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ALLENAMENTO EMOTIVO: LA CHIAVE PER ALLEVARE FIGLI EMOTIVAMENTE INTELLIGENTI
Diane è già in ritardo per andare al lavoro mentre cerca di convincere il suo Joshua di tre anni a mettersi la giacca per portarlo all’asilo. Dopo una colazione frettolosa e una battaglia su quali scarpe mettere, anche Joshua è teso. In realtà non gli importa che la mamma abbia un appuntamento di lavoro tra meno di un’ora. Vuole stare a casa a giocare e glielo dice. Quando Diane gli risponde che ciò è impossibile, Joshua si butta a terra. Si sente triste e irritato e si mette a piangere.
Emily, sette anni, si rivolge in lacrime ai propri genitori cinque minuti prima che arrivi la baby-sitter. «Non è giusto: mi lasciate con una persona che neanche conosco!» esclama tra i singhiozzi. «Ma, Emily,» le spiega il suo papà , «questa baby-sitter è una buona amica di tua madre. E poi sono settimane che abbiamo i biglietti per questo concerto.» «E io non voglio lo stesso che ve ne andiate,» piange Emily.
Il quattordicenne Matt rivela alla mamma che è stato appena escluso dalla banda musicale della scuola perché l’insegnante ha sentito che c’era qualcuno che fumava marijuana nel pullman. «Giuro su Dio che non sono stato io,» afferma Matt. Ma i voti del ragazzo sono peggiorati ultimamente, e lui va in giro con una nuova compagnia. «Non ti credo, Matt,» replica la madre. «E finché non riprenderai ad andare bene a scuola, non ti lascerò più uscire.» Ferito e infuriato, Matt se ne esce sbattendo la porta e senza dire una parola.
Tre famiglie. Tre conflitti. Tre figli in momenti diversi del loro sviluppo. Eppure questi genitori affrontano lo stesso problema: come comportarsi con i figli quando le emozioni si surriscaldano. Come la maggior parte dei genitori, anche loro vogliono trattare i loro figli correttamente, con pazienza e rispetto. Sanno che il mondo propone ai figli molte sfide, e vogliono essere loro vicini, offrendo intuizione e appoggio. Vogliono insegnare loro a trattare efficacemente i problemi, e a stringere con le altre persone relazioni forti e sane. Ma c’è una grande differenza tra voler fare la cosa giusta per i propri figli e avere davvero le risorse per farlo.
E questo perché per essere buoni genitori l’intelligenza, da sola, non basta. Si tratta di toccare una dimensione della personalità che la maggior parte dei consigli dispensati a padri e madri negli ultimi trent’anni ignora. L’essere buoni genitori implica l’emozione.
Nell’ultimo decennio, la scienza ha compiuto scoperte sensazionali sul ruolo che le emozioni svolgono nella nostra vita. I ricercatori hanno constatato che, più del Qi, sono la consapevolezza emotiva e la capacità di padroneggiare i sentimenti a determinare il successo e la felicità in tutti i campi dell’esistenza, inclusi i rapporti familiari. Per i genitori, questa «intelligenza emotiva», come ormai viene definita da molti, significa essere consapevoli delle emozioni dei propri figli, essere in grado di empatizzare con loro, di rasserenarli e di guidarli. Per i figli, che apprendono la maggior parte delle lezioni sul sentimento dai loro genitori, ciò implica la capacità di controllare i propri impulsi, rimandarne il soddisfacimento, motivare se stessi, interpretare i segnali sociali che provengono dalle altre persone, affrontare gli alti e i bassi della vita.
