CAPITOLO VENTIDUE
L’aria della sera è un toccasana per due pazze scatenate come noi. Quel barista era così, così… E i clienti anche… Insomma, chi ha detto che i motociclisti vestiti di pelle borchiata con tatuaggi ovunque non sono romantici? Per fortuna che ora ho smesso di ridere. Pensavo di morire. Quella birra era… Oh, il Doctor Pepper è un’ottima medicina contro la tristezza, quasi come il mio gelato preferito.
«Vuoi sapere il resto, allora?» mi chiede Benedetta.
«Sì! Continua a raccontarmi» la esorto. Ormai siamo molto in confidenza.
«Il mio matrimonio è saltato qualche mese fa. Lui non aveva mai avuto nessuna intenzione di sposarmi. L’ho scoperto per caso, dopo che avevo incominciato a organizzare. Mi diceva sempre di sì. Pensavo fosse d’accordo con ciò che stavo facendo, e invece…»
«E tutti i soldi che devi mettere?»
«Non me ne parlare… Ho incontrato perfino uno strozzino in periferia a Milano…» Ecco chi era quel ceffo con cui parlava quel pomeriggio. Mi è costato una notte travagliata in quel garage. Poi penso a Pepe e sorrido.
«E quindi il tuo fidanzato?»
«Si è dileguato… Ma quando quel giorno dalla zia mi hai parlato di Ferdi… Ho pensato fosse un segno del destino.»
«I segni del destino temo siano un’invenzione dei romanzi rosa...» asserisco rassegnata.
«Forse. Però noi ci amavamo tanto, davvero.»
«Ma è passato molto tempo, eravate ragazzi.»
«Credevo che tu alimentassi le sue speranze e che fosse per questo che lui mi rifiutava.»
«Come hai potuto constatare, non mi interessa affatto il tuo Ferdi.»
«Il mio Ferdi...» sorride. Ma è un sorriso amaro a cui seguono le lacrime.
«Prova a conquistarlo, non si sa mai» tento di spronarla, mentre ormai singhiozza.
Pensavo di essere io quella sfortunata in amore, invece la iella in questo campo pare un marchio di famiglia. La mamma è single, la zia è single, io e Benedetta pure.
«Non puoi continuare a piangere, nessun uomo merita tanto» dico nel tentativo di calmarla. Possibile che sia io a doverla consolare? Afferro la tracolla della borsetta da terra facendola scivolare sulla spalla. Poi mi chino, con equilibrio precario - nota: mai bere un intero boccale di birra, con chissà cosa dentro, se sei astemia - e cerco di sollevare la mia cara cuginetta. Ora lo so: è una falsa magra.
«Fammi capire, quel giorno a Roma sapevi già che il tuo matrimonio era saltato? Eri lì per quel motivo?»
«Oh, no, ma ormai avevo un presentimento…» biascica reggendosi a me. «Per tua informazione, ero a Roma per l’acquisto di un salone.»
«In che senso?» Mi fermo e la guardo negli occhi. Ha una strana luce. Un’espressione diversa: sincera, senza maschere, senza sovrastrutture. Forse sarà per l’alcol.
«Il salone dove lavoro. Non mi va di dirlo, ma è mio. E ne ho acquistati altri due. Uno è a Roma. Sto creando un marchio: l’idea è una catena. Vorrei affiliare altri saloni, ho dei progetti…»
«Ma brava! E come mai non me lo hai detto? Sono colpita!» Dico davvero. Non l’avevo mai vista come una ragazza umile che si rimbocca le maniche e insegue i suoi sogni.
«Non l’ho detto a nessuno…» confessa, facendo un ruttino. Si mette una mano sulla bocca. «Scusa.»
«A Ferdinando dovresti. Ho letto un trafiletto… Anzi, dovrei avercelo ancora nella borsa. Credo che lui tema tu sia interessata ai suoi soldi, come Pamela…» azzardo, avendo conosciuto un po’ meglio l’individuo. Tiro fuori la pagina con l’articolo e gliela passo.
«Dici?» chiede, poco convinta, cercando di capire da che parte si legga l’articolo.
«Dico. Dai, vieni che ti riaccompagno in albergo.» Non posso certo lasciarla in giro in queste condizioni. Si toglie le scarpe e le tiene in mano. La imito, non ne posso più dei tacchi. Riprendiamo a camminare sul lungomare, sostengo Benedetta come posso e lei appoggia la testa sulla mia spalla. Resto un po’ meravigliata da questo gesto, ma mi adeguo.
«E poi rimani con me?» mi chiede tra un singhiozzo e un altro. «Così mi racconti una favola come quando eravamo bambine».
E così sono qui seduta al capezzale di Tuttalentiggini. E questo ha dell’assurdo, se ci penso bene. Ma la vita è una continua scoperta. I rapporti si evolvono. In fondo anche questo è il bello, credo. Cerco di pensare a noi bambine, ma non ricordo di averle mai raccontato o letto niente. E per dirla tutta non ricordo di aver mai raccontato fiabe a qualcuno. Passo in rassegna le storie dell’infanzia, quelle che mi raccontava… Mmm… mia madre dubito che me le raccontasse, o almeno non lo ricordo. Samy, dai, tutti conoscono qualche favola, concentratati e tira fuori qualcosa, penso, concentrandomi.
