Cambiare
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Una storia d'amore

  1. 216 pagine
  2. Italian
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Cambiare

Una storia d'amore

Informazioni su questo libro

Accra, capitale del Ghana, è una città vitale, moderna. Vitale e moderna è anche Esi, giovane, colta e in carriera, determinata a realizzarsi. Il suo matrimonio però vacilla, e quando il marito la costringe a un rapporto non voluto, decide di divorziare. Amici e familiari, sbalorditi, tentano di dissuaderla (in fondo, Oko è un buon marito, non la picchia nemmeno...), ma Esi non sente ragioni. Dopo la separazione, si innamora di Ali Kondey, un affascinante musulmano già sposato con Fusena, che ha sacrificato al ruolo di moglie e madre ogni ambizione di studio e successo. Esi accetta il difficile ruolo di seconda moglie, ma ben presto anche questa situazione si rivela una trappola... E inutili si riveleranno i consigli della sua migliore amica, l'infermiera Opokuya, una donna che lotta per ritagliarsi degli spazi di libertà nonostante il complicato ménage casalingo composto da marito e quattro figli. Con una narrazione vivissima e una scrittura che sa commuovere e nello stesso tempo tratteggiare un'impietosa satira sociale, Cambiare (1991) - romanzo che ha vinto il Commonwealth Prize - tocca con sguardo originale temi straordinariamente attuali, a ogni latitudine.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
Print ISBN
9788804746799
eBook ISBN
9788835716044

