Il convento sull'isola
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Il convento sull'isola

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il convento sull'isola

Informazioni su questo libro

Il vicecommissario Enea Zottìa sta tornando in un luogo al quale lo legano ricordi indimenticabili, l'isola di San Giulio, sul lago d'Orta. Lo hanno chiamato le suore del convento per smascherare il ladro che si aggira tra le loro mura e nelle ville della zona. E anche per capire come mai quel quadro misterioso continua a scomparire e riapparire inspiegabilmente. Ma appena arrivato, Enea ha subito la tentazione di abbandonare il caso: ci sono troppi ricordi a rattristarlo su quell'isola, e poi l'amore infelice per la bionda Serena continua a tormentarlo. Quando però un omicidio violento rompe l'atmosfera ovattata di quei luoghi, il vicecommissario è obbligato a immergersi in un'indagine difficile e memorabile, alla ricerca di una verità insospettabile nascosta tra invidie e maldicenze. Il quarto episodio della serie del vicecommissario Zottìa, l'originale eroe imperfetto con cui Polillo ha reinventato il genere giallo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817081368
eBook ISBN
9788858680384

E adesso?

Giovedì, 21 marzo

1

«Commissario?»
La voce veniva da lontano, sembrava quasi sussurrata.
«Sì? Chi parla?»
Un attimo d’indecisione, poi il sussurro riprese.
«Sono suor Venanzia, commissario. Buongiorno.»
«Buongiorno a lei, sorella.»
Zottìa aveva passato una notte agitata. Era turbato, non era abituato a trovarsi in situazioni come quella della sera prima. Il bacio scambiato con Serena gli era venuto spontaneo, senza rifletterci. Quando si erano staccati, la donna lo aveva guardato senza parlare.
«Ssst» lo aveva bloccato posandogli due dita leggere sulle labbra. «Ssst» aveva ripetuto. Erano rimasti lì, in silenzio, fissandosi negli occhi, e dopo un tempo infinito Serena aveva scosso la testa. «No» aveva detto, ma così piano che Enea non era affatto sicuro di aver sentito bene.
Poi, dopo avergli dato un’ultima carezza sul viso, si era girata ed era uscita dall’auto. Un istante prima era lì, un secondo dopo era scomparsa nella porta dell’albergo.
No?
Era rimasto in macchina per cinque minuti buoni, non sapendo cosa fare, fino a che nello specchietto retrovisore aveva scorto Teresa avvicinarsi. Non aveva voglia di incontrare la sorella di Serena, avrebbe dovuto rispondere a domande che preferiva non venissero fatte, e così aveva messo in moto e si era allontanato.
Tornato a casa aveva riordinato, gesti meccanici che gli permettevano di non pensare, anche se nella sua mente continuavano ad affacciarsi le immagini di Serena e di Giulia. Quando quest’ultima gli aveva telefonato nel corso della serata, lui le aveva detto che l’avrebbe richiamata di lì a poco. E in effetti era quello che si era ripromesso: accompagno Serena quindi la chiamo, si era detto. Ma ora non ce la faceva. L’avrebbe sentita il giorno dopo, inventandosi una scusa qualsiasi per non essere riuscito a mantenere l’impegno: aveva fatto tardi, pensava che dormisse, non voleva disturbarla a quell’ora, insomma qualcosa del genere.
Poi era andato a letto.
E adesso?
Erano state quelle le parole che aveva rimuginato a lungo nel cervello nel buio della stanza.
E adesso?
La mattina seguente non aveva ancora trovato una risposta a quella domanda. Ed era lì, davanti a un caffè, quando il cellulare squillò.
«Buongiorno a lei, sorella» e se l’era quasi vista di fronte, con le dita che sgranavano il rosario, l’aria impassibile, nemmeno l’ombra di un sorriso a illuminare quegli occhi azzurri come il ghiaccio. «Mi dica» aggiunse per rompere il silenzio.
«Ho avuto delle… rivelazioni.» L’ultima parola era stata pronunciata dopo un attimo d’indecisione, quasi avesse un significato peccaminoso.
«Rivelazioni?» ripeté lui.
«E allora ho chiesto aiuto al Signore.»
«E…?» incalzò Enea.
«Mi ha detto di confidarmi con lei.»
Confidarsi con me? Il Signore?
Se fosse stato un cattolico praticante avrebbe provato un certo compiacimento per quel rapporto privilegiato che metteva spesso al centro dei pensieri del Padreterno la sua persona, ma Enea era troppo legato al mondo terreno per indugiare in riflessioni sulla religione. Quello che a lui importava era che i colpevoli venissero arrestati e trovassero la giusta punizione ora, nel mondo che conosceva, non che venisse demandata a una futura giustizia divina il compito di fargliela pagare.
«Troppo buono» rispose non sapendo bene cosa dire, salvo rendersi conto un secondo dopo che quelle parole potevano essere intese come una solenne presa in giro.
«Devo vederla» affermò suor Venanzia con voce divenuta di colpo autoritaria.
«Ma io sono a Milano in questo momento, non so quando torno a Orta. Non potremmo parlarci per telefono?»
«Queste cose non si affrontano per telefono. Anche lei dovrebbe saperlo.»
Anche lei?
«Oggi, allora. Verso fine mattina, il tempo di arrivare» concluse a malincuore Zottìa. «Dove?»
«Al convento.»
Già, e dove, altrimenti?
«Che il Signore la benedica» lo salutò suor Venanzia appena prima d’interrompere la comunicazione, ma il tono di voce sembrava esprimere un pensiero non del tutto in linea con quell’augurio.

