Ascendente Bourne
eBook - ePub

Ascendente Bourne

Jason Bourne vol. 12

  1. 408 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ascendente Bourne

Jason Bourne vol. 12

Informazioni su questo libro

Jason Bourne è di fronte a una tragica scelta: una vita in cambio di una vita, il futuro politico del mondo in cambio della salvezza delle persone a lui più care. Ingaggiato da un ministro mediorientale per proteggerne l'incolumità, Bourne prende il suo posto per partecipare a un rischioso summit segreto in Qatar. Ma durante l'incontro un manipolo di terroristi uccide i partecipanti e lo cattura: la mente dell'attacco è lo spietato El Ghadan, uomo di spicco del terrorismo jihadista. Il patto è questo: l'agente segreto deve uccidere il presidente degli Stati Uniti prima che firmi uno storico trattato di pace fra Israele e Palestina, durante un vertice a Singapore. Se non lo farà, El Ghadan ucciderà chi ha fatto rapire: Soraya Moore, ex collaboratrice e intima amica di Bourne, e la sua bambina di due anni. L'uomo non può fare altro che accettare e infiltrarsi nella cellula terroristica di Ivan Borz, il temibile trafficante d'armi ceceno che sta organizzando l'attentato di Singapore. Un percorso strettissimo per salvare Soraya e il presidente e per portare a casa la pelle: perché più si addentra nei meandri oscuri della politica e del terrorismo, più Bourne scopre che forse le macchinazioni di El Ghadan non sono che una trappola per eliminarlo nel peggiore dei modi.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2015
Print ISBN
9788817084833
eBook ISBN
9788858680773