PARTE PRIMA

1

Esi era arrabbiata con se stessa. Non spettava certo a lei farsi tutta quella strada fino agli uffici della Linga, o come si chiamava. Ovviamente la macchina le si era fermata più volte e, ovviamente, gli altri automobilisti erano stati ben poco comprensivi. Avevano strombazzato i clacson, e dei tassisti avevano urlato le solite battutacce sulle “donne al volante”.
Per quanto le pesasse, perché non riusciva mai a evitare che i colleghi dessero per scontato che ogni volta che la segretaria era via toccava a lei sostituirla? Ma soprattutto, perché non riusciva a evitare di cadere lei stessa sempre in quella trappola?
«Posso aiutarla?» Esi trasalì. Dopo aver parcheggiato ed essere entrata dalla porta d’ingresso aperta, era rimasta alquanto sorpresa di trovare gli uffici vuoti. Aveva controllato l’ora, e in effetti le cinque erano passate da un pezzo. Si stava giusto chiedendo come mai fosse ancora aperto, rimproverandosi silenziosamente al tempo stesso, quando la voce aveva parlato.
Alzò lo sguardo su un viso molto bello. Cosa di cui il suo possessore era ben a conoscenza, insieme a un paio di altre qualità degne di nota. Però Esi non era dell’umore giusto per dare peso a un bell’aspetto o per lasciarsi incantare da uomini consapevoli del proprio fascino.
«Sono del dipartimento di Statistica urbana,» iniziò lei, cercando di non far trasparire l’irritazione «giovedì io e due miei colleghi dobbiamo essere a Lusaka per un convegno.
«Ehm… se ho ben capito,» continuò «questa è l’agenzia che di solito gestisce i viaggi per il nostro dipartimento. Solo che stamattina la segretaria si è data malata, e non sapendo quando tornerà al lavoro abbiamo pensato che potevo venire io a occuparmene.»
E cosa c’è di tanto drammatico in tutto ciò?, avrebbe voluto chiederle lui. Invece, ad alta voce, le chiese di seguirlo nel suo ufficio. Dentro, Esi avvertì subito il gelo dell’aria condizionata, e non poté evitare di rabbrividire.
«Prego, si accomodi» disse l’uomo, indicando una delle sedie basse e piuttosto pregiate di un salottino da ufficio al centro della stanza. Esi sapeva di essergli grata per non averla invitata a sedersi accanto alla sua imponente scrivania. La sedia vicino alla scrivania sembrava alta e non troppo comoda. Si sedette, con un evidente sospiro di sollievo. Lui si accomodò sulla poltrona di fronte a lei. Poi balzò di nuovo in piedi.
«Mi deve perdonare,» disse come strascicando le parole «mi chiamo Ali Kondey e sono il direttore della Linga… Cioè, di questa agenzia… Potrebbe dirmi con chi ho il piacere di parlare?» Fu il turno di Esi di scusarsi.
«Oh, chiedo scusa, non mi sono neanche presentata. Mi chiamo Esi Sekyi.» Si strinsero la mano.
Ancora in piedi, Ali chiese a Esi se poteva offrirle qualcosa da bere. Lei fu quasi tentata di chiedere un bicchiere d’acqua, almeno, ma non lo fece. Stava pensando che, siccome era arrivata troppo tardi perché quella corsa fosse di una qualche utilità, perché allora non uscire il prima possibile da quell’ufficio e rincasare prima che facesse buio? Lo disse quindi ad Ali, che ne rimase un po’ deluso ma preferì non insistere.
«Le spiace se mi siedo?» chiese a Esi, la quale trovò la richiesta talmente assurda che scoppiò a ridere.
«Ho forse detto qualcosa di buffo?» chiese Ali, sinceramente stupito.
«Siamo nel suo ufficio e quella è chiaramente la sua sedia. Perché mai dovrebbe spiacermi se si siede?»
«Veramente…» iniziò a spiegare lui, ma poi cambiò idea. Una sfera della comunicazione che lo rendeva sempre triste erano quei muri che le diverse esperienze coloniali sembravano aver eretto tra i vari gruppi di africani… Soprattutto quando si trattava di donne.
