La porta si aprì scorrendo e questa volta Anax uscì dalla stanza di umore migliore. Raccontare la storia agli Esaminatori non era diverso dal raccontarla a Pericles in una delle loro infinite lezioni di prova.
Questa volta non c’erano estranei nella sala d’attesa e Anax rimase sola coi suoi pensieri, che si rivolsero com’era naturale al suo tutor, tanto importante per lei, e al loro primo incontro.
Anax aveva un posto prediletto, un picco sopra la città. Ci andava spesso dopo le lezioni. Di solito per conto suo. Non era un tipo solitario; era solo che i suoi amici non camminavano volentieri. “Vi state perdendo un tramonto eccezionale” scriveva loro con un messaggino, ma la risposta era sempre la stessa: “Allora scaricalo.” L’insulto preferito dell’epoca.
Fu durante quegli ultimi anni di scuola che Anax cominciò a capire di non essere come gli altri. Non comprendeva la studiata negligenza che comparve un giorno senza preavviso e si diffuse tra i suoi compagni come un’epidemia. Fu come se un intero stadio di sviluppo l’avesse ignorata.
Cercò di spiegarlo alla sua migliore amica, Thales. “Credo che in me ci sia qualcosa di sbagliato.”
“In che senso?”
“Io, be’, io non credo di essere come voi. Quello che impariamo continua a piacermi. Non capisco le cose di cui parlate. I pettegolezzi. A me piaceva come eravamo. Mi mancano i giochi.”
“È solo che ci metti un po’ di più a crescere” le disse Thales, con l’aria di essere certa che sarebbe successo presto. Anax non ne era così sicura.
Così quell’estate, ogni sera dopo le lezioni, invece di correre al suo appartamento e connettersi agli scambi di gruppo – che per lei avevano tutta l’attrattiva di una tempesta elettrica di passaggio – puntava verso le colline. Non era solo per i tramonti, anche se via via che le giornate si allungavano e la foschia a nord si propagava diventavano sempre più spettacolari. Era il vento che arrivava dal mare. La sensazione di essere in piedi sull’orlo del mondo. Era il panorama. Dalle colline si vedeva l’acqua che scintillava argentea, e scuri contro di essa i contorni rugginosi degli enormi piloni che un tempo avevano sostenuto la Grande Barriera Marina. A ovest, le rovine della Città Vecchia, coperte di erbacce e ridotte in macerie, reclamate dalla terra. Anche quella era una bella vista, pensava Anax, pur non avendo mai sentito nessun altro descriverla in quei termini.
Nell’ultimo anno di studi i candidati migliori venivano incoraggiati a specializzarsi. Anax era una brava studentessa, ma non una delle migliori della sua classe. L’argomento che aveva scelto, La Leggenda di Adam, non era certo originale. Era una storia affrontata da ogni scolaro delle elementari. Ma gli altri non se ne sentivano attratti come lei. Quella, lo sapeva, era la vera ragione per cui la collina la chiamava. La vista sull’oceano, la vista che lui aveva contemplato dalla sua torre di guardia. La città morta, il luogo in cui lui tornava ogni sera, per mangiare, per discutere, per sedurre. I resti della Grande Barriera Marina, la barriera di Adam. Ogni giorno lei studiava i dettagli della sua vita a scuola, e poi saliva sulla cima della collina e pensava ancora un po’ a lui.
Anax non aveva mai incontrato nessuno lassù. Il sentiero era stretto e appena segnato. Identificò l’estraneo in lontananza, e s’innervosì. Poteva lampeggiare aiuto, se ne avesse avuto bisogno, ma ci avrebbero messo troppo tempo ad arrivare. Erano tempi tranquilli, ma circolavano ancora certe storie, e la cautela era incoraggiata.
Lui la identificò a sua volta, e in apparenza soddisfatto rivolse la sua attenzione al tramonto. Fu così che Anax vide per la prima volta Pericles, rivolto al vento che gli scompigliava la lunga chioma aggrovigliata, illuminato dalla strana luce verde di un cielo che muore.
Lei parlò per prima. “Mi chiamo Anax.”
“È quello che ha detto lo scan.”
“Volevo solo essere gentile. E tu sei Pericles.”
“Giusto.”