1

Sette ministri entrarono nel celebre Al-Bourah Hotel di Doha. Venivano da Giordania, Siria, Qatar, Iraq, Libano, Emirati Arabi Uniti e Yemen, e ciascuno di loro portava, incatenata al polso, una valigetta il cui meccanismo di apertura richiedeva l’impronta digitale del proprietario. Procedevano con portamento regale, scuri in volto: molti di loro erano potenti come gli antichi sovrani del passato. Erano accompagnati da cupe guardie del corpo, energumeni armati fino ai denti pronti a reagire al minimo segno di pericolo.
Il gruppo entrò nell’immensa hall, sfilando tra enormi colonne di marmo, e superò i complessi controlli di sicurezza, finanziati dai Paesi partecipanti e supervisionati da una decina di mercenari di lunga esperienza, reclutati appositamente per l’occasione.
I ministri e gli uomini della scorta presero due ascensori e salirono fino all’ultimo piano, imboccando un corridoio che li condusse fino a un’ampia e luminosa sala riunioni. I loro passi erano silenziosi sugli spessi tappeti. Lungo il percorso, altri uomini in divisa vigilavano sulla loro incolumità.
I sette ministri si accomodarono intorno a un tavolo di palissandro, aprirono le solide valigette di acciaio e titanio e ne estrassero una cartellina che recava la scritta TOP SECRET. Gli uomini della scorta stapparono le bottiglie d’acqua appoggiate sul tavolo e ne assaggiarono il contenuto prima di versarlo nei bicchieri lavati a mano da personale di estrema fiducia. Poi arretrarono, con rigidità militaresca, posizionandosi un passo dietro le sedie, sulla destra.
Oltre alle bottiglie d’acqua, sul tavolo erano stati sistemati sette enormi posacenere di cristallo. Quasi tutti i ministri si accesero una sigaretta e aspirarono il fumo con avidità.
Al di là degli spessi vetri antiproiettile Doha sembrava ribollire, nonostante fosse ancora mattina. I moderni profili degli edifici sembravano deformarsi per il calore, che saliva verso l’alto simile a una colonna di fumo. La baia che dava il nome alla città si estendeva fino all’orizzonte, e risplendeva come una distesa di diamanti sotto i raggi obliqui del sole.
Il ministro del Qatar, che aveva organizzato l’incontro, prese la parola.
«Oggi ci troviamo qui per affrontare un problema di estrema gravità» esordì. Era un uomo minuto e indossava un elegante completo di rappresentanza. «Negli ultimi diciotto mesi, numerose navi cariche di armi da guerra hanno raggiunto le nazioni dell’Africa meridionale. Nazioni che dispongono di ingenti riserve non solo di petrolio, ma anche di gas, diamanti, uranio e elementi rari.»
Il ministro si fermò e bevve un sorso d’acqua, approfittandone per guardarsi attorno e osservare i volti dei presenti. «Pensiamo ai Paesi che non sono rappresentati a questo tavolo. L’Egitto sta attraversando una fase di profondo cambiamento, e non è possibile individuare un leader che possa essere considerato portavoce di tutta la nazione. Iran e Arabia Saudita saranno l’argomento della nostra discussione odierna, e non abbiamo ritenuto opportuno invitarli.» Si schiarì la voce. «E non credo sia necessario menzionare Israele.»
«Gli israeliani sono tutti terroristi» commentò il ministro iracheno, senza trattenere una smorfia di disprezzo. «Il loro cosiddetto Stato è da sempre fondato sul terrore; hanno brutalmente sottomesso i palestinesi, confinandoli in territori sempre più esigui e applicando le tecniche terroristiche che noi tutti conosciamo.»
Il ministro del Qatar lo fissò in silenzio per qualche istante. «Proprio così» confermò, prima di distogliere lo sguardo. «Fino a oggi, i nostri uomini migliori non sono riusciti a rintracciare l’origine delle spedizioni, tuttavia siamo sicuri del contenuto: armi sempre più moderne. Moderne e, ovviamente, pericolose. I destinatari sono i capi di alcuni gruppi ribelli locali. Si tratta di feroci cellule terroristiche.» Prese un iPad, sfiorò lo schermo e proiettò sulla parete un elenco di gruppi ostili agli Stati i cui ministri partecipavano alla riunione. Per ciascuno di essi veniva indicato il numero delle vittime, degli attentati alla proprietà, dei bambini e degli adolescenti reclutati a forza oltre alla percentuale di successo dei programmi di indottrinamento.
«Come vedete, l’efficacia del proselitismo di questi gruppi è altissima.» Si aiutò con un puntatore laser per indicare le informazioni. «Le condizioni di estrema povertà, la mancanza di diritti civili, la promessa del martirio e di soldi per le famiglie dei martiri conducono a un alto numero di adesioni, così cospicuo da compensare l’elevato tasso di mortalità tra i reclutati.» Disattivò la proiezione. «Possiamo vedere con i nostri occhi che le critiche occidentali all’Islam radicale sono giustificate: un vero processo di disumanizzazione, che umilia la vita e le toglie valore.»
A queste parole, il ministro degli Emirati Arabi Uniti si alzò in piedi. «Questa ondata di estremismo deve cessare» affermò. Era alto e imponente, con i capelli e gli occhi scuri e il viso coperto di rughe, ma ancora tonico, come cuoio invecchiato. Sbatté un pugno sul tavolo. «I terroristi si moltiplicano e seminano il panico ovunque, e noi raccogliamo la tempesta che loro hanno seminato. Tutto questo deve finire. La loro violenza si ripercuote su di noi: è la nostra gente a morire.»
Si mise di nuovo a sedere. Il ministro del Qatar annuì, e la quasi totalità dei presenti fece lo stesso. Il rappresentante siriano, che aveva seguito gli sviluppi della discussione con grande attenzione, rimase a osservare le reazioni degli altri.
Quando venne accordata una pausa ne approfittò per lasciare la sala e avviarsi verso il bagno degli uomini. Si accertò che non ci fosse nessuno, poi infilò un cuneo di legno sotto la porta per tenerla chiusa. Si guardò nello specchio: si sfiorò il naso ingrossato da una protesi ed estrasse gli inserti di plastica che gli gonfiavano le guance. Sistemò la barba posticcia e applicò un po’ di colla per farla aderire perfettamente.
Jason Bourne faceva fatica a riconoscere il proprio volto.
Era un fatto positivo: se lui stesso non era in grado di riconoscerlo, nessun altro ci sarebbe riuscito. Per anni aveva vissuto grazie ai proventi delle sue operazioni, nascosti nella cassetta di sicurezza di una banca di Zurigo. Ma quei risparmi erano finiti, e aveva dovuto trovare un altro sistema per procurarsi da vivere.
Aveva trascorso l’ultimo anno vendendo le sue abilità professionali al miglior offerente, assumendo le fattezze di ministri e uomini d’affari che temevano di essere assassinati durante incontri diplomatici o professionali organizzati in luoghi potenzialmente pericolosi. Era diventato una «controfigura», come si diceva in gergo. Ed era bravo, così bravo che nel giro di dodici mesi era riuscito a riassestare le proprie finanze.
Prese un cellulare, modificato in modo da criptare le conversazioni in entrata e in uscita, e premette il tasto di chiamata rapida. Non appena Sara Yadin rispose, le recitò a memoria i nomi e le cifre che il ministro del Qatar aveva proiettato sulla parete.
«Il resto te lo dico più tardi.» Interruppe la comunicazione.