Sedutosi, riprese un po’ goffamente: «Ma non importa. Piuttosto, tornando a ciò che mi stava dicendo prima… Sa se la vostra segretaria aveva già fornito ai miei collaboratori qualche informazione specifica, per esempio che giorno vorreste viaggiare e quando dovreste rientrare?».
«Sì, certo, dovrebbe aver già comunicato tutto. Ho solo pensato di passare a controllare i biglietti e la prenotazione dei voli.» Esi parlava, ma aveva la netta sensazione che Ali non la stesse ascoltando sul serio.
«Alors, madame, non deve preoccuparsi di nulla. Ci penseranno loro, i miei collaboratori, e sarà tutto pronto, puntuale per il vostro viaggio, glielo posso assicurare. Non so esattamente chi di loro si stia occupando dei dettagli del viaggio suo e dei suoi colleghi. Ma sarà tutto perfetto.» La voce di Ali la cullava quasi come una ninna nanna. Quando si alzò per congedarsi, dicendo che a quel punto poteva anche andare, Esi ebbe l’impressione di risvegliarsi da uno stato di trance. Incredibile. Nel frattempo, Ali non aveva ancora finito con lei. Anche lui era già saltato in piedi.
«In questo caso, mi dia solo il tempo di chiudere l’agenzia e le darò un passaggio ovunque stia andando, me lo permetterebbe?… Sarebbe un piacere.»
«Lei è davvero molto gentile Mr, ehm, Kondey, ma sarei con la mia macchina.» Esi si rese conto che qualcosa di nuovo e intrigante stava cercando di farsi sentire in quella stanza, in quel tardo pomeriggio di fine giugno. Non era così sicura di volerlo accogliere o persino di volerlo riconoscere. Perciò, sapendo che i silenzi a volte hanno un modo tutto loro di urlare strani messaggi, Esi parlò, per riempire l’aria di parole.
La conoscono bene quell’arte
i venditori di cibo…
sanno come imbottire
dove la materia prima manca, o
anche solo per guadagno:
cereali per salsicce
vermi per hamburger
più foglie per il kenkey!
«Dicevo,» continuò Esi «ho qui la mia macchina. Non che sia in ottime condizioni. In effetti, mentre venivo si è anche fermata un paio di volte. Ma…»
«Ah…» disse Ali, che fino a quel momento aveva cercato di combattere un forte senso di delusione «in questo caso, la lasci qui e venga in macchina con me. Gliela farò riportare a casa domattina presto.»
Che proposta insidiosa, stava già pensando Esi. «No, grazie di nuovo, Mr Kondey, ma sarebbe troppo complicato» disse ad alta voce.
Intanto erano passati dal suo ufficio all’area principale dell’agenzia che fungeva anche da sala riunioni. Da lì andarono direttamente fuori, e Ali chiuse l’agenzia. Individuò quella che Esi considerava una macchina, e un sorrisetto divertito fece per spuntargli sulle labbra. Soffocò un commento. E d’altronde Esi stava parlando, una mano tesa verso di lui.
«Arrivederci, Mr Kondey… E grazie ancora… Attendo allora notizie dai suoi collaboratori.» Ed ecco che apriva la portiera della macchina, si sedeva al volante, metteva in moto, e con quel ferro vecchio che tossiva come un asmatico se ne andò.
Ali, totalmente rapito dalla precisa velocità di quei gesti, si sorprese a dire: «Ma certo… Ma certo…». Dopodiché, non gli restò davvero più niente da fare se non tornarsene anche lui a casa.
Era un venerdì sera. In quanto musulmano cresciuto con una rigida educazione che nel primo pomeriggio era effettivamente stato alla moschea, c’era solo un modo di interpretare l’incontro con quella donna così affascinante: un regalo di Allah. Perciò non poteva permettere a se stesso di dispiacersi troppo per il modo in cui il loro incontro si era concluso. Se era il Suo volere, alla fine le cose sarebbero andate per il meglio.
In quell’istante, il cielo del Sud venne squarciato da un lampo fortissimo, seguito dal cupo scoppio di un tuono. Mentre saliva sulla sua solida auto di lusso, Ali aveva un solo timore: che la tempesta incombente potesse spazzare via la donna e la sua macchina. Entrambe apparivano così fragili.

