Un cuore di troppo
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Un cuore di troppo

  1. 208 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Un cuore di troppo

Informazioni su questo libro

Un centro antistress di lusso, dove industriali e donne dell'alta società vengono per recuperare il sonno e la forma fisica perduti: qui un uomo si innamora di un uomo sposato e l'anno dopo, sempre qui, racconta a un terzo la sua passata passione e la sua delusione. Ma da un ottobre all'altro, entrambi sono gli uomini sbagliati: il primo, di cui innamorarsi, il secondo, a cui raccontare una storia d'amore. E non per il fatto che possa o meno esserci sesso tra due uomini, ma perché nel mondo degli uomini non può esserci posto per sentimenti che vengano definiti come amore. Ma l'incauto e fiducioso confidente e narratore insiste ancora nell'averne, e nel provarne, e nel raccontarne. Un romanzo di incontri, forse reali, forse letterari, di fantasie per nulla semplici dell'autore e invenzioni linguistiche elegantissime, che sembrano raccontare più di un'assenza che di un amore.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817081467
eBook ISBN
9788858679913
La lezione, gli insegnamenti che incidono indelebili nel tuo carattere… che credi ormai inalterabile come una roccia in una teca, data l’età avanzata e le poche novità sopravvenute nel sentimento che ti sei fatto dell’esistenza… e che danno un’effettiva svolta al tuo modo di pensare, di sentirti partecipe, e di concepire le tue esperienze e tanto più tue quanto più sai di averle prese in affitto dagli altri… per esempio dal Monte di Pietà dell’amore che usuri… be’, questi insegnamenti, con la loro impensabile morale a ghigliottina, ti cadono in testa… fra capo e collo, davvero… senza che te l’aspetti.
La lezione autentica non ti eleva, ti atterra e ti spiaccica, e pialla la fantasia del tuo sentire, che inconsapevolmente è un sentire assieme, e da compartecipata diventa solo tua, senza più alcuna relazione con l’esterno, come se non fosse una fantasia umana ma solo un’immaginazione di natura chimica, sradicata e inerte, che non palpita presso alcun altro elemento, che non permea alcun altro cuore: che non entra in circolo, e pertanto, sottratta dal novero delle passioni umane vivibili, sottrae democrazia al sangue e quindi al mondo; questa lezione esemplare è un’illuminazione che ti fa sprofondare nella tenebra, una guarigione che ti prostra, un premio che ti sottrae anche quel poco di concreto… reale… che credevi di esserti meritato. Essere convinti di una realtà a compartecipazione sociale diventa l’equivalente del farsi l’illusione di una illusione fra sé e sé. Riguardando solo te, niente riguarda più nessuno, perché non è certo di uno specchio che hai bisogno per dire «noi due» o, peggio, «tu». Lui, ecco.
Credevo, io, di non avere convinzioni grandi e grosse come dogmi ma meri convincimenti almeno sì, insomma un punto da cui partire per raccontare una certa storia che mi ha coinvolto con qualcuno… un uomo… che non racconterà mai la sua versione a nessuno e che, innanzitutto, non l’ha raccontata a me… a parte quella insaccata in una barzelletta sporca a uso di quel pettegolo a arte del suo amicone di Crevalcore… e versione di cui tuttavia devo ora tenere conto per raccontare la storia a un conoscente occasionale, a uno spettatore che sta prendendo posto per ascoltarmi… devo tenerne conto per raccontarla da un punto di vista qualsiasi, che è purtroppo solo il mio, e invece, per chi ascolta la mia storia… d’amore? di scherno? di che? che cosa ci teneva in relazione? relazione?… per lo spettatore ormai costretto a ascoltarla non stanno in piedi neppure questi miei convincimenti vaghi, incerti, indizi sempre lì con l’aria di chiedere servilmente «Con permesso…», perché tutto volevo meno che imporre un esito scontato da tesi a priori e plagiare sin dalla partenza il mio buon ascoltatore, che mi serviva affidabile, libero dai miei stessi inevitabili pregiudizi o desiderata da rivendicare prove alla mano, sì, ma artefatte dall’amor proprio di me se non dal suo per sé.
