SAS vede russo (Segretissimo SAS)
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SAS vede russo (Segretissimo SAS)

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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SAS vede russo (Segretissimo SAS)

Informazioni su questo libro

Il fisico americano Lee Updike è una mina vagante. Dopo aver abbandonato per scrupoli etici il programma di difesa satellitare a cui stava lavorando, si è rifugiato nella capitale svedese, dove è in contatto con ambienti pacifisti. La sua mente è un concentrato di segreti militari e la CIA teme che venga convinto a oltrepassare la Cortina di Ferro portandoli in dono al blocco sovietico. Purtroppo allo scienziato manca il fiuto professionale indispensabile per sentire odore di trappola quando la sua ragazza muore in un incidente sospetto e una fascinosa giornalista ne prende subito il posto. Agli analisti di Langley non sfugge che la donna è un'agente del KGB sotto copertura, e se due più due fa ancora quattro il trasferimento di Updike all'Est, volontario o forzato, è solo questione di tempo. Affidare a Malko Linge la missione di ricondurlo all'ovile, unica alternativa all'opzione estrema di eliminarlo, è la scelta perfetta. Il Principe delle Spie ha un radar speciale per captare i nemici in agguato. Soprattutto quelli con falce e martello.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
eBook ISBN
9788835716624

1

Lee Edward Updike aprì gli occhi, svegliato dalla luce che filtrava attraverso le tende. Le finestre del Grand Hôtel, l’albergo più lussuoso di Stoccolma, non avevano persiane né tapparelle. Nella camera il caldo era tale che Lee Updike, durante la notte, aveva gettato via il grosso piumone che in Svezia sostituisce le coperte. Accanto a lui, Leslie dormiva sdraiata sul ventre, completamente nuda, col viso nascosto dalla massa di capelli biondi. L’americano si chinò su di lei e le passò lentamente l’indice lungo la colonna vertebrale.
La ragazza si stiracchiò, sospirò, fremette e parve offrirsi, ancora mezza assonnata.
Quella vista infiammò Lee Updike, che pure non era in fase di astinenza. Da quando aveva lasciato l’atmosfera pesante del laboratorio di Albuquerque, nel New Mexico, aveva la sensazione di essere in viaggio di nozze.
Si alzò ed entrò nella stanza da bagno: il pavimento di marmo era riscaldato da resistenze elettriche. Lo specchio rifletté l’immagine del suo corpo ossuto, dalle spalle larghe, col pene già gonfio bene in vista tra le cosce muscolose. I radi capelli castani erano in disordine e Lee li riassettò con un colpo di spazzola. Non si poteva dire che i suoi lineamenti cavallini fossero belli, ma gli occhi azzurri dall’espressione un po’ stupita avevano un fascino indiscutibile. Una bocca grande e ben fatta dava un tocco di sensualità al viso piuttosto severo.
Ravviati i capelli, Lee Updike attraversò la camera e tirò le tende. Il tempo orribile degli ultimi giorni aveva ceduto il posto a un bel cielo azzurro e luminoso. Dall’altra parte dello Strömmen, il braccio di mare che separa Stoccolma da Gamla Stan, la città vecchia, il castello reale era quasi allegro con i suoi muri color ocra slavato e la sua architettura d’ispirazione italiana. Di fronte al Grand Hôtel, numerosi vaporetti bianchi, che nelle belle giornate portavano i turisti nella miriade di isolette dell’arcipelago sparse nel Baltico a est di Stoccolma, si dondolavano lungo i moli. Di lì a poco sarebbe venuta la neve. Poi sarebbe stata la volta del freddo e della lunga notte. Nelle annate buone, il Baltico gelava fino alla costa estone, distante più di duecento chilometri.
Lee guardò il sole: alle nove e mezzo del mattino era ancora basso sull’orizzonte. L’americano si voltò. Leslie, ancora assonnata, lo guardava.
— Cosa succede? — borbottò la ragazza.
Lee Updike si riavvicinò al letto, senza rispondere. Leslie gli voltava la schiena e lui le si sdraiò accanto, stringendosi a lei.
— Niente — mormorò.
La ragazza richiuse gli occhi. Appiccicato a lei, Lee sentiva crescere il desiderio. Si strofinò lentamente contro il corpo caldo di Leslie, desiderandola sempre più. Il lusso che lo circondava e il denaro di cui disponeva avevano su di lui un effetto afrodisiaco. Non sapeva ancora quanto sarebbe durata quella “vacanza”, ma intendeva approfittarne al massimo.