«La vita familiare è la prima scuola nella quale apprendiamo insegnamenti riguardanti la vita emotiva» scrive Daniel Goleman, psicologo, autore di Intelligenza emotiva, un libro che descrive dettagliatamente la ricerca scientifica che ha portato a una sempre maggiore comprensione in questo campo. «È nell’intimità familiare che impariamo come dobbiamo sentirci riguardo a noi stessi e quali saranno le reazioni degli altri ai nostri sentimenti; che cosa pensare su tali sentimenti e quali alternative abbiamo per reagire; come leggere ed esprimere speranze e paure. L’educazione emozionale opera non solo attraverso le parole e le azioni dei genitori indirizzate direttamente al bambino, ma anche attraverso i modelli che essi gli offrono mostrandogli come agiscono i propri sentimenti e la propria relazione coniugale. Alcuni genitori sono insegnanti di talento, altri un vero disastro.»1
Quali comportamenti dei genitori fanno davvero la differenza? Come psicologo ricercatore e studioso delle interazioni tra genitori e figli, ho trascorso gran parte degli ultimi vent’anni a cercare la risposta a questa domanda. Lavorando con gruppi di ricerca dell’Università dell’Illinois e dell’Università di Washington, ho condotto ricerche in profondità in due studi su 119 famiglie, osservando come i genitori e i figli reagiscono reciprocamente in situazioni emotivamente connotate.2 Abbiamo seguito questi ragazzi dai quattro anni all’adolescenza. Inoltre, abbiamo già previsto di seguire 130 nuove coppie non appena avranno dei figli. I nostri studi richiedono lunghe interviste con i genitori, in cui si parla del loro matrimonio, delle reazioni alle esperienze emotive dei figli e della consapevolezza del ruolo che l’emozione svolge nella loro vita. Abbiamo seguito le risposte fisiologiche dei soggetti durante interazioni particolarmente stressanti tra i genitori e i figli. Abbiamo osservato e analizzato con attenzione le reazioni emotive dei genitori alla collera e alla tristezza dei loro figli. Abbiamo esaminato queste famiglie nel corso del tempo per vedere come si evolvevano i loro figli dal punto di vista della salute, dei risultati scolastici, dello sviluppo emotivo e delle relazioni sociali.
I nostri risultati raccontano una storia semplice, eppure convincente. Abbiamo scoperto che i genitori appartengono per lo più a due categorie: quelli che rappresentano per i figli una guida nel mondo delle emozioni, e quelli che non svolgono questo ruolo.
Chiamo i genitori che si sono fatti coinvolgere nei sentimenti dei figli «allenatori emotivi», «genitori-allenatori». Proprio come gli allenatori nell’atletica, essi insegnano ai figli delle strategie per affrontare gli alti e bassi della vita. Non si oppongono alle manifestazioni di collera, tristezza o paura dei loro figli. Ma neppure le ignorano. Al contrario, accettano le emozioni negative come un fatto della vita, e usano i momenti emozionali come opportunità per impartire ai figli lezioni di vita e costruire relazioni sempre più strette con loro.
«Quando Jennifer è triste… ecco un’occasione davvero importante per migliorare il legame tra noi,» dice Maria, la madre di una delle cinquenni che abbiamo in osservazione. «Le dico che voglio parlarle, per capire che cosa sta provando.»
Come molti genitori-allenatori nei nostri studi, il padre di Jennifer, Dan, considera il momento in cui la figlia è triste o arrabbiata come quello in cui essa ha più bisogno di lui. Più che in ogni altra occasione di interscambio, il fatto di tranquillizzare la figlia, dice Dan, «mi fa sentire papà . Devo essere lì per lei… devo dirle che va tutto bene. Che sopravviverà a questo problema e probabilmente ne avrà molti altri».
I genitori-allenatori come Maria e Dan si potrebbero descrivere come particolarmente presenti e positivi nei confronti della figlia, e in effetti lo sono. Ma, da solo, il fatto di essere genitori presenti e positivi non è sufficiente a insegnare l’intelligenza emotiva. In effetti, è abbastanza frequente incontrare genitori affettuosi ed attenti, eppure incapaci di interagire efficacemente con le emozioni negative dei loro figli. Tra i genitori che non riescono a insegnare l’intelligenza emotiva ai loro figli, ho identificato tre categorie:
1. Genitori noncuranti, che sminuiscono, ignorano o sottovalutano le emozioni negative dei figli.
2. Genitori censori, che criticano le espressioni di sentimenti negativi e che possono arrivare a rimproverare o punire i figli per queste manifestazioni emotive.
3. Genitori lassisti, che accettano le emozioni dei figli e si dimostrano empatici, ma non riescono a offrire loro una guida o a porre limiti al loro comportamento.
Per darvi un’idea delle diversità di risposte che danno i genitori-allenatori e gli altri tre tipi di genitori, ripensate a Diane, il cui bambino protestava perché non voleva andare all’asilo, e immaginatela in ognuno di questi ruoli.
Se fosse stata un genitore noncurante, avrebbe potuto dire a Joshua che la sua riluttanza ad andare all’asilo era ridicola, e che non c’era nessuna ragione di intristirsi per il solo fatto di uscire di casa. Poi avrebbe cercato di distrarlo dai pensieri tristi forse lusingandolo con un dolce o parlando delle attività divertenti che la maestra aveva preparato per lui.
