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Questo tempo ci parla
La rivoluzione spirituale e il sogno di una nuova umanità
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Questo tempo ci parla
La rivoluzione spirituale e il sogno di una nuova umanità
Informazioni su questo libro
«La paura che soffoca la speranza è una maledizione. Nessuna opera che usi la paura come movente o minaccia può essere di carattere spirituale».
Da questa intima convinzione prende le mosse la riflessione di padre Guidalberto Bormolini, religioso dei "Ricostruttori nella preghiera" e fondatore dell'associazione "TuttoèVita", che dal 2013 accoglie chi è in cerca di un senso più profondo dell'esistenza in un mondo disorientato e ferito.
Il colloquio stringente con il giornalista Mario Lancisi diventa occasione per una visionaria e quanto mai profetica meditazione sul presente e sugli orizzonti che si profilano: oltre la prospettiva consumistico- tecnologica, robotico-informatica e transumanista ci sono altre strade per il futuro dell'umanità?
Questo tempo, con le sue contraddizioni, ci parla. E non possiamo permetterci di ignorare il messaggio. Occorre ripensare i modelli di civiltà: in campo sociale, ambientale, culturale, economico-finanziario e della salute. Occorre risvegliarsi dal torpore per immaginare un progetto che contempli, finalmente, la capacità di accontentarsi e di condividere, il silenzio e la bellezza, l'amore per la vita e l'accettazione della finitudine, gli imprescindibili diritti materiali e quelli spirituali. Sotto il soffio dello Spirito – sostiene padre Guidalberto – si può coltivare un grande "sogno" perché non vi è più distinzione tra possibile e impossibile.
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Informazioni
Editore
TS EdizioniAnno
2022eBook ISBN
9791254710364Argomento
Teologia e religioneE vidi un cielo nuovo
e una terra nuova
Ap 21,1
Introduzione
Voce del verbo “ricostruire”
Prima di iniziare la conversazione con padre Guidalberto Bormolini vorrei presentarvelo. E la migliore presentazione di una persona è partire dai suoi luoghi. Sono i luoghi infatti che definiscono le persone, che le raccontano. Per Guidalberto scelgo per primo il piccolo comune di Cantagallo, 3.000 abitanti, a 32 chilometri da Prato, dove ha deciso di far nascere un borgo per chi crede all’Utopia, in località Mezzana, a mezza costa sui monti della Calvana, aspri e spelacchiati, rifugio un tempo di pastori sardi, quelli che sequestrarono nel 1997 Giuseppe Soffiantini, imprenditore di Manerbio, in provincia di Brescia. E il caso ha voluto che, una ventina di anni dopo, sulle terre della Calvana sia approdato, dopo un lungo masticare luoghi, Paesi e continenti, un altro bresciano, padre Bormolini, nativo di Desenzano sul Garda, che dista da Manerbio una quarantina di chilometri.
A Mezzana – un borgo abbandonato dagli anni Sessanta, acquistato grazie a una serie di piccole donazioni dall’associazione “TuttoèVita”, nata nel 2013 per prendersi cura di chi è alla ricerca di un senso in un mondo disorientato e sofferente – incontriamo giovani volontari e monaci con tanto di motoseghe, decespugliatori e trattori, intenti a lavorare, sotto la guida fattiva di padre Guidalberto; l’obiettivo comune è far rinascere un borgo deperito dal tempo e dall’incuria. Ricostruirlo.
Il movimento cristiano a cui appartiene padre Bormolini si chiama “Ricostruttori nella preghiera”. Nomen omen: ovvero quando il nome indica il senso preciso che si vuole assegnare alla propria vita.
«Un nome molto bello, perché mette assieme il dovere e l’impegno di costruire un mondo migliore per noi esseri umani, pur con i nostri limiti e le nostre piccolezze, con l’azione dello Spirito Santo che va oltre la nostra debolezza e ci permette di costruire e ricostruire», spiega padre Guidalberto.
“Ricostruttori nella preghiera” è un nome composito, che indica due istanze fondamentali del monachesimo delle origini: la preghiera e il lavoro. La spiritualità del movimento, infatti, per lunghi anni ha dato grande rilievo al lavoro manuale, finalizzato al recupero di luoghi abbandonati per trasformarli in centri di formazione e meditazione: «Ricostruire materialmente per ricostruirsi interiormente».
