La strada del sole
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La strada del sole

  1. 380 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La strada del sole

Informazioni su questo libro

IN APPENDICE, I TESTI DI GIANLUCA MENEGOZZO, RICCARDO ROSSI E MATTEO REGHELIN. Nel 1997 nascono i Sun Eats Hours, la prima band di Francesco Lorenzi. Sono quattro giovanissimi vicentini, alle prese con un grande sogno: fare della musica la propria professione. Dopo qualche anno, hanno già all'attivo quattro dischi in inglese, più di trecento concerti tra Europa e Giappone, migliaia di fan del loro punk melodico e il premio come Miglior punk rock band italiana nel mondo. Enormi sono le soddisfazioni sul palco, ma la loro vita si smarrisce dietro a vari eccessi tra cui droga, alcol e sesso. Come racconta in questo libro sincero ed emozionante, Francesco entra allora in una profonda crisi: sente che così non può più andare avanti, che il legame tra i componenti della band si sta perdendo, che manca una vera ispirazione. Eppure, proprio quello è il momento della svolta: attraverso una serie di "Dioincidenze" Francesco incontra Gesù e rinasce, come uomo e come artista. Grazie a questa imprevedibile scintilla, comincia a scrivere canzoni in italiano e, dopo un percorso sofferto, riesce a recuperare alla Vita i suoi amici allontanandoli dalle loro dipendenze, riportando al centro il valore dell'amicizia. È così che poi, insieme, decidono di cambiare il nome della band in The Sun, perché ora si sentono guidati da un Sole che illumina il cuore. Le note musicali «ci permettono di ascendere al cielo, verso l'eterno e l'infinito, o almeno» scrive il cardinal Ravasi nella Prefazione, «di sentire una voce di speranza. Così è accaduto a Francesco Lorenzi e la sua autobiografia così appassionata e appassionante lo conferma. Ed è questa esperienza lungo la "strada del Sole" che egli augura a tutti i ragazzi che camminano per le nostre città con le cuffie colme di musica».

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L’esperienza del Bene e del Male

La parola io questo dolce monosillabo innocente è fatale che diventi dilagante nella logica del mondo occidentale forse è l’ultimo peccato originale. Io.
Giorgio Gaber
Vi siete mai chiesti che cosa sia il Bene e che cosa sia il Male?
Da bambini è facile dare una risposta. È Male tutto quello che i genitori non approvano, anche quando in sé è Bene, e viceversa. Capita che un genitore, infatti, a volte chieda a un bambino di mascherare e di mentire. Sono le cosiddette bugie buone, che però spesso sono soltanto in parte tali. Il bambino intuisce che mentire è Male ma, se non ubbidisce, è anche consapevole di deludere la mamma o il papà, o di subire un rimprovero. Poi si cresce, e cosa succede?
Da adolescenti rispondere è più complesso, perché identifichiamo il Male in ciò che ci fa andare storte le cose, e il Bene in ciò che ci dà piacere… anche quando in realtà sarebbe Male.
Quindi arriviamo a essere adulti con una percezione del Male e del Bene piuttosto confusa, in taluni addirittura bizzarra, in molti altri ballerina. Pensiamo alle fantasiose scuse con le quali giustifichiamo i ritardi al lavoro, oppure alle telefonate chiuse anzitempo simulando un’assenza di campo, o a quando, fermati da un vigile, dichiariamo di avere un parente all’ospedale pur di scamparla. Niente di male, sono piccole bugie. Ma le cose piccole aprono la strada a quelle grandi.
Nel mio caso individuare il confine tra il Bene e il Male e averne percezione consapevole è stato un cammino lungo, sofferto e per nulla scontato, tuttora non esente da difficoltà e cadute. Eppure proprio questo percorso mi ha permesso di fare esperienza della reale libertà personale presente in ognuno di noi, cioè dell’autentica capacità di scegliere.
Tutti aspiriamo alla felicità, ma come possiamo coglierla, interpretarla e incarnarla se non siamo in grado di distinguere il Bene dal Male?