Eppure, col senno di poi e vista la bella morale della favola della mia storia che ho cercato con tutte le mie forze di raccontargli in maniera impersonale, neutra, senza portare acqua al mio mulino, quei meri convincimenti, indizi… il sospetto di non essere stato solo io a amare lui… si sono rivelati un vero e proprio marchio d’origine, fin troppo sicuri di sé… il che, il sé in questione, sarebbe poi un concentrato di me e di lui, dell’altro, l’assente totale, il maiale globale del mio cuor di cui racconto al mio fortuito ascoltatore la parte avuta con me – la parte avuta con me suo malgrado, giocoforza?
Oh, come vorrei essere obiettivo! non m’importa fare un figurone da rubacuori con chi mi sta per ascoltare, ma so in effetti poco del Grosso Salumaio & Piccolo Porco di cui sono stato… stato?… innamorato.
«Ci hanno sempre insegnato che l’unica parola che contiene tutte le vocali è “aiuole”, ma non è vero. Ci sono tutte anche nella voce verbale “eiaculare”, tipo “eiaculo”, voce anale per eccellenza, la scoreggia fattasi seme di una cultura contro, io eiaculo, la a la i la u la o la e, eia eia alalà» buttai lì in mezzo agli ospiti radunatisi al bar per il caffè d’orzo del dopo pranzo, e c’era anche questo Menelao Filavattelapesca, anzi, era diretta a lui la mia battuta, eia eia alalà a parte, ancora tanto che non abbia gridato «Heil Hitlerini, e Eve Braun a braccetto di tutti ’sti aspiranti führerini di merda!», chissà perché avevo deciso in quell’istante che la mia inenarrabile storia d’amore o che l’avrei raccontata a quel tale Menelao Filaqualcosa o a nessun altro, mi sembrava uno che, a differenza di lui, il Grosso Salumaio & Piccolo Porco, aveva un passato netto, mondato dai fantasmi esemplari di mamma e papà, senza cioè bisogno di proteggere gli idoli falsati apposta perché potessero credere in lui anche dopo morti, tipo un padre idealizzato per esserne idealizzati a reciproco e postumo inganno; «Inoltre in “io eiaculo” c’è tutto l’uomo, il davanti e, nascosto, il vero protagonista, il didietro in maschera, la sua prostata che si avvoltola nel suo caglio machista, il buco del culo negato… negato alla luce del sole, mascherine! Oh, buco del culo unico filantropo disinteressato al mondo, benefattore universale del maschio! Perché preti e fascisti recriminano pubblicamente contro l’uso non defecatorio del buco del culo altrui? Ma per godere meglio… goderne del loro… lontani da occhi indiscreti. I fascisti e i preti sì che sono i sodomiti migliori e indefessi, io non potrò mai competere con chi ha una doppia vita come ce l’ha ognuno qui presente nessuno escluso, ahimè!», e sono scoppiati tutti a ridere e uno, un satiro dal pizzetto rosso e i pantaloni alla zuava in orbace, uno invecchiato dietro a «Ninfette da sogno, sa com’è, il vizio in erba, l’innocenza sfrenata della vitellina…» come aveva appena sottolineato, ha detto, «Tutta propaganda pro domo sua, veh, poeta Subi stalinista dei miei marroni», altro scoppio di risa, e il sorriso a me, di stima, di questo Menelao con in pugno l’assurdo bastone dal puntale d’argento, un Alpenstock, oh cielo, prima che rispondessi, «Ma no, per niente, quale propaganda. E qui con voi ometti del climaterio del cazzo, stremati dall’insonnia da stronzaggine capitalista spacciata per stress da superimpegno etico per salvare la patria e la fede dagli invasori saraceni… che poi siete voi, gli alieni infedeli sanguisughe, ma non sta bene dirlo… o vado a donne o ritorno vergine. Al massimo farei delle opere di carità, qua vi ci vuole l’amido e le stecche di balena per le vostre pelli di daino rincoglionite, altro che il Viagra, altro che Subi poeta cantore dei maschi inchiappettantisi come se il bell’originale fossi solo io». Siccome cominciavano a girarmi le spalle, feci il giro della colonna e del biliardo e mi ripiazzai davanti. «L’uomo ha l’uccello troppo attaccato al culo perché l’apparente piacere dell’uno non sia il vero piacere dell’altro. Anche te, ninfettofilo pizzetto nostalgico della Decima Mas più in pena che in tiro: ormai o metti mano al portafoglio o metti mano al libro delle Ore», e lì gli uomini si sono