Eccitato fino allo spasimo, Lee penetrò Leslie da dietro con un colpo di reni così violento che i due corpi parvero saldarsi tra loro. Leslie sospirò di piacere, fremette e fece finta di continuare a dormire. Le piaceva farsi prendere in quel modo, ancora mezzo addormentata. Quando era ad Albuquerque, Lee faceva l’amore con lei così, ogni mattina, prima di andare al laboratorio di fisica. Lee Updike lavorava al progetto Starwar, in un’atmosfera da campo di concentramento. Non era libero nemmeno fuori, dato che l’FBI lo sottoponeva a interrogatori regolari, aprendogli a volte perfino la posta. Ma la cosa che più lo ossessionava era lo sguardo folle di certi generali in visita, quando spiegava loro i progressi delle sue ricerche. Gli sembrava in quei casi di avere di fronte il dottor Stranamore…
Leslie era convinta che avesse dato le dimissioni perché loro due potessero starsene pomeriggi interi sdraiati su una coperta, in pieno deserto, tra le rocce, a fare l’amore come forsennati. Ma era stato un sentimento molto più profondo a spingere Lee Updike: la paura di preparare la fine del mondo. Adesso, con le braccia intorno alla vita della ragazza, si dava da fare con grandi colpi di reni, spingendo a poco a poco Leslie verso il bordo del letto. D’un tratto la ragazza cadde nel vuoto e finirono tutti e due sulla moquette. Appena ebbero smesso di ridere come pazzi, Leslie fece per rialzarsi.
Lee la spinse di nuovo verso la moquette, facendole appoggiare la testa contro la parete della stanza da bagno. Stando in ginocchio, si passò sulle spalle le gambe della ragazza e riprese a fare l’amore con foga raddoppiata. Il contatto della moquette sotto la schiena aumentava il piacere di Leslie dandole la sensazione di essere violentata. La ragazza si tese come una corda nel momento preciso in cui tutti e due raggiunsero l’orgasmo e… il telefono squillò.
Ci misero un po’ per tornare alla realtà. Poi Lee si alzò e andò a rispondere. Secondo la strana usanza svedese, l’apparecchio non si trovava sul tavolino da notte, ma sul tavolo grande.
— Pronto!
Lee ascoltò il suo interlocutore, poi disse senza nessun entusiasmo: — D’accordo. Sono giù tra dieci minuti.
Leslie si rialzò e guardò l’orologio. Lee la contemplava, con ammirazione folle, innamorato come un collegiale. Sana, felice di vivere, senza complessi, tutta sport e amore, la ragazza era capace di attraversare un deserto in motocicletta o di vestirsi da vamp, raccogliendo in uno chignon i lunghi capelli biondi.
— Perché mi hai svegliato così presto? — domandò sbadigliando e mettendo in mostra i denti bellissimi.
Lee si era già infilato sotto la doccia.
— Avevo appuntamento con quel fotografo finlandese, e prima volevo fare l’amore.
Leslie scosse ridendo la chioma bionda e si rimise a letto. Piuttosto pigra, la cosa che più le piaceva era trarre il massimo piacere dal suo corpo fiorente.
Stava portando a termine un corso di laurea in fisica quando Lee Edward Updike, giovane fisico già famoso, era andato a tenere una conferenza alla sua università. Era rimasta affascinata dai suoi occhi azzurri e si era data da fare per avvicinarlo. Lee, che era preso giorno e notte dal progetto Starwar, aveva ceduto: Leslie Manson se ne infischiava altamente dello Starwar e aveva apprezzato con entusiasmo i dubbi di Lee Updike sul proprio lavoro.
Il giovane fisico uscì dalla stanza da bagno, infilò un paio di jeans, una camicia e un maglione pesante, poi prese alcuni incartamenti e baciò Leslie, che ancora stava covando il proprio piacere.
— Ne avrai per molto? — domandò la ragazza.
— Per un’ora, più o meno. Quel tipo è venuto da Helsinki apposta per fotografarmi.
Leslie si stiracchiò sorridendo beata e mettendo in mostra i seni sodi e tondi.
— Torna presto. Ho ancora voglia di fare l’amore.
Un giovanottone biondo e dai capelli ondulati era in attesa al centro della hall, infagottato in un giaccone verdognolo: il viso quasi infantile sbucava fuori da un maglione a collo alto. Corse incontro a Lee Updike e gli strinse la mano scuotendogliela come se gliela volesse strappare.
— Signor Updike, io sono Anti Tallur, del settimanale “Hymy”, il più importante della Finlandia.