2

“Ti richiamo appena ho finito” le aveva detto, e lei era rimasta tranquilla ad aspettare. Ma i minuti erano passati. Venti, quaranta, un’ora ed Enea non aveva chiamato. Alla fine era andata a letto. Se mi telefona dopo una certa ora non rispondo, si era ripromessa, ma anche quell’ultima possibilità era svanita nel silenzio della notte.
Giulia non se l’aspettava. Possibile che si fosse sbagliata? Che sotto quello sguardo buono, dietro quei baffi ispidi, il segno della sua timidezza, si celasse un altro di quegli uomini aridi, cinici, che una volta ottenuto quello che volevano scomparivano senza una parola? Fu presa da un momento di sconforto. Non aveva già sofferto abbastanza dopo la fine del suo rapporto con Matteo perché il destino le risparmiasse un altro tormento?
Ma questa volta non si sarebbe fatta fregare. Enea non l’aveva chiamata? Bene, lei avrebbe organizzato la sua giornata come voleva. Terminata la colazione, guardò il cielo. Coperto, ma non sembrava minacciasse pioggia. Sarebbe andata a Orta e poi avrebbe fatto quelle commissioni che da tempo si era ripromessa e alle quali aveva rinunciato nella speranza di passare qualche ora con Enea.
E se non avesse più telefonato?
Ricacciò quel pensiero nel fondo del cervello. Enea avrebbe telefonato.
E se…?
E se… pazienza! Bibi non continuava forse a invitarla a cena? Certo non sarebbe rimasta in casa da sola a commiserarsi.
E così, mentre Enea in viaggio da Milano stava tornando all’isola per il terzo incontro con suor Venanzia, Giulia si stava allontanando dall’isola per una giornata dedicata solo a se stessa.
Ma perché – ci si chiederà non del tutto ingiustificatamente – Enea non aveva chiamato Giulia quella mattina? L’aveva pensato, in effetti. Anzi, un paio di volte aveva iniziato a comporre il numero, per poi rinunciare. Cosa le poteva dire? Molto meglio comparire di persona. Sono qui, le avrebbe detto. Sono venuto perché avevo voglia di vederti. Scusami per ieri sera. Di persona sarebbe stato tutto più facile. E inoltre, perché trascurare l’effetto sorpresa? Un conto era farsi vivo da ottanta chilometri di distanza, un altro dall’imbarcadero a cinque minuti di motoscafo o, meglio ancora, presentandosi alla porta di casa.
E poi… e poi c’era quel bacio dato a Serena la sera prima nel buio della sua automobile. Quegli occhi verdi, luminosi come non mai…
Qualcuno gli avrebbe dovuto dire che alla sua età ci si comporta in maniera diversa e che le cose che a diciott’anni sembrano intelligenti, a quaranta o giù di lì vanno ponderate con più attenzione, ma Enea…
E Serena? Cosa passava nella sua mente?
Di tutto, in realtà, ma ben poco di decisivo, come sempre quando si tratta di lei. Alternava momenti di sconforto (ho perso Enea per sempre) ad altri di entusiasmo (l’ho riconquistato) o di gelosia (chi è l’altra?); riflessioni nelle quali dominava la superbia (peggio per lui, tanto è chiaro che lo posso riavere quando voglio) o prendeva il sopravvento la determinazione (chiudiamo questa storia e non se ne parli più). Sta di fatto che, quando la sera prima si era staccata dal bacio e aveva guardato a lungo il volto di Enea, aveva avuto una specie di déjà vu. Quante volte si era trovata con lui in quella medesima situazione? Tante, tantissime. Troppe. E com’era finita ogni volta? Tormentata dai dubbi. E allora aveva sussurrato quella parola: «No».
Definitiva?
Mah, difficile con Serena poter tirare una riga finale sui suoi rapporti con Enea. E infatti mentre il taxi la portava insieme alla sorella da Sabrina per un’ultima visita in clinica prima del ritorno a Napoli, era già intenta a pensare a un messaggio da mandargli…

