondini, e tutti tengono il becco chiuso. Tacciono per non disturbare i cani morti.
Sono andati sotto terra perché lì c’è un gran silenzio. Non si sente nessuno abbaiare, eppure il Cimitero è pieno: c’è Bibi, e poi c’è Fido, e poi c’è Titti, e tutti stanno zitti.
Ma i bambini si sentono attratti proprio dai cani che non ci sono, e talvolta vanno al Cimitero con il loro cane che c’è, anche se sembra non esserci perché quasi rimane immobile. E alcuni cani si acquattano e tengono le orecchie basse, e così dicono le orazioni.
Qualche bambino poi porta un osso, qualche altro una palla, ma non la lanciano perché un cane morto non la rincorre. E anche se non si vede nulla, ogni bambino crede di vedere un cagnolino che non c’è più. Ma allora deve pur esserci! E infatti a qualcuno pare di sentirlo abbaiare anche se c’è un silenzio di tomba.
Verrebbe da dire che anche da morti, i cani sono proprio belli. Ed è per questo che tutti i bambini che giungono ai Giardini di Kensington, chi prima chi dopo, vanno al Cimitero dei Cani.
Certo, se si va prima nel luogo dove si tosano le pecore viene da ridere e se si è in tanti si giunge a fare un grande chiasso.
Non c’è niente di male, ma insomma quello che fa ridere è che alle pecore viene tolto il loro vestito e rimangono nude.
Non è che siano disperate, anzi belano poco, sono più che altro curiose, come quando le donne vanno dal parrucchiere, alla ricerca di un’acconciatura che possa fare colpo, e sono buffe come quando un bambino biondo e riccioluto viene tosato e torna a casa con la testa che sembra una palla da biliardo, una palla con naso e occhietti.
Roba da ridere, non c’è da preoccuparsi, anche perché i capelli nei bambini ricrescono. Del resto anche un cespuglio lo si taglia e poi vi ricrescono le foglie e pure i fiori, e si sente di nuovo il profumo.
Il posto dove si tosano le pecore sembra uno di quei saloni di bellezza in cui va visto solo il prodotto finito, perché quando gli hanno portato via le mutandine e non ancora il maglione, be’ fanno ridere e sono un poco sconce.
Bisogna poi pensare che quell’abito che si porta via alle pecore serve per comporre gomitoli di lana con cui si confezionano vestiti per bambini, che coprono e riscaldano il culetto; cappottini che tengono caldo quando nevica o tira vento. È in quel momento che ci si dovrebbe ricordare di questo luogo dei Giardini di Kensington, dove le povere pecore fanno lo spogliarello. Del resto cosa sarebbero l’Inghilterra, la Scozia, il Galles senza le pecore?
Se tosi un uomo, c’è tutto da buttare; del mantello di una pecora invece tutto è prezioso.
A qualche bambino viene in mente di chiedersi, guardando la tosatura delle pecore, come mai tra tutti gli animali del mondo solo l’uomo si vesta. Anche i cigni del laghetto, per esempio, sembrano conciati come damerini alla moda, ma in verità sono nati così e così rimarranno per sempre.
Tutti i bambini che arrivavano davanti all’albero del Corvo Salomone ne erano attratti ma anche un poco impauriti, e non sapevano di certo perché. Forse era per via di quello che dicevano i grandi, le mamme o le tate che accompagnavano i bambini ai Giardini di Kensington. Le donne sottolineavano come prima cosa la bellezza di quel Paradiso dentro la città, che al confronto era l’Inferno, ma subito dopo iniziavano a parlare del Corvo Salomone. E chissà perché i piccoli tendevano a chiamarlo il Corvo Salomone, mentre i grandi preferivano definirlo Salomone il Corvo. Certo, per i grandi Salomone era anche un personaggio della Bibbia, un profeta, ma di questo i bambini non sapevano nulla. Mentre si avvicinavano al suo albero rallentavano il passo, mantenevano il silenzio e guardavano in alto tra le foglie e poi, proprio su un ramo della più grande delle piante dei Giardini, eccolo, il Corvo Salomone. Nero, immobile, come fosse comodamente seduto su una poltrona.
Era impossibile non vederlo, anche se non faceva nulla per richiamare l’attenzione. E quando un bambino prendeva a fissare quell’unico occhio aperto, veniva come calamitato. E anche se erano tanti i piccini che fissavano quell’occhio, ognuno credeva di essere il solo.
Nessuno osava porre una qualsiasi domanda. Ma era sicuro che di lì a poco il Corvo Salomone avrebbe raccontato una storia, una storia vera diversa da qualsiasi altra favola.
«Caro piccino, devi sapere che tanto tempo fa, quando tu non c’eri e nemmeno il tuo papà e la tua mamma e nemmeno i tuoi nonni e le tue nonne, io c’ero, e i bambini, tutti i bambini, avevano le ali e volavano. Allora non esisteva differenza tra un bambino e un uccello, c’erano i bambini-uccello e li si vedeva girare per il cielo perché amavano salire in alto col desiderio di andare sempre più su. Li si sentiva chiacchierare entusiasti come se stessero per scoprire qualcosa dentro il cielo.
«Gli uccelli invece parevano essere più attratti dalla terra e si appoggiavano sugli alberi. Le loro braccia erano ali, e i bambini più leggeri salivano su in alto fino a diventare dei piccoli punti.
«Adesso non volano più perché non hanno fiducia, temono di cadere, e infatti cadono, perché senza la fede non si possono avere le ali.
«Se tu guardi dietro la schiena, trovi anche su di te l’impianto delle ali di un tempo: sono le scapole, che permettono ancora di muovere le braccia e prendere il volo. E io ti dico che se un bambino ritrova la fede, può ancora volare.»
Ripeteva questa storia mille, forse duemila volte in un giorno. Bastava ci fosse un bambino che lo guardava da terra che lui credeva avesse ancora voglia di volare. E forse davvero ripensava al tempo in cui nel cielo c’erano tanti bambini in volo. Effettivamente se l’uomo sapesse ancora volare, non avrebbe riempito la terra di milioni di auto e avrebbe potuto sistemarsi sugli alberi, che sono le più belle case del mondo, capaci di accogliere i nidi con le uova da cui nascono gli uccelli e un tempo nascevano i bambini-uccello.
«Caro piccino, prova a volare. Devi sempre, mi raccomando, prendere il volo da terra. Comincia a saltellare e a muovere le braccia e, se ci credi, se avrai fede nella tua volontà, allora volerai.»
Certo, i bambini continuavano a fermarsi per riascoltare quella storia, e anche se era sempre la stessa, c’erano alcuni che non si volevano muovere e la sentivano di nuovo magari saltellando un po’, per vedere se i piedi riuscivano ad alzarsi o se magari fossero le scarpe a ostacolarli e fosse meglio toglierle per liberarsi di un peso inutile.
E pensare che esistono persino scarpe che fanno male ai piedi!
Era certo che si doveva abbandonare il Corvo Salomone quando a mezzogiorno le mamme si mettevano a gridare: «Sbrigati, è ora di pranzo». Almeno avessero detto «vola… vola… volaaaa!». E invece continuavano a raccomandarsi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Preambolo
  5. La favola
  6. La morale della favola