Nel nostro intimo sappiamo che l’andare in profondità richiede fatica, perché c’è il rischio di trovarsi faccia a faccia proprio con quelle verità di cui non vorremmo scorgere nemmeno l’ombra. Ci impegniamo così tanto a nasconderle a noi stessi con arguzie di ogni genere che, quando cercano di affiorare, subito ci distraiamo dall’indagine interiore per qualcosa che ci pare più urgente. Molto del mondo che ci circonda, inoltre, è architettato per rendere la ricerca del vero, nello spazio della nostra coscienza, un esercizio fuori moda.
Distinguere il Bene e il Male, quindi, non è così semplice, soprattutto per chi è bombardato da una miriade di informazioni confuse e contraddittorie. Cioè per la stragrande maggioranza delle persone.
Nella mia esperienza, tra il 1997 e il 2007, ho vissuto in un ambiente che certo non brillava per la valorizzazione delle virtù dell’animo umano. Quando mettemmo in piedi la band, i Sun Eats Hours, avevo appena compiuto quindici anni; Riccardo Rossi, “Ricky Trash”, batterista, ne aveva sedici, come Marco Auriemma, bassista fino al 2002; mentre Andrea “The Huge” Barone, showman e corista fino al 2005, era il più giovane e ne aveva tredici.
Grazie all’amicizia che legava le nostre rispettive famiglie, io, Marco e Ricky ci conoscevamo da quando ancora non sapevamo parlare. Eravamo cresciuti insieme e la passione per la musica era solamente una delle tante cose che ci accomunavano. Nel 1995 avevo ricevuto una audiocassetta con l’album Smash degli Offspring e me n’ero innamorato; da quel momento iniziai a seguire e amare la scena punk californiana insieme a Marco e Ricky. Quando iniziammo a suonare in gruppo nessuno di noi studiava davvero musica, perché volevamo semplicemente divertirci e provare a riproporre le canzoni di quelle band che ci facevano sognare.
Eppure, nonostante la mia giovane età, dopo pochi mesi sentii chiaramente che la musica sarebbe stata la mia vita, la mia strada, la mia professione. Era una folle certezza, basata su una totale inesperienza.
Grazie all’energia di quella intuizione, dai quindici ai venticinque anni ho vissuto un percorso musicale ricchissimo di eventi. In quel periodo la band ha dapprima autoprodotto e poi, grazie a varie etichette discografiche, pubblicato e distribuito sul mercato europeo, giapponese e brasiliano quattro album in inglese, una collection, un DVD live e uno split album realizzato con una nota band giapponese. Ci siamo esibiti su oltre trecento palchi tra Europa e Giappone, supportando anche numerosi show di altri gruppi, come per esempio The Cure, The Offspring, Misfits, The Vandals, Afi, Ska-P, Nofx, Pennywise, Sick of it all, Ok Go! e altri grandi del panorama rock internazionale.
Magazine quali «Rolling Stone», «Kerrang!», «Metal Hammer», «Rock Sound», «Rock Zone», «Hard!», «Rockin’on Japan», «Crossbeat Jp» e «Tribe» hanno dedicato al nostro progetto interviste, articoli e lusinghevoli commenti. Nel circuito delle radio locali siamo stati intervistati in centinaia di occasioni e sono apparsi sul web tanti articoli su di noi. I nostri album sono stati scaricati decine di migliaia di volte da giovani di tutti i continenti attraverso programmi illegali peer-to-peer, ben più delle circa venticinquemila copie vendute dal nostro catalogo.
A diciotto anni mi sono trovato a condividere il palco con gli Offspring, la band che più di tutte mi aveva ispirato, e ancora, quando ci penso, mi emoziono. Ma fin da adolescente avevo avuto la soddisfazione di suonare con i miei idoli, artisti di cui avevo il poster in camera.
Internet era ancora poco diffuso, YouTube non esisteva, come Facebook; il nostro primo videoclip del singolo Tour all over era trasmesso dall’unico programma rock di MTV (Superock): così capitava che lo si vedesse tra un video dei Nirvana e uno dei Pearl Jam.