3

Eppure…
Mentre percorreva l’autostrada dei Laghi, Enea ripensava a quello che gli aveva raccontato il pomeriggio prima Danova. C’era qualcosa che lo aveva colpito, che sentiva poteva essere decisivo per la soluzione del caso. Gli sembrava di essere arrivato a un passo dal trovare la chiave del mistero. La soluzione era lì, ma non riusciva a superare quell’ultima distanza.
Cercò di riordinare per l’ennesima volta i suoi pensieri. Quali erano i punti di domanda ai quali bisognava dare una risposta?
Chi aveva ucciso Ciani, ovvio. E poi chi aveva spinto in acqua Serafini. Ma c’erano anche altre cose collegate: dove finiva la refurtiva? Non era possibile che si smaterializzasse. Ciani viveva a Orta, da quanto gli era stato detto non si allontanava mai dal posto, e quindi doveva aver trovato il modo di sbarazzarsi del bottino. In uno dei tanti paesi dei dintorni, aveva suggerito Duceddo. Pella, per esempio, che si trovava proprio dirimpetto a Orta. Ma a chi poteva rivolgersi a Pella?
E sempre riguardo a Ciani: come faceva a entrare nelle case che svaligiava senza lasciare traccia? L’ultimo esempio era eclatante: le chiavi di quel tale – Rivaschi, Rivazzi o come diavolo si chiamava – non erano state rubate e fare un duplicato era impossibile. Quindi?
Poi c’era il quadro che veniva spostato a Villa Porrone. Guidalberto gli aveva fatto notare che un paio di volte aveva visto riflesso nel vetro Ciani che passava sulla stradina. Che fosse stato lui? Ma Ciani aveva o no la possibilità di accedere alla villa? Pietro Zilloni ne curava il giardino e possedeva le chiavi, per cui con ogni probabilità la risposta era sì, ma a Villa Porrone non sembrava mancasse nulla. E comunque, che motivo c’era di spostarlo?
E infine il caso Stefanini. Perché qualcuno avrebbe dovuto desiderare la sua morte?
E che dire di Ottavia? Poteva aver avuto un ruolo nella vicenda? Il suo racconto aveva messo in evidenza l’importanza di Lioffredi anche se, a quanto pareva, il marito non sapeva nulla dell’affaire tra lei e Arturo, ma… era davvero così? Chi poteva dire se non fosse riuscito in qualche modo a conoscere l’amara verità della relazione tra i due?
Avrebbe dovuto chiedere a Emma. Si sarebbe rifiutata di parlare, come al solito, ma questa volta l’avrebbe costretta. Ottavia aveva confessato tutto, quindi perché mai la donna avrebbe dovuto cercare di proteggere a tutti i costi la sua pupilla?
Controllò l’ora. Era molto in anticipo rispetto alla tabella di marcia che si era prefissato. Avrebbe potuto affacciarsi da Giulia prima di andare all’incontro con suor Venanzia.
Chiamò al telefono Danova informandolo che era in arrivo e che avrebbe fatto una nuova visita al convento. Nel frattempo lui si sarebbe dovuto informare sugli spostamenti di Emma Zilloni. Più tardi voleva vederla per parlarle di Ottavia.