Come genitore censore, Diane avrebbe potuto rimproverare Joshua per il suo rifiuto di cooperare, dirgli che era stanca del suo comportamento infantile e minacciare di sculacciarlo.
Come genitore lassista, Diane avrebbe potuto abbracciare Joshua insieme alla sua collera e alla sua tristezza ed empatizzare con lui. Dirgli che è perfettamente naturale per lui voler rimanere a casa. Ma poi si sarebbe trovata a corto di idee sul da farsi. Non avrebbe voluto gridare, sculacciare o ricattare il figlio, ma rimanere a casa non era neppure un’opzione praticabile. Forse, alla fine, sarebbe arrivata a un compromesso: Giocherò con te per dieci minuti, ma poi usciremo dalla porta senza piangere. Fino alla mattina dopo, quando il problema si sarebbe riproposto.
In che cosa sarebbe stato diverso il comportamento di un genitore-allenatore? Avrebbe iniziato come il genitore lassista, empatizzando con Joshua, e facendogli capire che comprendeva la sua tristezza. Ma poi sarebbe andato oltre, fornendo a Joshua una guida per gestire i suoi sentimenti spiacevoli. Forse la conversazione si sarebbe potuta sviluppare come segue:
Diane: Mettiti la giacca, Joshua. È ora di andare.
Joshua: No! Non voglio andare all’asilo.
Diane: Non ci vuoi andare? Perché?
Joshua: Perché voglio stare a casa con te.
Diane: Davvero?
Joshua: Sì. Voglio stare a casa.
Diane: Caspita! Penso di capire come ti senti. Ci sono certe mattine che vorrei anch’io rimanere con te, accoccolati in poltrona a guardare i libri insieme, invece di uscire di casa. Ma, sai una cosa? Ho dato la parola a quelli del mio ufficio che sarei stata lì alle nove. E non posso mancare alla parola.
Joshua: (mettendosi a piangere). Ma perché no? Non è giusto. Io non ci voglio andare.
Diane: Vieni qui, Josh. (Lo prende in braccio). Mi spiace, amore, ma non possiamo rimanere a casa. Scommetto che è questo che ti fa arrabbiare, vero?
Joshua: (annuendo) Sì.
Diane: E sei anche un po’ triste, eh?
Joshua: Sì.
Diane: Anch’io sono un po’ triste. (Lo lascia piangere per un po’, continuando a tenerlo stretto, e lasciando che sfoghi le lacrime.) Senti che cosa facciamo. Pensiamo a domani, quando non dovremo andare al lavoro e all’asilo. Domani potremo trascorrere tutta la giornata insieme. Perché non pensi a qualcosa di speciale che ti piacerebbe fare domani?
Joshua: Possiamo mangiare le frittelle e guardare i cartoni?
Diane: Certo! Sarebbe una grande idea. Nient’altro?
Joshua: Posso portare anche il carrettino al parco?
Diane: Perché no?
Joshua: E può venire anche Kyle?
Diane: Forse. Però dobbiamo chiederlo alla sua mamma. Ma adesso è ora di andare, d’accordo?
Joshua: Vabbè.
A prima vista il genitore-allenatore emotivo potrebbe sembrare piuttosto simile al genitore noncurante, poiché entrambi cercano di distrarre Joshua, inducendolo a pensare a qualcosa di diverso dallo stare a casa. Ma c’è una differenza importante. Da genitore-allenatore qual è, Diane riconosce la tristezza di Joshua, aiuta il figlio a dare un nome a quella sensazione, gli lascia il tempo di assaporare i suoi sentimenti e gli sta vicino mentre piange. Non cerca di distrarre la sua attenzione dal sentimento. Né lo rimprovera per il fatto di provarlo, come avrebbe fatto il genitore censore. Al contrario, fa comprendere al figlio che rispetta i suoi sentimenti e pensa che i suoi desideri siano validi.
Al contrario della madre lassista, il genitore-allenatore pone dei limiti. Impiega qualche minuto in più per trattare i sentimenti di Joshua, ma gli fa capire chiaramente che non vuole far tardi al lavoro e mancare alla parola data. Joshua ci rimane male, ma si tratta di un sentimento che sia lui sia Diane riescono ad affrontare. Una volta che Joshua ha avuto la possibilità di identificare, sperimentare e accettare l’emozione, Diane gli mostra che è possibile andare oltre i suoi sentimenti tristi e guardare avanti, verso il divertimento del giorno successivo.