azzittiti un istante e poi giù a ridere, perché mica possono picchiarmi o mettersi a piangere battendosi il petto, e una che aveva saltato il pranzo, arrivata con ancora una cispa di mascara agli occhi, tale Fiorella, ha gridato alla barista, «Solo mezzo orzo, signorina, a me, perché mi fa battere il cuore anche quello e dopo mezzogiorno mi rallenta il sonno anche dopo mezzanotte, che già è una mezza veglia funebre» e poi si è avvicinata a questo Menelao e gli ha detto, «Mi sarò addormentata all’alba, alle sei e qualcosa. Ho fatto una dormita di sette ore filate con solo mezza pastiglia. Mi dai la mezza bustina di zucchero che ti è avanzata?», «Ma prego», ha detto lui, ma gliel’ha data in mano, lo zucchero non gliel’ha versato nella tazzina, non è stato cavaliere più di tanto, e questa Fiorella, che è una stratificazione di gioventù passate a distendersi le rughe più che incombenti, ha detto, prendendo a girare nella tazzina col cucchiaino come se fosse una matita che traccia ghirigori automatici ma con una sua logica da fattucchiera, «Tu ne metti sempre quasi due di bustine? A te quante pastiglie ti hanno prescritto?» e lì ho arguito che stavano parlando di tutt’altro, lei almeno di sicuro. Non era neppure del tutto sveglia e già pensava a sedurre il primo manico di scopa a tiro come se fosse la prima delle sue faccende domestiche. Non la prendeva tanto per le lunghe, lei, sbrigava un dovere, si dava da fare con un uomo come se fosse un tavolo su cui si passa lo straccio senza chiedere il suo parere. E il tavolo, per compiacerla, doveva inventarsi una polvere all’istante sulle quattro, anzi, sulle cinque gambe, perché per questi qua e queste qua anche il cazzo è un arto a bacchetta come tanti… e in quel mentre riprende il discorso il vecchio, ovvio satiro Pizzetto Rosso e fa, «Ah, ma se fossero tutti come te che ti piacciono gli uomini l’umanità si estinguerebbe, da quella parte lì non si procrea nessuno» e a semicerchio ho zumato una teatrale occhiata a occhio di pesce e ho giubilato, «Non farmi pensare a una prospettiva tanto rosea, se no faccio all’istante quello che non ho mai inteso fare: proseliti anche nel geriatrico, visto che ci sono dementi che vogliono fare un figlio anche a ottant’anni, e addirittura a cinquanta, per far vedere chi sono loro. Starebbero bene inculati a laser, no? Lì godono in modo irreversibile anche le facce di culo dopato col pizzetto alla Balbo come te. Per il bene loro e di tutti quanti, niente di personale, intendiamoci. Pensa all’umanità estinta, niente di anagraficamente superfluo a dire io qui io là io sì che, niente facce animalesche e inutili in giro che temono di non replicarsi, di non avere uno scopo e di non poter dire a qualcuno finalmente umano e necessario come me, “Sai, culandrone, se tutti la pensassero come te…”», e lì questa Fiorella ha bofonchiato a mezza voce, «Io scusa sarò anche mezza stupida ma…» e io non l’ho lasciata finire, «Non accontentarti della metà, cara, quando ciò che ti spetta di diritto puoi averlo per intero». Mica ha capito cosa, ’sta dimezzata nata, e il ninfettologo incancrenito stava già ribattendo con sussiego, «Ma mio caro Subi, quanti complessi d’inferiorità così di buon’ora!».
Bene, ormai sono sul podio di scena, ho preso a raccontare la mia storia, ma è difficile entrare nel vivo, non c’è un vivo, ecco, nessuno da buttare subito fuori dai polmoni per acchiappare l’attenzione e io odio i preliminari, ma qui oltre a preliminari non c’è niente, non c’è nessuno, non ci sono nemmeno io, tutto succhiato dentro la parte dell’altro di cui devo fare le veci, eppoi sono troppo concentrato a indovinare le segrete reazioni di questo Menelao Filafila, Menes per gli amici, per potermi davvero concentrare su questa ammissione di sentimenti d’amore verso un uomo, quasi quasi gli chiedo scusa e… Non devo nemmeno rimborsare alcun biglietto d’entrata: io a Menes Filatterio… Filatterio, ecco, ricordatene adesso… in dieci giorni, compresa un’uscita in città con un biglietto di cinema e un conto di ristorante, non costerò niente, benzina a parte per fare, trenta e trenta, sessanta chilometri.
