Ci siamo voluti tanto bene
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Ci siamo voluti tanto bene

La nostra amicizia con Luciano De Crescenzo

  1. 108 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ci siamo voluti tanto bene

La nostra amicizia con Luciano De Crescenzo

Informazioni su questo libro

L'amicizia, quella vera, non solo supera ogni ostacolo, ma è come il viaggio per Saramago: non finisce mai. Marisa e Renzo lo sanno bene, e come loro ne era convinto anche Luciano De Crescenzo, amico di una vita, compagno di innumerevoli avventure personali e televisive.

Renzo, Marisa e Luciano. Tre artisti accomunati da un umorismo ironico e dissacrante, legati da un affetto indissolubile. Ma soprattutto tre amici che, attingendo all'arte sublime dell'improvvisazione, hanno mescolato le proprie vite trasformandole in uno spettacolo continuo e travolgente.

"Hai illuminato la mia vita con la tua grande intelligenza, con l'ironia, con l'amore mai decaduto, con la tua cultura. Ricorderò sempre i tuoi occhi. I tuoi dolcissimi occhi rimarranno impressi nel mio cuore", sono le parole commosse che gli dedica Marisa. "E se ci sarà una resurrezione, io la prossima vita, Luciano, voglio vivere e voglio nascere con te, a Napoli. Siamo abitudinari, ci piace Napoli." "Ci unisce Napoli, ci unisce l'amore per Napoli. Quindi ci unisce l'amore", le fa eco Renzo.

Ci siamo voluti tanto bene è un memoir affettuoso e scanzonato che, attraverso i ricordi di Renzo Arbore e Marisa Laurito, e una testimonianza di Domenico De Masi, ripercorre l'amicizia con Luciano De Crescenzo.

E così, passando dal set del Mistero di Bellavista a quello del Pap'occhio, dagli studi di "Tagli, ritagli e frattaglie" a quelli di "Indietro tutta", dai viaggi in giro per il mondo alle cene circondati da amici, Renzo, Marisa e Domenico ci svelano anche momenti privati della vita del loro amico ingegnere, diventato uno scrittore conosciuto in tutto il mondo.