Questo tipo di risposta, fa parte del processo di Allenamento emotivo che i miei colleghi di ricerca e io abbiamo scoperto nei nostri studi sulle interazioni efficaci tra genitori e figli. Il processo avviene, tipicamente, in cinque fasi. Il genitore:
1. Diventa consapevole dell’emozione del bambino.
2. Riconosce in quell’emozione un’opportunità di intimità e di insegnamento.
3. Ascolta con empatia, e convalida i sentimenti del bambino.
4. Aiuta il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che sta provando.
5. Pone dei limiti, mentre esplora le strategie per risolvere il problema in questione.
Gli effetti dell’Allenamento emotivo
Che differenza fa per i bambini avere genitori-allenatori? Osservando e analizzando nel dettaglio le parole, le azioni e i responsi emotivi che le famiglie sviluppano nel tempo, abbiamo scoperto un contrasto veramente significativo. I figli dei genitori che praticano con costanza l’Allenamento emotivo, godono di una migliore salute fisica, e raggiungono a scuola risultati superiori rispetto ai figli dei genitori che non offrono una guida del genere. Questi soggetti hanno rapporti migliori con gli amici, minori problemi comportamentali e sono meno soggetti a reazioni violente. Ma, soprattutto, gli individui emotivamente allenati sperimentano un numero minore di sensazioni negative e maggiore di sensazioni positive. In breve, sono emozionalmente più sani.
Ma ecco il risultato che a me sembra più sorprendente. Quando le madri e i padri sogliono «allenare» i figli alle emozioni, ottengono come risultato figli più elastici. Anche i figli allenati emotivamente sono tristi, si arrabbiano o si spaventano in circostanze difficili. Ma hanno una maggiore capacità di ritrovare la calma, riprendersi dalle delusioni, perseverare nelle attività produttive. In altre parole, sono emotivamente più intelligenti.
In effetti, la nostra ricerca mostra che l’Allenamento emotivo può anche proteggere i ragazzi dai comprovati effetti negativi di una crisi che nelle famiglie americane va continuamente crescendo – ovvero quella dei conflitti coniugali e dei divorzi.
Quando più della metà dei matrimoni si conclude in un divorzio, milioni di bambini e ragazzi rischiano i problemi che molti sociologi hanno collegato alla dissoluzione della famiglia.3 Tra questi problemi c’è il fallimento scolastico, l’emarginazione da parte degli altri coetanei, la depressione, problemi di salute e comportamenti antisociali. Questo tipo di difficoltà può affliggere i figli anche in casi in cui i litigi e l’infelicità non portano i genitori al divorzio. La nostra ricerca mostra che quando una coppia si trova in perenne conflitto ostacola la capacità dei figli di formarsi delle amicizie.4 Abbiamo anche scoperto che i conflitti coniugali influiscono negativamente sul rendimento scolastico dei figli e ne accrescono la vulnerabilità alle malattie. Noi ora sappiamo che un effetto molto importante dell’epidemia che mette in crisi e distrugge i matrimoni nella nostra società è una crescita dei comportamenti devianti e violenti tra bambini e adolescenti.
Ma, quando i genitori-allenatori nei nostri studi hanno attraversato conflitti coniugali, o si sono separati o hanno divorziato, è accaduto qualcosa di diverso.5 A parte il fatto che questi figli erano generalmente «più tristi» degli altri ragazzi nei nostri studi, l’Allenamento emotivo sembra che li abbia preservati dagli effetti deleteri subiti da molti altri soggetti che sono passati dalla stessa esperienza. Effetti già noti del conflitto coniugale e del divorzio quali il fallimento scolastico, l’aggressività e i problemi con i coetanei non si sono manifestati nei figli allenati emotivamente, e questo fattore suggerisce che l’Allenamento emotivo è in grado di offrire ai ragazzi la prima difesa efficace nei confronti del trauma emotivo del divorzio.
Se queste scoperte sono evidentemente rilevanti per le famiglie che stanno affrontando problemi coniugali e le conseguenze di un divorzio, ci aspettiamo che ricerche ulteriori rivelino la capacità dell’Allenamento emotivo di tutelare i ragazzi da tutta una costellazione di altri conflitti, perdite e angosce.
Un’altra sorprendente scoperta della...