Io e i miei compagni di viaggio costituivamo un’eccezione in quel mondo musicale: provenivamo da Thiene, una cittadina in provincia di Vicenza, eravamo distanti dai centri musicalmente più attivi ed eravamo privi di contatti e conoscenze “giuste”. Tuttavia, l’amicizia che ci legava, il sacrificio, il talento, la passione, una genuina inconsapevolezza e l’amore per la musica ci spinsero oltre i nostri limiti. Le competenze tecnico-musicali, i contenuti dei testi, spesso ricercati e originali rispetto alla media, e la capacità di trasmettere energia positiva ci distinguevano dalla miriade di punk band in giro a quel tempo.
Nel 2004, al Meeting delle Etichette Indipendenti (MEI) ricevemmo il premio come Migliore punk rock band italiana nel mondo. Nel frattempo, Matteo “Lemma” Reghelin aveva sostituito Marco al basso e si era aggiunto al gruppo Gianluca “Boston” Menegozzo come chitarrista. Inoltre, mio fratello Michele, di sette anni più grande di me, si offrì di farci da manager in occasione di alcuni concerti importanti e, in generale, ci supportava con la sua presenza e i suoi preziosi consigli.
Il nostro album The Last Ones, pubblicato poi in versione europea, giapponese e brasiliana nell’autunno del 2005, è tuttora considerato dai cultori del punk hardcore melodico uno dei migliori dischi non statunitensi del decennio scorso (il portale punkinternational.com lo definì uno dei cinque album punk più belli di quell’anno). Voi direte: questo è bene. In effetti, si tratta di una storia avvincente.
Però, come la mettiamo se vi dico che quegli anni sono stati caratterizzati da eccessi di ogni tipo, falsità e compromessi?
Le ubriacature moleste, le promiscuità e le ambiguità sessuali, le camere di hotel sfasciate, i camerini imbrattati, le relazioni falsate, le droghe utilizzate, le bugie tra noi, i compromessi accettati per ottenere favori professionali, le liti, i tradimenti, le umiliazioni taciute per tornaconto personale… Di questo cosa ve ne pare?
È naturale pensare: questo è male.
In realtà, non è così semplice, poiché le esperienze del Male e del Bene si intrecciavano costantemente.
Basti pensare che i nostri colleghi musicisti, la maggioranza dei quali dediti a stravizi, e gli addetti ai lavori, abituati al contesto, ci consideravano addirittura “i bravi ragazzi vicentini”, definendoci una band particolarmente “pulita”. Una nomea di giovani professionisti stacanovisti, infatti, ci precedeva: salivamo sul palco sempre sobri e affrontavamo i nostri impegni musicali con la massima dedizione, salvo poi lasciarci andare a concerto concluso, talvolta senza alcun freno. Questo, però, per chi ci vedeva dall’interno di quel mondo era solo un piccolo dettaglio, un particolare trascurabile che non faceva certo scalpore.
Infatti, se a fine evento avevamo più rapporti non protetti con diverse ragazze, se c’era chi si sbronzava sistematicamente fino a perdere conoscenza, se qualcuno nemmeno ventenne testava l’effetto di varie pasticche di ecstasy, oppure se per gioco uno di noi lanciava un televisore fuori da una finestra, tutto ciò rientrava nella norma o quasi. Erano l’amicizia che ci legava e la nostra professionalità a rimanere più impresse nella mente di chi frequentava quel mondo così variopinto.
Il contesto, perciò, determinava le linee guida di cosa era da considerare ordinario.
Poteva accadere che delle ragazze ci criticassero per il modo in cui dipingevamo la donna nei nostri spettacoli (nelle tournée del 2002, 2003 e 2004, infatti, era nostra consuetudine tenere sul palco una bambola gonfiabile e dei vibratori che esibivamo in modo goliardico durante i brani con cui chiudevamo simpaticamente i concerti). Però, erano molte di più le ragazze che ci adoravano e ci desideravano esattamente per come eravamo. E la loro stessa partecipazione era insolita, essendo un ambiente musicale a quel tempo frequentato soprattutto da un pubblico maschile.