“Che cosa ci fai quassù, Pericles?”
“Guardo il sole che tramonta.”
“Non ti ho mai visto qui.”
“Nemmeno io ho visto te.”
“Io ci vengo tutti i giorni.”
“Io no. Immagino che sia per questo che non ci siamo incontrati.”
Era tipico delle loro conversazioni. Parlare per lui era un gioco, e diventava una dipendenza, se lo assecondavi. Pericles non parlava delle cose stupide di cui parlavano i suoi amici. Sceglieva le parole con cura, per il loro suono o per la forma delle idee in cui si richiudevano. O almeno era così che lo spiegava.
Era più grande di lei, di cinque anni, e attraente. Insieme guardarono la terra dare la schiena al sole, e lui scese con lei verso la Città Nuova. Quando arrivarono in fondo al sentiero, Anax capì che doveva rivederlo. Fu un atto insolitamente audace per lei, ma non riuscì a trattenersi. Sentì le parole sfuggirle e provò un fiotto di sollievo quando il sorriso di lui si fece più largo.
“Tornerai qui domani?”
“Se torni tu” ribatté lui.
“Ti ho detto che ci vengo tutti i giorni.”
“Allora ci vediamo.”
Anax non scrisse un messaggino alle amiche per annunciare l’incontro. In effetti non ne parlò con nessuno. La sensazione era troppo nuova per lei, troppo strana, e troppo fragile. Se l’avesse lasciata andare nel mondo, si sarebbe certo dissipata.
Il giorno dopo lui era là, e anche il giorno dopo ancora. Anax gli raccontò dei suoi studi, di Adam, di tutti gli elementi del territorio che si vedevano da lì ed erano legati a lui. Fu allora che lui le disse che faceva il tutor per L’Accademia. Lei si sentì sciocca all’istante, e si scusò per averlo annoiato parlando di cose che lui conosceva di certo meglio. Lui fu gentile e le disse che le sue cognizioni e l’entusiasmo erano notevoli. Lei non gli credette, sapeva che era solo gentilezza, ma si sentì comunque invadere dal calore. Lui le disse che doveva cercare di entrare all’Accademia. Disse che era disposto a diventare il suo tutor.
Anax pensò che fosse uno scherzo. Solo i migliori dei migliori erano presi in considerazione per L’Accademia, e di coloro che completavano i tre anni di addestramento meno dell’uno per cento veniva ammesso. Non era quel genere di studente, lei. Non apparteneva a quella categoria.
“Non esserne così sicura” le disse Pericles.
“Anche se fossi abbastanza brava, e non lo sono, non potrei mai permettermi la retta.”
“Ti troverei uno sponsor.”
“No, lascia perdere. Non scherzare. Ti stai prendendo gioco di me, vero? È crudele. Non dovresti essere così crudele.”
“No” le disse lui, con la bella voce tranquilla che avrebbe riempito i tre anni seguenti della sua vita. “Non sto scherzando. Non lo farei mai.”
Tenne fede alla sua parola. Le diede fascicoli da studiare, e orchestrò una valutazione preliminare. Anax sorprese se stessa, i suoi insegnanti e i suoi compagni piazzandosi nel percentile più alto. Da lì in poi trovare uno sponsor fu una cosa semplice.
Fu l’ultima cosa semplice per lei. La sfida di prepararsi per l’esame fu più ardua di quanto Anax potesse mai immaginare, ma lei e Pericles la affrontarono insieme; e quando era troppo, si arrampicavano in cima alla collina e insieme stavano in silenzio, a contemplare il passato.
Ci andò anche allora, dentro la testa. Farlo la rilassò. L’Accademia era l’istituzione più elitaria del paese. I membri dell’Accademia consigliavano i leader. Solo loro conducevano gli esperimenti, ampliavano la conoscenza. Costruivano le linee-guida per il futuro.
Pericles aveva continuato a ripeterle che in lei c’era più di quanto lei stessa non capisse, e ora, con gli esami finalmente in atto, poteva smettere di dubitarne. Conosceva benissimo quella storia. Non poteva immaginare di conoscerla meglio. Non l’avrebbe deluso.
Anax aprì gli occhi al rumore della porta che si apriva. Tornò nella sua posizione davanti agli Esaminatori.