Lee Updike sbadigliò, sforzandosi di dimenticare i fianchi voluttuosi di Leslie. “Hymy” doveva avere una tiratura di cinquantamila copie, in una lingua che nessuno capiva… Ma Lee doveva fare un favore al suo sponsor che gli garantiva una vita lussuosa in Svezia e, soprattutto, la sicurezza. Tuttavia, per scrupolo di coscienza, domandò: — Con chi si è accordato per questa intervista?
— Con Wollmar Holmer — rispose subito il giornalista finlandese. — Non glielo ha detto?
— Sì, sì — mentì Lee Updike.
Wollmar Holmer era un giornalista dell’“Expressen”, il grande quotidiano svedese che, per la pubblicazione della sua storia, gli aveva dato la modesta cifra di trecentomila dollari. E aveva anche vegliato sulla sua sicurezza in collaborazione con la Säpo, ossia la Säkerhetspolisen, una branca della polizia che si occupava della sicurezza interna del paese.
Anti Tallur aveva tirato fuori una Nikon e cominciava già a scattare fotografie in mezzo alla hall, sotto lo sguardo dei portieri, visibilmente contrariati.
— Che cosa vuole fare esattamente? — domandò Lee Updike. — Solo delle fotografie?
Il finlandese scosse energicamente la zazzera riccioluta.
— No, no! Voglio anche un’intervista. Sapere perché ha abbandonato il programma Starwar, perché è venuto in Svezia; se si sente minacciato; se gli americani hanno tentato di ucciderla o di rapirla.
Questa tirata fatta a scatti e in pessimo inglese era appena comprensibile. Parlando, il giovanotto scattava foto in continuazione, girando come una trottola intorno all’americano. Le poche persone che entravano nella hall del Grand Hôtel, accompagnate da una folata di vento gelido, guardavano stupite i due uomini.
— Potremmo sederci al bar — disse Lee Updike.
Il lussuoso bar alla sinistra dell’ingresso, con una terrazza che dava sull’imbarcadero dei vaporetti, era totalmente deserto.
Anti Tallur abbozzò un sorriso timido.
— Se non ha nulla in contrario, io vorrei fotografarla in Strandvägen, davanti all’ambasciata americana.
Lee Updike si irrigidì.
— Sono disposto a fare delle fotografie fuori, ma non lì.
— Va bene, va bene — si affrettò a dire il fotografo. — Allora potremmo andare in Gamla Stan.
— Se proprio insiste.
Anti Tallur ripose la sua Nikon e precedette l’americano in strada. Furono accolti da una ventata furiosa. Un po’ più lontano, su Strömgatan, un pescatore stava cercando di catturare dei salmoni nel braccio di mare che separa Stoccolma Nord da Stoccolma Sud. Anti Tallur spinse Lee Updike accanto al pescatore e immortalò la scena. Poi i due uomini proseguirono verso Vasabron, il piccolo ponte che porta alla città vecchia.
Molto più basso di Lee Updike, il finlandese faceva fatica a tenerne il passo.
— Ha intenzione di stabilirsi definitivamente a Stoccolma?
— Non so ancora — rispose prudentemente Lee Updike.
Per il momento il suo passaporto americano era stato annullato e il governo svedese gli aveva rilasciato un lasciapassare che gli dava gli stessi diritti di uno svedese. Lee Updike ancora non lo aveva usato: si sentiva al sicuro in Svezia, in una specie di bozzolo asettico e morbido, lontano dal mondo reale. Certo, prima o poi avrebbe dovuto muoversi. Non poteva vivere sempre al Grand Hôtel. D’altra parte l’“Expressen” gli avrebbe pagato le spese soltanto fino al 31 ottobre. Leslie lo incitava a partire per un paese caldo, ma Lee aveva paura.
Anti Tallur si accovacciò in modo da inquadrare il palazzo reale alle spalle dell’americano e domandò: — È sposato, signor Updike?
Lee Updike esitò un attimo, poi rispose: — No, ma può darsi che mi sposi presto.
— Con una svedese?
— No, con un’americana.
— È qui con lei?
— Sì.
— Potrei conoscerla, fotografarla?
— Non credo, non le piacciono queste cose.
Leslie Manson si era quasi riaddormentata quando una scampanellata la fece trasalire. Mentre stava per staccare il ricevitore si rese conto che si trattava della porta. Si avvicinò e disse attraverso il battente: — Chi è?
— Il servizio in camera — rispose una voce femminile.
Leslie si sentì invadere da un’ondata di riconoscenza. Le piaceva fare colazione a letto, e Lee lo sapeva. Evidentemente era stato lui a or...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. SAS VEDE RUSSO
  4. PERSONAGGI PRINCIPALI
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. Copyright