Le radici: Desenzano sul Garda
Altro luogo fondamentale della mappa biografica di padre Bormolini è Desenzano sul Garda. Il luogo natìo. Là dove affondano le sue radici. Sul lago incombevano le prime nubi di fine estate quando nacque Guidalberto, il 21 agosto del 1967, da una famiglia di tradizione artigiana: da parte di madre, del legno; da parte di padre, del ferro. Dalla bottega di ferro battuto della famiglia Bormolini è uscito il crocifisso che svetta sulla cupola del Duomo di Desenzano.
«Mio padre Alberto aveva studiato, era stato in seminario; era un tipo intraprendente e aveva aperto la prima agenzia Automobil Club di Desenzano. Sono stato educato fin da ragazzo alla cultura del lavoro manuale: sì i libri, sono importanti, ma altrettanto importanti sono gli strumenti del lavoro fatto a mano, un po’ come insegnava don Milani», racconta Guidalberto, che unisce i nomi del babbo e del nonno materno. Dal padre, cacciatore popolare non per mero sport, apprende ad amare la natura, e conosce animali, le loro tracce, i loro canti. E soprattutto a rispettarla, perché, come dice papà Berto, «l’è ‘n mistero!».
A 14 anni ha fatto l’apprendista come operaio di una falegnameria artigiana. La bottega di Luigi Prati, detto anche “il Barba”, a San Martino della Battaglia: per lui è stata una grande palestra di vita. Poi Guidalberto intraprende gli studi per imparare l’arte liutaria. A 21 anni, nel 1988, consegue il diploma di operatore liutario presso la Civica scuola di liuteria di Milano. Diploma che gli consente di iniziare a esercitare la professione in un laboratorio del centro storico di Desenzano. Il suo maestro si chiama Tiziano Rizzi, che lo aiuta ad approfondire le sue competenze, finché nel 1990 consegue il diploma di “Conservatore di beni culturali liutari”.
Se il senso per il lavoro artigianale gli è stato tramandato da papà Alberto, in Guidalberto ha avuto una forte influenza anche la famiglia della mamma: Grazia Rodella. Intanto, la predisposizione all’avventura: «Mia madre era figlia di un vero avventuriero, pilota di aereo nella guerra d’Africa; il fratello e il cugino erano partigiani fucilati alle Fosse Ardeatine. Mio nonno continuò a vivere da “avventuriero” anche dopo la guerra, e talvolta finiva anche in prigione a causa delle sue peripezie». Fu grazie a quei “soggiorni” dietro le sbarre che ebbe anche la fortuna di conoscere don Silvio Galli, cappellano delle carceri, che assisteva la nonna. Don Silvio, di cui è aperta la causa di beatificazione, era una persona straordinaria e frequentava regolarmente la casa di Guidalberto durante la sua gioventù.
Padre Guidalberto non nasconde un certo orgoglio per una famiglia molto attiva, vivace e per certi versi anche sorprendente: «Mio nonno Piero, ad esempio, era sposato con Mida, discendente dei Gonzaga, ma diseredata, perché aveva sposato un avventuriero», sorride quasi divertito il monaco. «La mamma si sposò a 19 anni e per continuare a istruirsi studiava anche la notte. Una gran fatica. Che però l’ha portata a laurearsi in lettere e a specializzarsi come psicanalista in tempi in cui non esisteva ancora la facoltà di psicologia. La mia era una famiglia cattolica, ma non del tutto praticante. Politicamente era libera e plurale: molto progressista la mamma e tradizionalista il papà».
L’animo inquieto e ribelle del giovane Guidalberto si manifesta già alla fine delle scuole medie. La mamma lo vorrebbe iscritto alla scuola d’arte per falegnami. Ma lui non ci sta: «Troppe ore, non mi piaceva stare tanto a scuola. Così decido di testa mia di iscrivermi al liceo scientifico, frequentato a dir la verità con molta fatica, perché ero ribelle e refrattario a essere inserito in una scuola strutturata. Intanto lavoravo, spesso anche durante il periodo della scuola. Alternavo la scuola e il lavoro di falegname», racconta. Alla fine del liceo i professori sono divisi: c’è chi lo vuole bocciare e chi ammettere all’esame di maturità. Si vota: no, si, no, si. Risultato: a maggioranza con un solo voto viene ammesso alla maturità. Conclusi gli studi, continua a lavorare come falegname e intanto frequenta un corso da liutaio a Milano. A Famiglia Cristiana, il 25 luglio 2019, racconterà di essere stato un giovane amante dell’avventura, curioso ed eclettico: «Sono cresciuto in parrocchia, ma già a 14 anni ero battagliero su molti temi e decisamente anticlericale; ero molto impegnato nel sociale e nei movimenti ecologisti e nonviolenti. I miei riferimenti erano don Milani, padre Turoldo, monsignor Bettazzi…».