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Luciano

di Marisa Laurito
Mimmo De Masi prima e Renzo dopo hanno raccontato Luciano e gli hanno reso giustizia come meglio non avrei saputo fare. Lo hanno fatto con il sapore dolce del ricordo accarezzato dalla verità e legati a Luciano da un’amicizia rara: quella disinteressata. Mimmo lo ha fatto da sociologo e storico, Renzo da appassionato di Napoli e da fraterno amico, figlio legittimo del Vesuvio, qual era Luciano. Luciano spesso diceva di essere stato molto fortunato, e aveva ragione, perché nella sua splendida vita la dea bendata è diventata presto amica della sua simpatia, della sua creatività e dell’ironica intelligenza con cui semplicemente affascinava i suoi interlocutori; omaggi ricevuti in eredità dai suoi antenati. La fortuna con lui si è manifestata alla nascita trasformando il suo DNA in DAN: Doni Avuti Nascendo, regali preziosi… ma sono state la sua umanità e il suo carattere che hanno determinato il suo essere e le sue brillanti carriere.
Un ingegnere acclarato e acclamato, un uomo affascinante che a cinquant’anni aveva già raggiunto traguardi straordinari, a metà della sua vita coglie al volo il successo ottenuto dalla pubblicazione di Così parlò Bellavista e con coraggiosa incoscienza decide di cambiare mestiere facendo un salto nel buio. Quel buio si è subito trasformato in una luce che lo avrebbe accompagnato in tutte le avventure della sua esistenza, diventando, in primis, uno scrittore seguito da milioni di lettori. Quanti al mondo sarebbero stati capaci di una decisione così radicale? Cambiare il presente, le certezze conquistate con sudore, con la speranza di una vita più umanamente degna di essere vissuta? Pochissimi, ve lo dico io, ma Luciano era coraggioso e determinato. Forse, andando in giro per Napoli a fotografare emotivamente quella umanità variegata, disperata e trascurata da tutti, aveva scoperto quale fosse la sua più grande abilità: raccontare! Raccontare il mondo a modo suo, attraverso microstorie, facendo emergere la poesia e la forza ironica di esseri umani deboli, emarginati, ma che avevano ancora tanta voglia di vivere e di far sentire la propria voce con dignità.
Raccontare al mondo la sua filosofia, attraverso narrazioni leggere ma rese potenti dal contenuto di questa disciplina e dall’ironia del suo essere ingegnere-filosofo, dalla potenza comunicativa della sua semplicità che nella sua scrittura diventava disarmante bellezza.
Era intimamente curioso, Luciano. Uno scienziato umanista che guardava attraverso la lente del suo microscopio il genere umano. Capace di mettere a fuoco, con sorprendente chiarezza, aspirazioni e sentimenti celati tra le pieghe della sofferenza del popolo che più amava e stimava: i napoletani. Per chi era capace di leggere, nei suoi limpidi occhi azzurri si affacciava per intero la sua anima e tutto l’azzurro che conteneva.
Luciano era uno e unico. Attore, regista, bravissimo a disegnare vignette, campione di offshore, sceneggiatore, questo era Luciano, un numero uno in tutto, ma per noi, per me, per Renzo, per Mimmo, un amico. Purtroppo per me era pure ingegnere e filosofo. Dico purtroppo perché da questo punto di vista era molto impegnativo. Si faceva ascoltare con attenzione, e a volte con prepotenza. Si arrabbiava quando mi distraevo, e per prendermi in castagna mi tendeva anche continui trabocchetti. I libri che scriveva, e che mi regalava con bellissime dediche, riportavano su alcune pagine frasi segnate a matita per essere sicuro che io avessi quantomeno aperto il libro e letto il contenuto. E il più delle volte si trattava di insulti divertenti, diretti a me.
Una volta gli dissi: «Bella la storia della filosofia greca!».
In verità non avevo avuto il tempo di leggerne neppure un rigo, ma la sua risposta fu: «E ti è piaciuto anche “Quanto sei scema” che ti ho scritto a pagina 23, ci hai fatto caso?».
«Come no? “Quanto sei scema”… pagina 23… Anzi, ti dico che da napoletana verace me lo sono anche giocato al Lotto. Insieme al 15, che è “lo scherzo”!»
«Allora sei scema e bugiarda. Perché stava a pagina 32!»
«Lucià, grazie, giocherò anche questo!»
Io amavo ascoltare il suo meraviglioso filosofeggiare, che però spesso si avvaleva anche di regole matematiche e fisiche. Ammetto la mia ignoranza, non sono mai stata portata per la “matematica ingegneristica della vita”. Invece la filosofia a scuola mi piaceva molto, e negli anni me ne sono fatta una tutta mia, dalla quale, ovviamente, Luciano spesso dissentiva. Una volta, però, mi portò un regalo: un grande manifesto di una conferenza che aveva tenuto, mi pare di ricordare a Bologna, e il titolo era Da Platone a Marisa Laurito. Dio, cosa avrei dato per essere presente! Chissà con quali racconti, connessioni o comiche differenze, ovviamente tutte a mio svantaggio, avrà deliziato il pubblico in ascolto. Purtroppo il contenuto è restato per me top secret, ma di buono resta il fatto che posso vantarmi di avere avuto il mio nome su un manifesto accanto a quello di Platone e di Luciano De Crescenzo. Ragazzi, non si vive di solo pane.
Luciano negli anni è stato il mio approdo mattutino. Quando tutti dormivano e io mi svegliavo all’alba per andare a girare un film, era la mia prima telefonata, anche perché era l’unico a essere sveglio a quell’ora! L’unico che rispondeva sempre. Alle cinque del mattino aveva già letto tutti i giornali ed era nel suo ufficio a scrivere. Ora anch’io mi sveglio spesso prestissimo, e quelle telefonate mi mancano da morire. Era bello ascoltare la sua voce all’alba mentre tutto intorno era silenzio.
Per oltre quarant’anni della nostra bella, piena, amorevole amicizia, Luciano è stato la mia bibita energizzante, qualche volta la mia zattera di salvataggio, ma sempre è stato la mia Treccani personale, che potevo consultare gratuitamente, molto prima di Google.