Non era solito riferire le informazioni raccolte durante quel genere di incontri, ma per lei poteva fare un’eccezione: era innamorato di Sara, un’agente del Mossad. E la sua amicizia con il padre di lei, Eli, direttore dell’agenzia di intelligence israeliana, stava diventando sempre più solida. Quelle informazioni avrebbero potuto rivelarsi molto importanti per la loro sicurezza.
Sorrise all’immagine nello specchio, rimise al loro posto le protesi per le guance e le sistemò con cura, poi si diede un’ultima occhiata soddisfatta e tornò nella sala riunioni.
L’atrio dell’Al-Bourah Hotel era deserto, a eccezione dei mercenari rimasti di guardia. Non c’erano ospiti o limousine nel viale d’ingresso, né anima viva sull’ampio lungomare. La macchina della sicurezza stava funzionando alla perfezione. Il personale dell’albergo era riunito presso la reception e si sforzava di trattenere gli sbadigli. Non avevano niente da fare, nessun posto dove andare. Era stata proibita anche la conversazione, e non potevano scambiarsi le battute o raccontarsi i pettegolezzi che di solito li aiutavano a superare la giornata lavorativa.
La situazione era così tranquilla che persino alcuni dei mercenari, distratti, avevano iniziato a lanciare occhiate furtive alle ragazze dell’hotel. Alcuni minuti dopo, la più bella di tutte si allontanò dal bancone di granito, portando un vassoio sul quale aveva posato alcune tazze di tè. I mercenari la fissarono, prima con circospezione, poi con desiderio, mentre si avvicinava con un sorriso provocante dipinto sul volto.
Distribuì le tazze agli uomini, che le accettarono con gratitudine; soltanto uno di loro declinò l’offerta. Lei insistette, ma lui continuò a rifiutare. In quel momento i suoi colleghi iniziarono a sentirsi le gambe molli. Barcollarono e caddero sul lucido pavimento, a gruppi di due o tre. Il soldato che aveva rifiutato il tè sollevò l’arma, ma il portiere gli sparò un colpo alla tempia da distanza ravvicinata.
Era il segnale convenuto: i terroristi che si erano spacciati per dipendenti dell’Al-Bourah Hotel entrarono in azione. Attraversarono di corsa la hall e raccolsero le armi dei mercenari.
Le quattro guardie che erano rimaste all’esterno cercarono di superare le porte girevoli, ma due attentatori si voltarono e li freddarono con i fucili d’assalto, mandando il vetro in frantumi.
Uno degli assalitori prese un cellulare e pronunciò alcune parole. Dopo una trentina di secondi tre enormi SUV americani si fermarono davanti all’albergo e ne scesero altri sedici uomini, che abbatterono quel che restava dei vetri delle porte girevoli. Il plotone, capeggiato dal suo leggendario leader, fece irruzione nell’hotel calpestando i cadaveri dei mercenari.
La prima fase era stata completata senza intoppi.
Dopo la pausa, la riunione era ripresa.
«Abbiamo fondati motivi per credere che dietro queste spedizioni vi sia lo Stato ebraico» tuonò il rappresentante iracheno. «Sarebbe proprio nello stile del Mossad finanziare cellule terroristiche per destabilizzare i Paesi dai quali gli israeliani non possono trarre benefici economici.»
Alcuni annuirono; il diplomatico del Qatar si alzò in piedi e si rivolse a Bourne: «Ministro Qabbani, non abbiamo ancora sentito la sua opinione».
Bourne annuì. «È facile accusare Israele, ma io preferisco attenermi alla realtà dei fatti. Mi sembra che ci siano organizzazioni più interessate del Mossad ad armare la mano di questi gruppi terroristici.»
«E quali sarebbero?» domandò l’iracheno, minaccioso.
«L’Iran, per esempio. O la Russia» replicò Bourne.
«La Russia?» chiese l’altro, sorpreso.
«La Cina consuma risorse a un ritmo più elevato di qualsiasi altra nazione. Negli ultimi cinque anni si è fatta strada a forza di bustarelle nei Paesi africani con le maggiori risorse di greggio, gas e uranio. I russi farebbero di tutto pur di indebolire le incursioni cinesi. E quale modo migliore per riuscirci se non finanziare i terroristi che intendono sovvertire i governi di quelle nazioni?»
«Per quanto riguarda la Russia, il nostro esimio collega ha ragione» commentò il rappresentante degli Emirati Arabi Uniti. Il collega iracheno non fece nulla per nascondere un ghigno di derisione. Bourne si voltò a guardarlo. «Non è d’accordo, ministro Boulos?»
«Assolutamente no.»
«Ministro Boulos, mi corregga se sbaglio, ma la Russia non è un vostro cliente?»
L’iracheno si irrigidì. «È la Cina a detenere le quote più alte dell’industria petrolifera del mio Paese.»
«Ed è per questo motivo che alcuni rappresentanti del Cremlino hanno assunto proprio lei per mettere i bastoni tra le ruote all’avanzata dei cinesi.»
Il ministro degli Emirati Arabi Uniti si voltò di scatto. «Boulos, è vero quello che dice?»
«Assolutamente no!» protestò l’uomo, ma il tono della sua voce si era fatto troppo alto e nessuno sembrò particolarmente incline a credergli.
Il ministro degli Emirati Arabi Uniti si girò di nuovo verso Bourne. «Cosa suggerisce di fare?»
I terroristi raggiunsero l’ultimo piano, usando l’ascensore e le scale antincendio. Tre dei mercenari dispiegati nel corridoio, a libro paga degli attentatori, si liberarono dei colleghi più vicini pugnalandoli o strangolandoli con un laccio. Gli altri furono eliminati con rapidità ed efficienza dai nuovi arrivati. Infine, a un cenno del leader, il gruppo si avviò in silenzio verso la sala riunioni.
«Dopo la spaccatura dell’FSB le politiche di spionaggio della Russia sono diventate più aggressive, sia nella sfera offensiva sia in quella difensiva» stava spiegando Bourne. «I miei contatti all’interno dell’organizzazione mi confermano che l’FSB2 è ancora più pericoloso dell’FSB1 ed è responsabile di…»
Le porte si spalancarono e quattro terroristi a volto coperto fecero irruzione sparando brevi raffiche con i fucili d’assalto. La sala si riempì di schizzi di sangue, frammenti di ossa e grumi di materia cerebrale, e i ministri di Qatar, Emirati Arabi Uniti e Giordania caddero a terra. Gli assalitori bloccarono le porte per impedire ogni tentativo di fuga.
Approfittando della confusione, Bourne scagliò la sua valigetta contro il terrorista più vicino, abbattendolo, poi afferrò un posacenere e colpì in volto un secondo attentatore, che finì privo di sensi con la schiena contro la parete, il viso coperto di sangue.
Gli altri due terroristi si stavano occupando del ministro iracheno, di quello libanese e di quello yemenita, il quale era riuscito a estrarre una pistola dalla valigetta. Bourne si impadronì dell’arma del primo assalitore.
Prese la mira e colpì uno degli uomini, che crollò sul pavimento con un tremendo squarcio nel petto. Il quarto e ultimo puntò il fucile d’assalto verso Bourne, ma lui lo precedette e lo abbatté con una raffica.
Si alzò in piedi. La sala era completamente imbrattata di sangue. Controllò le funzioni vitali dei ministri: tutti morti.
Con l’arma ancora in pugno, voltò le spalle a quella carneficina e aprì le porte, ma si trovò davanti al jihadista noto come El Ghadan. L’uomo, il cui nome di battaglia significava «domani», era circondato da una decina di terroristi con i fucili d’assalto puntati su Bourne.
El Ghadan si avvicinò, gli tolse l’arma dalle mani e gli strappò via la barba e il naso posticcio. Sorrise. «Buongiorno, signor Bourne.»