Cappuccetto Rosso, Cenerentola… come iniziano? Rovisto con insistenza nella nebbia più fitta. «Samy, raccontami una fiaba romantica, una proprio bella.»
Romantica. Non ricordo bene: Cappuccetto si innamora del cacciatore? Credo che l’alcol stia offuscando quei pochi tasselli incerti che ho salvato in qualche cassetto intitolato «ricordi infantili» e mi porti a esplorare altri ricordi. Quasi senza accorgermene mi ritrovo a Parigi. Ed ecco che una fiaba romantica bussa con forza. I fiocchi di neve sui tetti, la Tour Eiffel illuminata, le labbra di Alex sulle mie. Poi le cascate di Pietracupa… Ipnotizzata da visioni in 3D, mi improvviso fatina della buonanotte.
«C’era una volta, in un paese lontano, una bella (be’, non sono mica da buttare) ragazza che ancora non sapeva che avrebbe incontrato…» E in un attimo il sogno-favola si infrange. «…un uomo che le avrebbe spezzato il cuore. Per ben due volte!»
«Non mi dire, eri innamorata di Ferdinando!?» le domando disorientata. Benedetta ha letto già tre volte l’articolo sulla ItalSveGroup da quando ci siamo svegliate questa mattina.
«Certo, che lo ero!» le esce come un ruggito. «Ma io non ero intelligente come te…»
«Cosa vuoi dire?»
«Né avevo un padre ricco come il tuo...»
«E questo cosa c’entra? Devo ricordarti che ho vissuto con mia madre per tutta l’adolescenza? E non mi sembra che ce la passassimo tanto bene, no?»
«Sì, scusami. È che la famiglia di Ferdi, sua madre, non approvava la nostra relazione. Anzi, gli aveva intimato di lasciarmi perdere o lo avrebbero allontanato. Al suo fianco volevano una donna di una certa levatura» mi spiega con un tono più pacato.
«Mi spiace, non lo immaginavo.» Sono sempre più smarrita, Tuttalentiggini era una ragazza con dei sentimenti. Cavolo, sono proprio una stronza, allora!
«Quante cose non immagini» mi fa con aria afflitta.
«Davvero? Vuoi parlarmene?» A quanto pare lei è migliore di me. Alla fine tutti le vogliono bene, no?
«Oh, ti arrabbierai di nuovo con me…» si lamenta, soffiandosi il naso con il mio inseparabile foulard. Ma non importa. Da ieri è come se avessi scoperto di avere un’amica per la prima volta. Le posso perdonare una distrazione irrilevante come questa, no?
«Dai, non fare così, ormai non c’è nulla che possa farci scontrare come serpente e mangusta… Siamo amiche, adesso» la sprono.
«Dici?» mi chiede, all’apparenza sollevata. «Oh, cugi, mi dispiace tanto, davvero…» mi fa abbracciandomi. E io quasi mi commuovo. Voglio dire, non sono ancora abituata a queste dimostrazioni di affetto.
«Non so come dirtelo…» comincia staccandosi da me e guardandomi dritta negli occhi.
«Tranquilla, non hai nulla da temere» la rassicuro con dolcezza, ma un tremolio della palpebra sinistra, su cui ondeggiano delle ciglia che mi ricordano tanto una coda di pavone in miniatura (ma dove comprerà ’ste cose?!), mi incomincia a rendere incerta. Un pochino, giusto quel tanto da farmi essere meno serena.
«Io…» parte con voce incerta. Dovrei rassicurarla ancora, ma l’istinto mi dice che ha ragione lei: forse potrei arrabbiarmi.
«Dimmi» la esorto di nuovo, senza allarmismi. Quel che è fatto è fatto, ormai. Cosa mai potrà essere?
«Alex… Io…» ci riprova. Ecco, sentirle pronunciare quel nome mi insospettisce alquanto, anche se dovrei aver chiuso il capitolo definitivamente, visto che è tutto ben che chiarito.
«Senti, non temere, parla liberamente» tento in tono neutro, mentre dentro ho tanti scampanii, anzi una sirena che grida disastro imminente.
«Cugi, io sono un mostro, sono proprio una stronza patentata!» E continua a piangere. Be’, non posso certo dirle che l’ho sempre pensato anch’io, non dopo che ci siamo ritrovate amiche.
«Ho mentito, su Alex.»
«Su cosa, di preciso?» chiedo, cercando di mantenere la calma. Sembra la quiete prima della tempesta.
«Le foto…» farfuglia.
«Sai chi me le ha mandate?» le chiedo sentendo montare una rabbia.
«Io. Sono stata io…» confessa.
«Tu? Non capisco: perché continuavi a farti gli affari miei nonostante io avessi allontanato Ferdinando?»
«Volevo capire dove sbagliavo, perché gli uomini ti volevano, mentre da me se ne scappavano…»
«Assurdo!»
«Pensavo davvero che ti stesse mentendo, all’inizio. Poi però…» e riprende a singhiozzare.
«Poi cosa?! Parla!»
«È stato un bacio innocente, sulla guancia. La foto è sfocata e l’angolazione trae in inganno. Queste sono le altre…» dice, e mi passa il cellulare.
Sono immagini scattate in successione. Ritraggono lui e la coppia di amici che lo ospitano, poi arriva una ragazza, la stessa del matrimonio, pare gliela stiano presentando. Ma non era la sua ragazza? Quella che doveva sposare? Nell’ultima foto, Alex si sta allontana...