L’amicizia

Si parla spesso di colpi di fulmine in amore, non so perché non se ne fa parola per quel che riguarda l’amicizia! Il mio incontro con Luciano è stato un colpo di fulmine durato tutta la vita, che continua ancora, nonostante lui non ci sia più! Si fa per dire… lui c’è, e più di prima! Come ho detto, siamo stati subito complici, confidenti, familiari, sempre disponibili l’uno verso l’altra. Ma quello che ci ha legati davvero fin dall’inizio è stato un senso di cameratismo, proprio come se avessimo fatto il servizio militare insieme.
Mi trattava come se fossi un uomo, mentre io lo vedevo come una donna con piglio maschile, e quindi gli raccontavo tutto quello che avrei detto a un’amica. L’amicizia, d’altronde, non ha sesso, e solo quando litigavamo per pochi minuti, ma furiosamente, scaricavamo l’uno addosso all’altra l’insulto terribile di non capire, perché colpevoli di appartenere al sesso opposto e, quindi, inferiore.
Non ricordo l’istante in cui ho incontrato le innumerevoli persone che hanno fatto parte della mia vita. Sono tante, e quasi mai riesco a risalire la catena degli eventi che ha portato tutte queste anime nella mia esistenza. Ma l’incontro con Luciano è nitido. Avevo superato il provino per il film La mazzetta e fui invitata ad andare a casa di Nino Manfredi per studiare il copione. Ero molto emozionata, non capita tutti i giorni di incontrare un mito. Entrai nel salone di quella bellissima casa ai piedi dell’Aventino. Di lato, seduto al tavolo, c’era Nino, che mi salutò con molta gentilezza, ma io venni attratta immediatamente da una grande vetrata dove, di spalle, c’era un signore che si girò verso di me: indossava un abito blu che si intonava perfettamente ai suoi occhi azzurri, una camicia bianca e un sorriso buono.
Era Luciano e, per raccontarla cinematograficamente, Manfredi passò in totale e De Crescenzo in piano americano. Non so come e perché, ma sapevo che quello era un incontro del destino, e mentre gli parlavo, percepivo l’importanza che avrebbe avuto nella mia vita! Sono convinta che dentro di noi sappiamo già tutto, solo che non siamo sempre attenti ai segnali. Dovremmo imparare a seguire di più l’istinto, la “pancia”, e meno la testa, perché sia l’intuizione che la passione sanno bene dove portarci.
Di quella giornata è tutto appannato dalla nebbia tranne l’incontro con Luciano. Una luminosa memoria emotiva: ricordo alla perfezione come eravamo vestiti e tutte le parole che mi rivolse con la grazia del suo tenero sorriso. «Molto piacere… Luciano. È lei, dunque, la signorina a cui volevano cambiare il naso? È così carino!»
E io: «La ringrazio, sì, effettivamente, dopo il provino, mi hanno proposto un’operazione correttiva. Lo trovavano poco cinematografico».
E poi gli sguardi, le spiegazioni sul personaggio che avrei dovuto interpretare, l’umanità del suo essere, profondo e leggero ma mai superficiale, mai banale. So che state pensando che è stato amore a prima vista! No, è stato “riconoscersi”, trovarsi e amarsi col sentimento più duraturo e vero del mondo: l’amicizia. Che Luciano metteva a uno dei primi posti nella scala dei valori e dei sentimenti. “Come diceva Epicuro, è un bene primario. L’amore può finire, mentre se vuoi bene a un amico, gliene vorrai ogni giorno, sempre un pochino di più” così amava dire. “Tutti vorremmo avere sia l’amore sia la libertà, ma quando otteniamo il primo perdiamo la seconda. L’unica speranza si trova a metà strada, ed è l’amicizia. L’amico ti dà l’affetto senza toglierti la libertà.”
E così, insieme a Renzo, a Federico Nucci e a Nando Murolo, e anche ad altri amici, siamo diventati un nucleo, una famiglia alternativa e parallela a quella che il destino ci aveva assegnato. Abbiamo passato, da quando ci siamo incontrati, ogni Natale insieme, a casa mia, spesso anche con le nostre famiglie. E sono state feste bellissime, accompagnate da una colonna sonora indimenticabile: il suono delle nostre risate che si rincorrevano, dal salottino alla cucina, assieme a quelle di tanti altri cari amici come Mimmo e Susi, e non so neanche come facessimo a stare tutti in una casa così piccola. I vassoi con il cibo erano poggiati ovunque, sugli armadi, sui tavolinetti, addirittura sul letto, ma questa è un’altra storia e ve la racconterò più avanti: Luciano e il cibo!
Quando ho incontrato Luciano era il 1975 e lui era sceneggiatore del film La mazzetta insieme a Elvio Porta. Siamo diventati subito “complici” perché avevamo tante cose in comune!
Prima di tutto l’amore per Napoli e per il Napoli, per il teatro, il cinema, il gioco, l’umorismo, la canzone napoletana e la cucina napoletana, passione per l’imperturbabilità dei napoletani. Penserete che siamo fissati. No, solo innamorati di Napoli. Come si fa a rinunciare alle proprie radici quando sono così antiche e preziose?
Quante bellissime giornate passate a giocare dalla mattina alla sera con Luciano, a litigare, discutere, passeggiare per i mercatini… Il motore era Renzo, il nostro urban explorer. Quanto amavamo perderci in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie d’epoca… assaggiando “schifezze culinarie” mai viste. Uno dei posti preferiti da Luciano era San Gregorio Armeno, a Napoli, la strada dei pastori, famosa in tutto il mondo per i negozietti dove vendono i presepi. Una delle ultime volte ci siamo andati in treno. Io volevo parlare ma Luciano leggeva i giornali.
«Scusa, Lucià, ma non parliamo proprio? Ma allora che siamo venuti a fare insieme?»
«Mo’ finisco di leggere e parliamo, Marì, parliamo tutto il tempo che vuoi.»
Lesse il giornale fino a Napoli, però non appena scesi dal treno attaccò con le storie dei pastori, che già sapevo a memoria, ma che ascoltavo come una bambina ascolta sempre le stesse favole. «Allora, stai attenta… Benino è il personaggio principale» diceva Luciano, e io annuivo facendo finta di non saperlo… «È quello adagiato, addormentato, che sogna il presepe, il personaggio da cui nasce questa tradizione. Benino lo appassionava al punto che scrisse un libro sulla sua storia: Gesù è nato a Napoli. Libro bellissimo, che vi consiglio di leggere.
L’arrivo a San Gregorio Armeno era un momento sempre esaltante, anche se ci andavamo spesso. Ci dirigevamo subito verso la bottega di Ferrigno, un’istituzione… A Napoli producono da circa duecento anni bellissime opere d’arte. Arrivati da loro ci sedevamo nella bottega, e Giuseppe e Marco, i capostipiti, ci facevano subito portare un bel caffè, e a ogni sorso continuavano i racconti di tutti e le chiacchiere, circondati da quei pastori straordinari, proprio nell’istante in cui loro ne realizzavano di nuovi. È uno dei momenti vissuti con Luciano che ricordo più teneramente, e con maggiore emozione. Forse perché eravamo nel cuore di Napoli, nella nostra Napoli più ricca di suggestioni, quella che entrambi avevamo conosciuto fin dall’infanzia, e che poi abbiamo portato con noi dappertutto: la nostra terra, i nostri vicoli, la nostra gente. Luciano e io.