Prima parte

2

El Ghadan fece un cenno. «Seguimi, prego.»
Bourne non rispose né accennò a muoversi.
«Dunque è vero quel che si dice della tua testardaggine» commentò El Ghadan. Gli rivolse un sorriso malevolo. «Perquisitelo.»
Un tizio tarchiato gli si avvicinò e lo tastò rivolgendogli uno sguardo colmo d’odio. Conclusa la perquisizione, si allontanò con un cenno affermativo.
«Torniamo sulla scena del delitto.»
Un altro terrorista afferrò Bourne per le braccia e lo spinse all’interno della sala riunioni.
«Uno, due, tre, quattro morti» contò El Ghadan, guardando i cadaveri dei suoi uomini. Si piazzò davanti a Bourne. Non era alto, ma aveva le spalle larghe e la vita sottile, da ballerino: l’unico particolare aggraziato di tutta la sua figura. Per il resto, i lineamenti erano grossolani, le guance butterate e le mani grandi e forti. Era un beduino, nato e cresciuto nel deserto.
«Martiri. Ognuno di loro.» Aveva labbra carnose e i suoi occhi guardavano lontano, come se vedessero il futuro e non il presente. Forse era quello il motivo del suo soprannome. «Questo, tuttavia, non ti assolve dal tuo crimine.»
Bourne aveva sentito parlare di El Ghadan, ma era ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. 1
  6. Prima parte
  7. Seconda parte
  8. Terza parte
  9. Quarta parte
  10. Tre mesi dopo
  11. Una settimana dopo