Brancoli o, consumato teatrante, fai finta di brancolare per suscitare compassione? Incespichi, balbetti, fai marcia indietro e ti rimangi quanto hai appena detto, sì, ma quanto a arte è la tua reticenza?
Io stesso non lo so, non lo so, faccio ogni sforzo per restare entro i limiti della discrezione, ventilando un dubbio, parlando dei veri… probabili… sentimenti… d’a…?… di lui nei miei confronti.
Non mi sembra di aver imparato niente a memoria, però sono troppi mesi… due anni, al momento che mi apro a Menes, stampo campagnolo, e temprato come un querciolo ben saldo nelle sue radici, che le tempeste temprano solo di più, a parte questa insonnia che lo martoria, così strana in lui, perché l’insonnia è pur sempre un gagliardetto del pensiero borghese e in lui di borghese non c’è niente, nemmeno l’aspirazione; è solare, Menes, ma una specie di sole quadrato a cui tutto deve tornare, la luce che espande come un rendiconto che torna conto e finisce in banca, senza disperdersi gratis o per niente, che scandaglia ogni anfratto per accumulare gli interessi globali, rotondi «come-dio-comanda»… io lì per troppo tempo, da ottobre a ottobre con salto di uno, l’ottobre di mezzo, io lì a esaminare ogni possibile versione in lungo e in largo di questa storia d’amore o che è la sua resa a alta, no, a mezza voce a qualcuno per darle corpo, un corpo qualsiasi almeno nella memoria… compreso l’abbaglio che abbaglio non è stato circa il tipo nell’auto bianca sotto la muraglia dirimpetto a casa mia di notte e di mattina, quel detective della lippa… ma a chi raccontarla? Troppo tempo a disposizione per non averla stagionata e speziata a mio piacere e per non sospettare adesso di me stesso e dei tranelli della mente senza sbocchi che intanto perfeziona il suo tirocinio… anche per lui, il Grosso Salumaio & Piccolo Porco oggetto dei miei ciccioli sentimentali, che di persona è rimasto muto con te… te si fa per dire, te sarei io visto da me anni dopo, in questo istante che ne scrivo… e che ha preso a parlare in vece mia, il Grosso Salumaio & Piccolo Porco che mi insaccò cucendomi per bene da entrambi i capi di quel culatello imprigionato e delirante che sono diventato io, in questa tua… in questa mia mente frenetica di soliloqui a due lui ha preso a parlare, solo una volta scomparso dalla tua… dalla mia vita… e la mente certo non ammette, dopo tanto rabbioso dolore riuscito bene, il fallimento della sua neutralità quando il racconto dell’amore fallito… amore appassionato, però, seppure ancora prima di nascere venato già dall’affetto che ne spegnerà la passione ma ne allungherà la durata… quando il racconto dell’amore lessato in tutto il suo fallimento verrà finalmente a galla in tutta la sua sugna sbollente.
Se mi decido a raccontare a questo Menes qualcosa che mi sta a cuore… e anche se di mezzo c’è un cuore di troppo, il cuore non mio ma suo, suo del Grosso Salumaio & Piccolo Porco che devo pur far palpitare da qualche parte… è perché sono sicuro che dal chiuso all’aperto non ci sono più sbalzi di temperatura fra discorso a mente e discorso a parole, e perché anche Menes, come lui, porta qualcosa che mi fa allappare i denti dal disgusto: un braccialetto, largo, molle al polso, d’argento massiccio, come se l’argento fosse più virile dell’oro o delle pietre dure miste. Ma tutti gli uomini, oggi, portano un braccialetto, e molle, questa è la civiltà del braccialetto, «Che bel braccialetto!» senti ogni tanto qualcuno che esclama all’indirizzo di un altro e attacca bottone, confrontano i braccialetti come se fossero esperienze della stessa guerra in due campi militari diversi, un braccialetto è più pratico di un cane per rompere il ghiaccio e abbordare, dove va oggi un uomo senza braccialetto con cui occupare l’altra mano appena la libera dal cellulare o senza l’orologio di grande marca che del braccialetto fa le veci al polso? Da nessuna parte, e io non porto né l’uno né l’altro, Menes e lui tutti e due. Più, almeno qui all’Antistress, un orpello ciascuno che, nel Sudtirolo però, trovi di solito a fare il paio nello stesso bel tipo locale.