Voglio dire che tutto attorno a noi risultava essere relativo e, come spesso accade, ogni giudizio dipendeva dagli occhi di chi guardava, dall’esperienza e dalla personale idea di Bene e di Male.
Nella confusione generale alla quale eravamo sottoposti, riuscire a discernere era pressoché impossibile, raro quanto una nevicata in un deserto. Tuttavia, un discorso semplicistico e qualunquistico non sarebbe stato sufficiente per aiutarci a comprendere.
Fin da bambino, e poi crescendo, ho potuto constatare, attraverso migliaia di incontri, centinaia di viaggi e relazioni, che l’anima ha già in sé la più grande delle conoscenze: sente e sa ciò che è Bene. C’è chi la chiama “coscienza”, chi “voce di Dio”, chi “Grillo parlante”, chi semplicemente la definisce il risultato di una buona educazione. Chiamatela come volete, ciò che conta è che c’è.
Da sola, però, non basta. Nella vita bisogna fare delle scelte. Ed è qui che si gioca la più avvincente delle battaglie.
Nel periodo che ho appena descritto, io percepivo dov’era il Bene. Poi, però, metterlo in pratica nella vita di ogni giorno era assai complesso. A più riprese, tra il 2002 e il 2007, mi ero accorto che determinati aspetti della mia vita non andavano; si trattava, tuttavia, di sprazzi di consapevolezza che limitavo ai rari momenti di solitudine. Avevo provato a modificare alcuni atteggiamenti, ma ciclicamente li riproponevo. Mi rialzavo, ma poi cadevo e, insoddisfatto, anziché tirarmi su le maniche e risollevarmi, me ne rimanevo laggiù, forse per la folta compagnia, forse per la finta allegria.
Erano prese di coscienza a tempo determinato che avvenivano in seguito a un malessere fisico o grazie a momenti di introspezione. Talvolta capitava che, di fronte a certe situazioni che in parte contribuivo a creare, mi sentissi mancare l’aria, come se stessi annegando. Appena mi trovavo a fare i conti con me stesso, magari in una camera d’albergo dopo un lungo aftershow, avvertivo un senso di nausea, di oppressione. La mia vita mi appariva come una gabbia nella quale ero rinchiuso e da dove osservavo un mondo che non potevo cambiare.
Intendiamoci, se qualcuno sta pensando che si trattasse dell’effetto di qualche droga è fuori strada. Non ho mai avuto simpatia per le droghe. Non mi sono mai fatto di eroina, né ho mai assunto pasticche, funghetti o sostanze similari, nemmeno per provare. Lo spettro degli stati emotivi che una persona può sperimentare è talmente ampio e variegato che non vi è alcun bisogno di spinte esterne.
Negli istanti in cui quella tristezza si radicava e arrivava al culmine, per qualche ragione, però, riuscivo a “morire” e “rinascere”. Osservandomi dall’esterno, fuori dal mio ruolo, ritrovavo me stesso e potevo di nuovo risentire “la voce dentro”. Si trattava, tuttavia, di un esercizio doloroso, perché questa lucidità acquisita evidenziava ai miei occhi verità che preferivo non vedere.
Mi rendevo conto che una parte delle esperienze vissute dalla band si era realizzata attraverso una libertà fasulla, senza un reale spazio per l’autentica espressione della propria individualità e del puro talento. Mi ritrovavo a comprendere che operavo all’interno di un ambiente musicale che si autoproclamava il mondo della creatività, della libertà e della condivisione ma che, nei fatti, era solo una sterile facciata poggiata su molte fragilità e mancanze d’amore.
Attraverso quest’amarissima osservazione, cercavo allora di raddrizzare la mia vita, ma ben presto ricadevo.