2

Più avanti, da molto molto più grande, Ogyaanowa si sarebbe chiesta cosa avrebbe preferito se l’avessero consultata:
rimanere nella loro camera e assistere alla discussione dei genitori;
o stare seduta a tavola, fingendo di mangiare il porridge, e sentirli litigare da fuori.
Ma nessuno l’aveva consultata quel mattino. Dover mangiare il porridge faceva parte dei preparativi per andare a scuola. Quanto avrebbe voluto non dover andare a scuola. Quanto avrebbe voluto esserci già andata. Quanto avrebbe voluto, perché no, non doversi neanche svegliare. Non sapeva quella mattina che stava pensando tutte quelle cose. Sapeva solo che era molto infelice.
Chiedete a chiunque. Sono molti i pensieri che ci passano per la testa di cui non siamo consapevoli nel momento in cui li pensiamo. Le emozioni possono essere anche peggio.
Ogyaanowa non aveva nessuna voglia di mangiare il porridge quel mattino. Di conseguenza ci fu un incidente, e la ciotola di porridge cadde dal tavolo. La ciotola, che era di plastica, rotolò via, formando una densa striscia di porridge sul pavimento. Ogyaanowa iniziò a piangere.
Il trambusto che arrivava dalla camera dei genitori era terribile. Avevano acceso la radio, convinti che il rumore potesse sovrastare le loro voci. Ma non era così. Certo, se uno avesse cercato di ascoltare da dove era seduta Ogyaanowa non sarebbe stato in grado di distinguere le parole esatte; tuttavia, avrebbe anche capito che stava succedendo qualcosa di non proprio normale. Per la bambina, però, quella era diventata la norma. O almeno, questo è ciò che avrebbe potuto dire se qualcuno glielo avesse chiesto, e se avesse posseduto un linguaggio più da grande.
Quando aprì la porta della camera, Esi rimase parecchio stupita di vedere Oko ancora a letto.
Strano, pensò, per un uomo che prende il suo lavoro così sul serio come lui.
Si srotolò di dosso l’asciugamano, si avvicinò alla toeletta, prese quello che le serviva e posò le cose sul suo lato del letto: della crema per il corpo, lo stick del deodorante, un profumo molto delicato. Si sedette e, prendendoli a uno a uno, iniziò a preparare il corpo per la giornata.
In quanto alla giornata, era molto giovane; eppure soffiava una brezza già maturamente calda, come previsto. Di lì in avanti, all’incirca per le dieci ore successive, si sarebbero potute verificare lievi variazioni di temperatura, un centigrado in meno, qualche Fahrenheit in più. Non ci avrebbe fatto caso nessuno.
Mentre lei prendeva questo e versava un po’ di quello sul palmo della mano e massaggiava alcuni punti del corpo, Oko la osservava. Stare lì sdraiato e guardarla compiere a uno a uno i gesti della vestizione era un piacere che, soprattutto quella mattina, si stava godendo appieno. Pensò allora, come aveva pensato innumerevoli altre mattine prima di quella, che Esi non aveva perso un briciolo dell’aspetto o dei modi di una scolaretta.
Per un insegnante di scuola mista, e che presto sarebbe diventato preside, quello era senza ombra di dubbio un pensiero molto pericoloso. Rimproverò se stesso.
Esi era una donna alta. Il che rendeva Oko un uomo basso, visto che la gente in genere si aspetta che l’uomo sia sempre più alto della moglie, e lui era alto come lei. Esi era anche piuttosto snella, cosa che le dava un’eleganza che tutti le ammiravano a eccezione dei membri della sua stessa famiglia. Quando era ragazzina e viveva nel grande compound con i cugini e gli altri membri della sua famiglia allargata, doveva sempre fare estrema attenzione a non iniziare una discussione con chicchessia. Perché nessuno si lasciava sfuggire l’occasione di chiamarla pertica, canna di bambù, pestello, o con qualsiasi altra espressione che nella loro lingua descrivesse qualcosa di lungo, sottile e senza curve.
Io amo questo corpo. Ma è quel suo ombelico sfacciato a uccidermi, pensava Oko, guardando la piccola sporgenza e avvertendo un netto surriscaldamento al basso ventre.
Se la madre di Esi avesse potuto leggergli nella mente, gli avrebbe detto che quel cosino aveva quasi ucciso sua figlia. Perché, invece di guarire dopo un paio di settimane, come a tutti i bambini, quello di Esi se l’era presa comoda, al punto da farle quasi infezione. Nel frattempo, come ogni anziana del villaggio le aveva ricordato per tutta l’infanzia, Esi era stata una bimba talmente brontolona e piagnucolosa che la sua pancia aveva assunto stabilmente l’aspetto di un palloncino pieno d’aria. Cosicché anche quando era finalmente guarito, l’ombelico le era rimasto sporgente.
Presto, la camera da letto si riempì di un miscuglio di aromi.
«Non vuoi proprio alzarti stamattina, eh?» gli chiese infine Esi. Sulla scia della domanda, il sollievo la pervase come l’effetto di un buon drink. Anche perché era da giorni che la comunicazione tra loro si era arenata, ognuno spaventato all’idea di dire qualcosa che potesse rivelarsi potenzialmente esplosivo. Ed era da giorni che quasi tutto lo era.
Esi non avrebbe dovuto preoccuparsi. Oko aveva, dal canto suo, deciso di lasciarsi alle spalle quei mesi di frustrazioni e malintesi. Alle spalle di entrambi, auspicabilmente. In ogni caso, aveva deciso di dare alla loro relazione un’altra possibilità.
Se sei onesto con te stesso, ammetterai che di possibilità a questa relazione ne hai sempre date, si diceva.
Pensare a quanto aveva investito nel matrimonio con Esi, e a quanto aveva combattuto per mandarlo avanti, lo fece sentire un po’ arrabbiato e un po’ imbarazzato. Con tutte quelle c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CAMBIARE
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Glossario
  8. Copyright