Intanto rimugina, questo tuo insolito spettatore tirato dentro il tuo piccolo teatro personale forse contro la sua volontà o perché, per male che gli vada il divertimento, l’ingresso è libero; sento che Menes rimugina un suo pregiudizio… Menes è prevenuto, è contro di me?… come se qualcuno gli avesse già raccontato il finale, no, peggio, l’inizio, l’antefatto di tutta la storia, ma non vedo niente, il buio in sala è totale, nessun segno.
Sì, qualche colpo di tosse, lo sfregamento del vestito sulla poltrona cambiando posizione… il ticchettio dell’Alpenstock sui sassi del cammino montano di tutto riposo, il grufolare di un cinghiale fra i cespugli del sottobosco in pendenza, e il vento che fa ruzzolare del pietrisco e il boato che nel silenzio fa la singola goccia di pioggia giù dalla foglia sull’incerata del giaccone… i soliti rumori fisiologici di assestamento del corpo, niente ancora di veramente personale come un applauso a scena aperta o un fischio di riprovazione e di sdegno o uno sbuffo di sufficienza come a dire, «Ma piantala mo’ lì, guitto che non sei altro». Guitto? Mimo. Ricreare con la mia la sua di faccia. Piatta, senza espressione, anche gli occhietti da rapace sul naso adunco erano immobili: fatta… e vista… un’espressione di fissità, fatte tutte. Non è che fissasse me, fissava tutto, se mi ci mettevo davanti mi fissava, come mi spostavo fissava ciò che prendeva il mio posto. Guardare, non guardava niente, perché mi vedesse spettava a me farmi vedere inserendomi nella sua visuale. Non era lui a individuare una preda, toccava alla preda farsi individuare. In caso contrario, sarebbe morto di fame? Ehi, sparviero che sembri incatenato al tuo picco, sono qua, sono io, sono l’agnellino… sono il lupo morente… prendimi, sei cieco o che?
A sostegno dell’impossibilità stessa di raccontare da solo una storia d’amore a due voci, di cui una mancante, a beneficio di una terza che ti ascolta per darti sollievo o per curiosità… no, che sia per malvagità non lo metti in conto, Menes Filatterio è la cordialità in persona… a sostegno della tua volontà di non strafare con sentimenti indebiti e arbitrari, visto che non sono solo i tuoi, metti ogni precauzione e vai coi piedi di piombo, non dici che quel tale Grosso Salumaio & Piccolo Porco ti ricambiava… ti amava dagli stinchi al grugno, ma il porcellino di balilla che era rimasto può mai ammettere di amare un altro porcellino come lui e per giunta rosso come me? che ne avrebbe detto il fu… mica tanto… papà fascista vero uomo tutto d’un pezzo per giunta farmacista che il Grosso Salumaio & Piccolo Porco mi tirava fuori ogni due per tre quale fulgido esempio di lungimiranza, rettitudine, perfezione inarrivabile? Con questo non dico che lui mi ricambiava solo perché lo amavo io, non ne ho mai avuto le prove… però devi almeno dire, oh Subi, che queste prove stavano facendo copione insieme e che la lettata della Prima era imminente… il sesso… se no basterebbe dire c’ho tentato, non c’è stato e morta lì, e quello che ti ascolta… questo Menes che a ogni dettaglio intimo sull’uomo assente, uno della nostra generazione ospite regolare anche lui dell’Antistress, questo Menes guarda fisso davanti a sé come se io stesso fossi diventato una lastra di nuvolaglia bassa e minacciosa ma senza consistenza, realtà, remota al di là delle fronde autunnali mentre andiamo a zonzo nel bosco… be’, se già partissi dicendogli che quanto a scopare era ormai solo questione di trovare l’occasione, questo Menes dovrebbe accontentarsi di accusare ricevuta accontentandomi e basta, hai detto tutto tu, e da buon interlocutore, senza aver bisogno di sentirsi un’anima soccorritrice, può solo aggiungere amen.