4

Nell’esatto momento in cui Enea lo chiamava al telefono, Danova era impegnato in un estenuante braccio di ferro con Arturo Lioffredi. Se l’era trovato davanti nella via principale di Orta e, seguendo un impulso improvviso, l’aveva invitato a prendere un aperitivo. Lioffredi si era stupito.
«Un aperitivo?» aveva detto, guardandolo con diffidenza.
«Ma sì, perché no? Quello che ci doveva dire l’ha detto, quindi non ha nulla da temere da una chiacchierata con me, mentre è possibile che sappia qualcosa su Stefanini o qualcun altro che magari può gettare un po’ di luce su questa storia. Offro io» aveva soggiunto con un mezzo sorriso.
L’altro non aveva fatto ulteriori obiezioni e i due si erano accomodati a un tavolino dell’enoteca. Non c’era nessuno, per cui poterono parlare senza timore di essere sentiti.
Danova si era superato questa volta. A furia di lavorare con Zottìa aveva imparato certi meccanismi che servivano a facilitare le confidenze di chi veniva interrogato e li stava mettendo in pratica.
«Lioffredi» aveva esordito, «lei ha vissuto a lungo a Milano in questi ultimi tempi, quindi il suo rapporto con molta della gente coinvolta in questo caso si è, come dire, allentato, tuttavia… qualche idea dev’essersela fatta. Di Ciani» continuò bloccando sul nascere le proteste dell’altro «sappiamo poco, ma quel poco ci basta. Era un ladruncolo, non aveva certo la personalità per essere il capo di una banda. Qualcuno di più grosso ci deve essere. Che sia o no collegato con Ciani poco importa, ma non è possibile che questa concentrazione di furti nella zona sia orchestrata da un’unica persona.» Si fermò, in attesa.
«Io non ho mai rubato nulla» si risentì subito l’altro.
«Dài, Lioffredi! Lo sappiamo. È lì che implora un posto al convento, quindi non può certo navigare nell’oro, no? Ma qualcosa avrà visto, qualcosa avrà sentito. Non è possibile che non abbia mai avuto dei sospetti.»
«Non voglio parlare male di nessuno. Non è nel mio stile, e poi…»
«Neanche di Stefanini?» lo interruppe Danova. «È morto, pace all’anima sua, quindi… non potrà mica lamentarsi, no? Cos’ha paura, che venga di notte a tirarle le gambe mentre dorme?» Lesse un inizio di dubbio negli occhi di Lioffredi e continuò. «Col motoscafo, per esempio. Dove andava di continuo Stefanini col motoscafo? Io lo conoscevo appena, ma non mi ha mai dato l’impressione di uno che se ne va in barca sul lago per il solo piacere di una gita. Con tutti gli impegni che aveva, poi. E guardi che questa cosa del motoscafo non l’ho inventata io. Ce l’ha detto Giliola, la sua governante. Povera donna, se ha colpito lei che per Stefanini aveva una venerazione…»
Mentre il maresciallo parlava, Lioffredi cercava di valutare cosa gli conveniva fare. Tacere? Raccontare qualcosa? Certo, le suore avrebbero accolto con grande piacere la notizia che lui aveva aiutato la polizia. Sarebbe stata una carta in più per rientrare nel giro. E in ogni caso Danova aveva detto una cosa vera: Stefanini era morto. E Ottavia… ormai l’aveva perduta; che lui parlasse bene o male del marito non avrebbe fatto alcuna differenza. Ma Porrone? Conveniva raccontare anche di lui? Era una persona importante, con molti amici… Però, come si era comportato quando lui non gli era più servito? Lo aveva emarginato, lo aveva fatto sentire inutile al punto che, quando gli avevano offerto un posto al convento, non se l’era lasciato scappare nel timore di trovarsi di punto in bianco senza lavoro. Sospirò.
«...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Dedica
  4. Oche sgozzate - Venerdì, 18 gennaio
  5. Un frigorifero vuoto - Martedì, 12 marzo
  6. I segreti dell’isola - Venerdì, 15 marzo
  7. Una lama di luce - Sabato, 16 marzo
  8. Un corpo rannicchiato - Domenica, 17 marzo
  9. All’oratorio di San Luigi - Lunedì, 18 marzo
  10. Ritorno all’isola - Martedì, 19 marzo
  11. Due donne vestite di nero - Mercoledì, 20 marzo
  12. E adesso? - Giovedì, 21 marzo
  13. Vietato rullare - Lunedì, 25 marzo