Esaminatore: Nella prossima parte dell’esame ovviamente dovremo discutere nel dettaglio il periodo che Adam trascorse con Art. Hai preparato un ologramma?
Anaximander: Sì. Sono tutti e due caricati e pronti per la proiezione.
I candidati dovevano preparare due ologrammi che illustrassero un aspetto della Vita studiata. Pericles aveva consigliato la conversazione tra Adam e Joseph nella torre di guardia per la prima sezione, ma Anax aveva preferito concentrarsi sulle conversazioni tra Art e Adam.
Esaminatore: E che cosa hai usato come fonte nello studio di questo periodo?
Anaximander: Ho usato le trascrizioni fornite dall’Assemblea Ufficiale, naturalmente, ma ho anche studiato tutti i commentari che sono riuscita a trovare. Ho tenuto una corrispondenza con due autori delle interpretazioni più recenti, ma tutto questo si trova nella documentazione della mia candidatura preliminare, quindi forse intendete qualcos’altro.
Prima di costruire l’ologramma ho discusso a lungo le trascrizioni con il mio tutor Pericles. Abbiamo ipotizzato che cosa può essere accaduto durante le molte sessioni non registrate. Abbiamo applicato il metodo socratico alle nostre stesse interpretazioni, sfidandoci e traendo le nostre conclusioni. Ho scoperto ciò che ho scoperto innanzitutto dubitandone. È questo che intendete?
Esaminatore: Qual è stata secondo te la difficoltà maggiore che hai affrontato nel preparare l’ologramma?
Anaximander: Credo che sia il problema che chiunque prepari questo genere di presentazione deve affrontare. La trascrizione sulla quale stavo lavorando era solo una serie di parole su una pagina. Non mi diceva niente di come i due protagonisti si studiavano mentre parlavano; delle intonazioni che usavano, dell’accento e dei tempi; dell’atteggiamento.
Esaminatore: E come hai fatto a superare questo problema di interpretazione?
Anaximander: Ho cercato di capire le intenzioni dei protagonisti. Dall’intenzione, credo, discende tutto il resto.
Esaminatore: Le intenzioni di entrambi i protagonisti?
Anaximander: Sì, di entrambi i protagonisti.
Esaminatore: Avremo altre domande da porti una volta visto l’ologramma. Facciamolo partire.
Anax vide uomo e macchina prendere forma davanti a lei; le immagini che aveva così penosamente portato in vita durante ore interminabili di ritocchi e rifiniture.
Pericles non aveva potuto stare con lei in quel periodo: le regole lo proibivano. Forse ciò spiegava la passione che lei aveva riversato nello scolpire Adam. Aveva lavorato a partire da immagini su file, ma ora, guardando l’uomo di fronte a lei, Anax si sentì a disagio per la libertà che si era presa.
A diciotto anni, i capelli biondi di Adam avevano cominciato a scurirsi, ma lei aveva restituito loro la tinta chiara del passato. I suoi occhi, scuri nelle fotografie, qui erano resi di un azzurro penetrante, intonato alla divisa della prigione. Anax non aveva mai visto un ologramma col livello di dettaglio che il proiettore della sala esami riusciva a ottenere. Fece un passo indietro, stordita dalla sua nitidezza. Era come se fossero entrambi davanti a lei: uomo e macchina.
Adam teneva le mani intrecciate dietro la schiena. Era seduto, le ginocchia ritratte verso il corpo, e guardava dall’altra parte rispetto ad Art, rifiutando la presenza dell’androide.
Con Art, Anax si era presa meno libertà. Possedeva un solido corpo di metallo che arrivava appena all’altezza delle ginocchia di Adam, montato su una struttura di tripli binari retrattili, del genere sviluppato inizialmente nell’industria dei rifiuti. Le due lunghe braccia robuste, idrauliche, terminavano in mani dotate di tre dita: un segnale dell’amore per i fumetti preclassici del Filosofo William. Il tocco finale era la giocosa variazione sul tema della testa. Ad Art era stato attribuito il muso di un orangutan, con gli occhioni e la bocca all’ingiù; lo sguardo era irrequieto, il ghigno dentato perennemente beffardo: tutto questo incorniciato da un alone di peli arancioni.
Le due sagome era...