Ma se escludi che non ci siano state prove generali insieme, cioè a due, dell’amore solo perché non c’è poi stata alcuna Prima a letto… niente sesso, nemmeno come provino… e niente, a parte alcuni aborti di abbracci in cui lui restava esitante ma abbracciato, seppure come uno stoccafisso al suo sale, senza ricambiare la stretta nemmeno con il tic involontario di una falange, passivo come in un coma e tuttavia vigile come sotto un’anestesia parziale, niente è mai andato davvero in scena… non c’è stata alcuna Prima su questo letto che bisogna pur spingere fuori dalle quinte se no sembra che la commedia delle relazioni vere non vada avanti… se non escludi da parte del Grosso Salumaio & Piccolo Porco la sua lotta con se stesso sia per negare che per affermare il suo amore per te Subi, ti aspetti, a fine racconto, che il conoscente… l’amico tanto più fidato quanto più occasionale… ti aspetti che questo spettatore che ti ha ascoltato ti dica la sua opinione, ti dica cioè se… pur tenendo conto del fatto che tu possa non essere stato sincero e magari senza alcuna intenzione di essere falso… ti dica se è d’accordo con te o no sui sentimenti, larvati, dietro le quinte, mai venuti alla ribalta, sì, tutto quello che vorrebbe un avvocato del diavolo, ma che animavano non solo te ma anche questo uomo la cui parte tocca ancora a te che racconti anche per lui sentimenti che riguardano solo te, sì, ma che non hanno senso se non tieni conto che riguardavano anche lui, che non li ammetterebbe mai neppure con se stesso… Ecco, questo dettaglio, con Menes, è meglio che lo tralasci dal resoconto… dalla recita… il conflitto troppo interiore dell’eterosessuale che sta per fare il grande salto sull’altra sponda con Menes no, non attacca, finirebbe per stare poi in guardia per tutto il resto, più che sulle difensive, mentre finora mi è sembrato sguarnito, senza una protezione preventivata, un vero, ottimo amico capace di pesare le esperienze senza pregiudizi e di condensarle alla fine del tuo racconto in una frase sincera, risolutiva, quella che fa luce di tutto, e di me. E anche di lui – di lui, intendevo dire.
Se mi ha amato, e se ora si macera nel rimpianto, ecco.
Menes, sì, lui può saperlo, lui può dirmelo, spassionatamente, lo sento, sono entrambi della stessa pasta di maschio, Menes può dirmi tutto su quello sfilatino suo gemello. Lui può fare un’eccezione verso il mio marasma e non giocare d’astuzia, ma neppure io devo esagerare, suggerirgli già la risposta che desidero, anche se più di questa desidererei la verità. Devo mordermi la lingua, far intervenire l’eloquenza di chi si interrompe a arte. Pausa, Subi, pausa.
Li hai… li ho… interpretati bene, sdoppiandoti per dargli voce, quei sentimenti del Grosso Salumaio & Piccolo Porco per te?
Insomma: sono credibili perché sei stato credibile tu a fare la parte che compete a lui o la parte, davvero incredibile, che ne hai fatto, a forza di mimare una tua fantasia psicotica e il tuo bisogno di essere stato amato almeno di nascosto da te, ’sti sentimenti inconoscibili li ha resi credibili come se fossero stati davvero i suoi? Sono stati i suoi, infine, anche se glieli hai rappresentati tu dentro i tuoi per voce tua o no, erano altri, non erano niente, e allora si possono chiamare ancora sentimenti? «Pulsioni» basterebbe?
E poi: d’amore?
Senza un vero abbraccio mai, mai uno con tutte e quattro le braccia come fossero le fronde di un unico tronco?
Ti ha amato anche lui sì o no?
Lui c’era perché c’era o perché lo hai evocato bene tu? E uno può esserci stato o non esserci stato solo perché tu adesso sei bravo o no, convincente o no a evocarlo, il Grosso Salumaio & Piccolo Porco? Fettina per fettina…
Ti prego, Menes, aiutami…
E se aiutare qualcuno significasse...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. La lezione, gli insegnamenti che
  5. Nota dello Scrittore
  6. Bibliografia