Mi chiamano Yanka l’Orsa. Non per il luogo in cui mi hanno trovato, questa è una cosa che pochi conoscono. Mi chiamano Yanka l’Orsa perché sono grande e forte.
Sovrasto tutti gli altri dodicenni, e anche la maggior parte degli adulti. E sono più forte di tutti. Perfino dei tagliatori di ghiaccio e dei boscaioli e dei pochi cacciatori-raccoglitori che hanno il coraggio di avventurarsi nella Foresta di Neve.
Sono un centinaio le persone che abitano qui, nel villaggio sul margine meridionale della foresta. E in questo momento sono tutte assiepate nella piazza, alle prese con i preparativi per la festa di domani.
La neve scintilla e l’eccitazione sfrigola nell’aria. Da più di sei mesi, il villaggio è intrappolato nel freddo implacabile dell’inverno. Ma domani segna l’inizio del Grande Disgelo. Il Grande Fiume Ghiacciato si scioglierà , e la Foresta di Neve perderà la sua coltre di bianco. Potrò vagabondare sotto il verde rinnovato degli alberi. Non andrò lontano, Mamochka si preoccupa se lo faccio. Ma il solo pensiero di trovarmi sotto salici ondeggianti e pini ciarlieri mi accende un pizzicorino di felicità sulle guance.
Le persone mi chiamano per farsi aiutare mentre attraverso la piazza. Mi fermo a sorreggere travi di legno per i carpentieri che stanno montando il palco per lo spettacolo della festa. Aiuto a conficcare i pali nel terreno ghiacciato per la gara di arrampicata. E sollevo dal fiume gelato slitte cigolanti cariche di blocchi di ghiaccio per il fortino. È già alto quanto il municipio del villaggio, ma i bambini continuano ad arrampicarsi sulle sue mura lucide, alzandolo ancora.
Alla fine raggiungo il centro della piazza, dove il mio migliore amico Sasha sta impilando la legna per il falò della festa.
«Ehi, Sasha.» Sorrido e saluto con la mano.
«Ehi, Yanka.» Sasha ricambia il mio sorriso da sotto il suo grande cappello di pelliccia. Siamo migliori amici da quando lo tirai fuori da una macchia di ortiche, quando io avevo tre anni e lui cinque. Strofinai le sue punture con delle foglie di romice e gli proposi di salire su un albero insieme a me. Mamochka dice che è stata la prima volta che ho parlato.
Sasha è alto e magro e ha le gambe lunghe come un airone. Fino a questo inverno ci guardavamo dritti negli occhi, ma dopo il mio ultimo scatto di crescita supero la sua testa con lo sguardo. Non avrei mai immaginato di crescere tanto, e non so se mi ci abituerò mai.
«Lo portiamo insieme?» Sasha solleva un’estremità di un lungo albero tagliato.
«Ce la faccio.» Mi carico il tronco su una spalla e i piedi mi affondano nella neve. Sasha ne raccoglie un altro, più piccolo, e con passi pesanti ci avviamo insieme verso la catasta del falò.
Il cuginetto di Sasha, Vanya, ci corre incontro con le braccia piene di ramoscelli. Mi guarda raggiante, con gli occhi sgranati. «Sei forte come un’orsa, Yanka.»
Scarico il tronco sulla catasta del falò e sorrido. Non mi dispiace che la mia forza sia paragonata a quella di un’orsa. Non proprio. Ma mi ricorda quanto sono diversa, e non solo per la mia corporatura e la mia forza.
Tutti gli altri nel villaggio sono nati qui, così come i loro genitori e i loro nonni. Indossano pellicce ereditate dai bisnonni e dormono sotto coperte fatte a maglia dalle bisnonne. Ma io non so dove sono nata, né chi sono i miei veri genitori, né come sono finita nella grotta dell’orsa. Questo non sapere è come un buco dentro di me che si fa un po’ più grande ogni anno che passa.
Mi carico un altro tronco sulla spalla e scaccio questi pensieri gelidi. Ben presto la catasta del falò è alta quanto me, e sorrido immaginando il calore di quando arderà domani.
Sasha sta ridendo con un gruppo di bambini che sono scesi giù dal fortino di ghiaccio. Tiene il cappello in mano e i suoi capelli soffici come piume sono sparati in tutte le direzioni. Conosco ognuno di loro. Ci sono solo una ventina di bambini e ragazzi nel villaggio e andiamo tutti alla stessa scuola, da sempre, perciò non dovrei sentirmi in imbarazzo in mezzo a loro. Ma inciampo quando mi avvicino, poi sorrido nervosa. Nessuno sembra farci caso. Forse perché sono presi dai progetti per domani. O forse perché la mia testa è molto più in alto di tutte le loro. Provo a chinarmi e a piegare le ginocchia, ma continuo a sentirmi tagliata fuori. Mi sento come il pulcino di un cuculo in un nido di scriccioli.