I pranzi

Luciano, quando si sedeva a tavola, aveva sempre premura, una fretta impressionante. Mangiava come se dovesse battere il record mondiale di pranzo con amici. Tra i motivi che giustificavano tanta mangereccia celerità c’era il retaggio della fame nera che aveva patito ai tempi della guerra. I morsi della fame lasciano ferite che non cicatrizzano mai.
Di momenti terribili Luciano ne deve aver vissuti parecchi. In Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo c’è un racconto di scoramento totale, che mi fece capire quanta sofferenza e impotenza avesse provato quando era giovane. Luciano aveva 16 anni e stava andando a Bagnoli al comando alleato, accompagnato dal padre ormai sessantacinquenne, per tentare di farsi restituire la casa che avevano al Vomero e che gli Alleati, appunto, gli avevano requisito. Durante il tragitto il papà di Luciano cadde, e lui era troppo giovane e debole per aiutarlo a rialzarsi. Intorno a loro il deserto. Non passava nessuno e allora il padre di Luciano gli disse: «Siediti e non ti preoccupare, prima o poi passerà qualcuno. Non credo di essermi rotto niente. E poi, alla fin fine, perché tutta questa fretta: l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. di Domenico De Masi
  4. Ci siamo voluti tanto bene
  5. Prologo. Senza un buon caffè non si può scoprire niente della vita. di Renzo Arbore e Marisa Laurito
  6. Sarà Napoli a salvare il mondo. di Renzo Arbore
  7. Luciano. di Marisa Laurito
  8. Copyright