E tuttavia, nonostante i molteplici interessi e la vita attiva, non era soddisfatto, non gli bastava.
L’incontro con padre John
Un altro snodo di vita per padre Guidalberto è stato la scoperta della meditazione. A partire dalla metà degli anni Settanta il gesuita padre Gian Vittorio Cappelletto (nato a Treviso nel 1928 e morto a Torino nel 2009), detto padre John, organizza corsi di meditazione, idea nata in seguito alla scoperta della meditazione profonda e dello yoga a contatto con alcuni monaci indiani. A Torino inizia così a organizzare incontri di meditazione per giovani lontani dalla Chiesa: è un modo per riavvicinarli alla religione cristiana.
Invitato da alcuni desenzanesi cominciò ad insegnarla anche in un convento vicino a Brescia. Tra i partecipanti c’è anche l’inquieto Guidalberto, proprio negli anni in cui ancora cercava qualcosa di veramente grande a cui dedicare tutta la vita: «Niente mi bastava», confessa. Alcuni amici gli propongono: «Perché non partecipi a un ritiro spirituale di padre Gian Vittorio Cappelletto? È un gesuita molto preparato, tocca le anime in profondità, vedrai che ti piacerà». «Ma chi è?», chiede incuriosito il giovane Guidalberto. Un pochino è combattuto, ma alla fine cede, dà ascolto agli amici e va a incontrare padre Cappelletto.
«Rimasi folgorato da padre John. Le sue parole entrarono dritte nella mia anima. Da allora, divenne la mia guida spirituale», ricorda padre Guidalberto.
Aveva solo 14 anni, ma la forte vocazione religiosa che aveva sentito fin da bambino trova finalmente una strada di risposta con padre John. Lo ammira, lo sente molto vicino alla sua sensibilità, perché nella sua proposta religiosa si intrecciano l’aspetto della meditazione, della preghiera, della spiritualità con quello del lavoro manuale, del fare e del prendersi cura degli altri.
Padre Cappelletto promuove, infatti, la ricostruzione di cascine e monasteri abbandonati per trasformarli in luoghi di preghiera e meditazione. Intorno a lui si forma un primo nucleo di consacrati. «Vogliamo essere un fermento cristiano in un mondo pagano», diceva padre John. Guidalberto è attratto da quella missione e chiede di consacrarsi alla vita religiosa. Così nel 1992 chiede e ottiene di entrare a far parte della comunità religiosa dei “Ricostruttori nella preghiera”: «Lì ho finalmente trovato cosa poteva saziare il mio desiderio di Infinito», sottolinea Guidalberto.
Nella Firenze dei “Folli di Dio”
Guidalberto trascorre il noviziato a fare il muratore, ristrutturando una cascina in Piemonte, poi viene mandato a compiere gli studi teologici all’Università Gregoriana di Roma e nel 1998 consegue il titolo di Baccellierato. Continua a coltivare gli studi e nel giugno riesce a ottenere la licentia docendi in Antropologia Teologica nella Facoltà di Teologia dell’Italia centrale, a Firenze. Il 4 giugno del 2000 viene ordinato prete ad Arezzo dall’allora arcivescovo Gualtiero Bassetti, oggi presidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana). Poco dopo l’ordinazione viene inviato a Firenze dove, seguendo gli insegnamenti di padre Cappelletto, propone percorsi di ricerca interiore per persone lontane dalla fede.
Firenze è la terra dei “Folli di Dio”, che nella spiritualità russa sono gli innamorati del Divino e portatori di quella sapienza che vive di stoltezza: «Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (Prima Lettera ai Corinzi 1,25).
Tuttavia, con questa espressione sono indicati anche alcuni esponenti della Chiesa cristiana nella Firenze del dopoguerra: il cardinale Elia Dalla Costa, don Giulio Facibeni, Giorgio La Pira, padre Ernesto Balducci, don Lorenzo Milani, padre David Turoldo, padre Giovanni Vannucci e molti altri protagonisti di quella stagione religiosa e civile.
Il filo rosso che unisce l’esperienza dei “Folli di Dio” è il desiderio di realizzare l’Utopia che già abitava nei loro cuori. Gente visionaria. Come padre Bormolini e la comunità a cui appartiene.
La Città ideale è quindi il ...
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- Introduzione