Il cielo grigio pallido si fa scuro e il gelo morde l’aria. L’inverno starà anche finendo, ma il calore della primavera è ancora di là da venire. È sempre così. La neve che si scioglie al sole gela di nuovo all’imbrunire, perciò le notti sono piene di ghiaccio e sferzanti di freddo.
Un ciuffolotto mi supera rapidamente in volo, talmente vicino da sfiorarmi la guancia con le piume. Si lancia in alto e fugge via, verso la foresta. Da qui riesco solo a scorgere le cime sottili di qualche albero, ma sono come corde spesse, che mi strattonano il cuore. Sono quasi arrivata in cima alla collina del villaggio quando mi rendo conto di essermi allontanata dagli altri.
Sasha mi raggiunge e mi dà un pugno sul braccio mettendosi al passo al mio fianco.
«Perché?» Gli restituisco il pugno, più piano che posso, ma lo faccio barcollare lo stesso.
«Hai provato ad avvantaggiarti.» Sasha tira fuori le lame che si agganciano ai suoi stivali per trasformarli in pattini da ghiaccio. «Facciamo a chi arriva prima a casa mia?»
«Sì!» Mi sento sollevata, ma poi ho un tuffo al cuore quando ricordo come mai non indosso degli stivali da pattinaggio. Ho preso tre numeri in più questo inverno e non sopporto di farmene fare un altro paio. Mi spaventa pensare alla velocità con cui sono cresciuta quest’anno, talmente più in fretta rispetto agli anni passati che la notte mi fanno male le gambe. Mi frugo goffamente nelle tasche e sospiro. «Ho dimenticato le lame.»
«Di nuovo?» si lamenta Sasha.
«Non me la prendo se pattini senza di me.» Mi fermo in cima alla collina. Una pista di lastre di ghiaccio ricopre il sentiero e si allunga fino a casa di Sasha, e da lì fino alla soglia di casa mia e di Mamochka. So che Sasha adora pattinare sul ghiaccio, aggraziato come una rondine in volo. Però non aggancia le lame.
«Allora passiamo dalla foresta.» In quattro salti raggiunge il vecchio olmo nodoso su cui ci arrampicavamo da piccoli. C’è un sentiero alle sue spalle che si snoda tra gli alberi e gira intorno ai nostri giardini. Ho sempre preferito passare di lì per tornare a casa, e Sasha lo sa. Un’ondata di calore mi avvolge. Sasha è il migliore degli amici.
Entrare nella Foresta di Neve è come varcare la soglia di un altro mondo. Gli alberi alti alti mi fanno sentire piccola. La mente freme e tutti i miei sensi prendono vita. A volte nella foresta mi sento così vicina alla storia del mio passato che riesco quasi a udirla nel vento.
«Sei emozionata per la festa?» chiede Sasha, con gli occhi che brillano.
Faccio cenno di sì, pensando a tutte le cose che mi piacciono della festa: i giochi, la musica e gli spettacoli, le gare di slitta sulla pista gelata di fresco e la corsa nel labirinto di fuoco incontro a Mamochka.
Il labirinto di fuoco non ha niente a che vedere con il fuoco vero. Grandi teli di seta fluente, tagliati e dipinti a mo’ di fiamme, sono drappeggiati sul palco. Tutti li attraversano di corsa a fine serata, ridendo quando si aggrovigliano o si perdono fra i teli, e riemergono con il volto di brace.
La prima volta che attraversai il labirinto di fuoco, a tre o quattro anni, ero spaventata, così Mamochka mi aspettò dall’altra parte e mi guidò a cenni. Adesso non ho più paura, ma lei è sempre lì ad aspettarmi.
«Non vedo l’ora di giocare all’assedio.» Sasha è raggiante. «Hai visto quanto è alto il fortino di ghiaccio quest’anno?»
«Più alto del municipio del villaggio» mormoro, distratta dai suoni della foresta. Chino la testa sotto un ramo e la neve trema e mi cade sulla nuca.
La foresta ha i suoi stati d’animo e in questo momento sembra irrequieta, fra gli sgocciolii della neve e il frullio degli uccelli, e gli animali che fuggono veloci sugli alberi e sfrecciano nelle gallerie sotto la neve.