Nel giugno 2003, in seguito a un grave incidente automobilistico dal quale uscii illeso, la voce interiore che gridava ascolto alla fine lo trovò. In quell’occasione iniziai a comprendere che la vita dà spesso dei segnali e che è tutt’altro che silenziosa: ha semplicemente un suo modo di comunicare. Con me aveva un preciso alfabeto e una chiara grammatica: dapprima mi parlava con soffici petali lungo il mio percorso; poi con dolci coincidenze; successivamente con esortazioni più severe, ma sempre e solo con l’unico fine di svegliarmi dal torpore, per il mio bene.
Il 26 giugno 2003, la sera dell’incidente, ero insieme a Ricky Trash e Ilich Rausa, nostro responsabile discografico del tempo e oggi general manager dell’apprezzata etichetta discografica indipendente Rude Records, tra le persone più straordinarie che abbia mai incontrato, fraterno amico e compagno di mille avventure. Quella notte eravamo stati in uno dei night che frequentavamo quando, durante la settimana, non sapevamo come concludere le serate.
Se però state pensando a lussuriose esperienze nei privé del club mi dolgo nel dover tirare bruscamente il freno alle vostre fantasie: non avevamo bisogno di fare ciò in un night, pagando.
I miei amici avevano semplicemente riso, scherzato e alzato il gomito, mentre io avevo chiacchierato con le ragazze del locale (il tutto senza disdegnare gli spettacolini offerti da alcune di loro alla clientela). Poiché dovevo guidare, mi ero controllato e avevo bevuto solo un cocktail. Sapevo bene che la mia capacità di reggere l’alcol era simile a quella di un quindicenne astemio.
In quel periodo, avevo appena vinto una battaglia con me stesso per uscire dalla dipendenza di una donna molto attraente, di undici anni più grande, la quale, fra l’altro, aveva un ruolo importante nella struttura discografica che pubblicava i nostri dischi. Per chiudere quel rapporto, che mi appagava fisicamente ma che mi lacerava sotto ogni altro aspetto, avevo dovuto fare appello a tutta la mia buona volontà. Dopo estenuanti dissidi, ma ascoltando profondamente la mia voce interiore, mi ero ripromesso di non cedere mai più a falsità, ad ambiguità, al sesso senza amore.
Poi, però, quel 26 giugno, quando mi misi alla guida per accompagnare i miei amici e tornare a casa, iniziai a sentirmi di nuovo pervadere da quella voglia di piacere che arrivava a dirigere le mie scelte; così, mentre guidavo, valutavo la possibilità di far visita a una mia fiamma molto prestante. Mentre ero impegnato in queste nobili considerazioni, pur essendo sobrio, attento alla guida e viaggiando ent...

Indice dei contenuti

  1. La strada del Sole
  2. Copyright
  3. Prefazione
  4. 1. L’esperienza del Bene e del Male
  5. 2. La crisi
  6. 3. Mio padre, il Mago
  7. 4. Verso la Casa della creatività
  8. 5. L’incontro con Gesù
  9. 6. Porte chiuse, porte aperte
  10. 7. Adorazione, liberazione
  11. 8. Cambiare
  12. 9. Oggi sono solo
  13. 10. Il manager
  14. 11. Estate al verde
  15. 12. San Salvador
  16. 13. Non ho paura
  17. 14. Strada in salita
  18. 15. L’alba che vuoi
  19. 16. Le Dioincidenze
  20. 17. Il contratto con Sony Music
  21. 18. La scelta di Ricky
  22. 19. Madre. Maria. Medjugorje
  23. 20. Spiriti del Sole
  24. 21. L’invincibile preghiera
  25. 22. Betlemme
  26. 23. Professione o vocazione?
  27. 24. Luce
  28. 25. 21.11.12
  29. 26. Papa Benedetto XVI e papa Francesco
  30. 27. La Leggenda
  31. Postfazione
  32. Ringraziamenti
  33. Appendice di Gianluca Boston Menegozzo
  34. Appendice di Matteo Lemma Reghelin
  35. Appendice di Riccardo Trash Rossi