Sasha continua a parlare dei giochi, ma io non riesco a concentrarmi. Mi sento all’erta, come se la foresta stesse cercando di dirmi qualcosa.
«Yanka?»
«Scusa. Che c’è?»
«Stavi di nuovo ascoltando gli alberi?» Sasha sorride. «Non ti hanno ancora detto chi sei?»
Le guance mi avvampano. Io e Sasha ci siamo sempre detti tutto.
Ora, a volte, vorrei che non sapesse così tanto di me; delle cose che sento nella foresta, per esempio, e di quanto mi interroghi sul mio passato.
«Passo da te domani?» chiede Sasha.
«Aiuterò Mamochka a portare i suoi rimedi in piazza e ad allestire la bancarella. Partiamo alle prime luci dell’alba.»
«Vengo ad aiutarvi.»
«Non devi.»
«Ma voglio. I miei andranno a prendere i nonni in slitta, perciò sarei comunque solo al mattino.» Sasha corre via ed entra nel suo giardino sul retro. «Ci vediamo domani.»
Io raggiungo il nostro giardino e indugio sotto i pini ai suoi margini, per restare ancora un po’ vicino alla foresta.
Il nostro giardino, come quello di Sasha, si tuffa nel verde, senza steccati o cancelli di separazione. Al momento è una piatta distesa di neve, ma dopo il Grande Disgelo rivolteremo la terra e pianteremo i semi. Quando verranno i lunghi giorni dell’estate, scoppierà di colori; frutti, fiori e centinaia di erbe officinali, in una danza di api e farfalle.
È con le erbe officinali che Mamochka si guadagna da vivere. Le raccoglie, le fa seccare, le trita e prepara rimedi di ogni genere. Ogni volta che sto male, ha un tonico o un infuso per farmi stare meglio. Questo inverno ha preparato perfino un unguento speciale, solo per me, quando mi lamentavo dei piedi indolenziti per via della crescita troppo rapida.
La gente dice che Mamochka è in grado di curare qualsiasi cosa – che se volesse, potrebbe guarire il cielo e farlo smettere di sanguinare al tramonto – perché ha la saggezza della Foresta di Neve dentro di sé. Mamochka somiglia anche alla foresta, feroce e gentile al tempo stesso. Le sue mani sono lisce ma forti, come corteccia nuova. Ha i capelli scuri, come le ombre fra i pini. E il suo profumo è dolce come i fiori di tiglio.
Quando Mamochka era più giovane, si addentrava nella foresta per raccogliere erbe e bacche per i suoi rimedi. È così che mi ha trovato alla grotta dell’orsa. Ma di questi tempi rimane al villaggio e coltiva tutto ciò di cui ha bisogno nel suo giardino.
Come tutti gli altri paesani, dice che la foresta è pericolosa e che il suo compito più importante adesso è tenermi al sicuro. Vorrei che mi permettesse di spingermi un poco più in là nelle mie esplorazioni, ma dice che potrei perdermi, o morire assiderata, o essere attaccata da uno dei molti predatori che si aggirano fra gli alberi.
Un lampo rosa su un ramo innevato attira il mio sguardo. È un altro ciuffolotto paffuto. Gli sorrido, faccio scivolare una mano in tasca e tiro fuori un po’ dei semi di girasole che porto sempre con me per gli uccelli. Con la mano tesa, immobile e piatta, e i semi sul palmo, emetto un fischio basso e malinconico.
Il ciuffolotto piega il capo e fa qualche passetto lungo il ramo. Poi salta e in un frullio di ali vola sulla mia mano.
«Yanka!»
Mi si blocca il fiato in gola. Il ciuffolotto ha appena detto il mio nome, ne sono certa.
«Yanka!» chiama di nuovo l’uccello. «Yanka l’Orsa! Torna nella foresta!»
Fisso il ciuffolotto, a bocca aperta. Ho udito le sue parole come un canto d’uccello, ma nella mia mente hanno formato un senso compiuto. Mi chino in avanti, sperando che dica qualcos’altro.
Ma delle minuscole zampette si arrampicano sulla schiena del mio cappotto di renna e Trappola, la nostra donnola domestica, si lancia dalla mia spalla per tuffarsi sull’uccellino.
Il ciuffolotto vola via appena in tempo e Trappola mi atterra sulla mano, provocando una pioggia di semi di girasole sulla neve. Mi gira attorno al polso e mi guarda con aria innocente, leccandosi le labbra.
Io gli scocco un’occhiataccia e scuoto la testa. «Vorrei che non cacciassi gli uccelli a cui do da mangiare. Non ci sono abbastanza topi in casa per te?»
Trappola si scroll...