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Qualcuno da onorare (I Romanzi Classic)
- 288 pagine
- Italian
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Qualcuno da onorare (I Romanzi Classic)
Informazioni su questo libro
Dopo Waterloo, il tenente colonnello Gilbert Bennington accompagna a casa in Inghilterra il suo amico e commilitone Harry Westcott. Ospite nella tenuta di campagna di quest'ultimo, vi incontra la sorella di Harry, Abigail. Sebbene sulle prime non si sopportino, ben presto si renderanno conto di non poter fare a meno della reciproca compagnia. E quando Gil parla ai due fratelli della battaglia legale che sta sostenendo per recuperare la custodia di sua figlia, Harry gli suggerisce di sposare Abigail per aumentare le sue chance di successo. I due decidono così di legarsi senza aspettative romantiche, ma questa unione basata sull'onore li porterà presto a fare i conti con un'attrazione incontrollabile...
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Informazioni
eBook ISBN
97888357160681
Finalmente a casa!
Be’, perlomeno, finalmente di ritorno in Inghilterra. Erano passati venti mesi dal suo ultimo breve e disastroso soggiorno lì, dopo la battaglia di Waterloo, nel 1815. Ora era tornato.
Ma mentre il tenente colonnello Gilbert Bennington, Gil per i suoi amici e conoscenti, sbarcava dal traghetto a Dover, dopo la traversata notturna da Calais, avvertiva solo stanchezza, irritazione e il cupo presentimento che il suo ritorno a casa non avrebbe comportato un “e vissero per sempre felici e contenti”.
Fece una smorfia alla vista dell’elegante carrozza da viaggio, con lo stemma ducale inciso sugli sportelli, ferma sul molo, perché era evidente che aspettava lui. O, più specificamente, Avery Archer, duca di Netherby, uno dei suoi tre compagni di viaggio. Gil avrebbe di gran lunga preferito noleggiare un calesse, ma avrebbe dovuto immaginare che solo un veicolo di opulento splendore sarebbe andato bene a Sua Grazia sul proprio suolo natale. E Gil doveva ammettere, benché con una certa riluttanza, che quel mezzo di trasporto sarebbe andato molto meglio, rispetto a un calesse, per un altro dei loro compagni, Harry. Harry aveva il viso terreo per la stanchezza.
Gil non aveva in programma di avere tre compagni di viaggio. Aveva appena trascorso un anno sull’isola di Sant’Elena, come membro della guarnigione che sorvegliava Napoleone Bonaparte durante il suo secondo esilio. Non appena aveva fatto ritorno, su una nave diretta in Francia invece che in Inghilterra per la semplice ragione che era la prima nave ad aver lasciato l’isola dopo che il suo incarico era terminato, era andato a Parigi. Lì aveva scoperto, del tutto casualmente, che il suo vecchio amico e compagno d’armi, il maggiore Harry Westcott, che credeva morto a Waterloo, stava trascorrendo la convalescenza in un ospedale militare. Gil lo aveva visto l’ultima volta dopo la battaglia, quando le sue ferite sembravano mortali. Ma, contro ogni aspettativa, Harry era sopravvissuto… a malapena. E dopo oltre un anno e mezzo scalpitava per tornare a casa, anche se i medici gli sconsigliavano decisamente di affrontare un viaggio così faticoso. Non si era ancora rimesso del tutto.
Gil si era offerto di accompagnarlo e Harry aveva colto al volo l’occasione. Lo aveva invitato a fermarsi un po’ da lui, una volta rientrati in patria, e Gil aveva accettato. Voleva tornare in Inghilterra. Aveva bisogno di essere lì. Ma era riluttante ad affrontare il viaggio fino a casa propria. Aveva delle cose da fare, prima.
Tuttavia, all’ultimo momento, due parenti di Harry erano arrivati a Parigi, con l’intenzione di riportarlo in patria con loro. E anche se Harry era un membro illegittimo della famiglia, i suoi parenti erano aristocratici e molto potenti. Erano Avery Archer, un tempo tutore di Harry (prima che si scoprisse la sua illegittimità) e ora suo cognato, e Alexander Westcott, conte di Riverdale, capo della famiglia e detentore del titolo che un tempo era stato di Harry, sempre prima che si scoprisse che era un figlio illegittimo.
A quanto Gil era riuscito a capire, era una famiglia un po’ complicata. Harry non ne aveva mai parlato molto.
Avevano viaggiato insieme, tutti e quattro, anche se Gil aveva cercato di tirarsi indietro. Non si sentiva affatto a suo agio in compagnia di un gruppo di aristocratici. Nonostante il suo grado militare elevato, in realtà era un figlio di nessuno, illegittimo come Harry. Uno straccione, per chiamare le cose col loro nome. Ma Harry lo aveva pregato di non cambiare idea, così Gil era andato. Il suo amico avrebbe avuto bisogno di lui, una volta che i suoi parenti, dopo averlo riaccompagnato a casa, fossero tornati dalle loro famiglie.
— Ah — disse il duca di Netherby scrutando la propria carrozza attraverso il monocolo. — Una vista rinfrancante. Quanto avevi scommesso, Harry, sul fatto che la mia carrozza non sarebbe stata qui?
— Assolutamente nulla, se ben ricordi — rispose Harry. — Arrivare in ritardo costerebbe al tuo cocchiere la vita, o, quantomeno, lo stipendio.
— Proprio così — confermò Sua Grazia con un sospiro. — Cerchiamo una locanda nelle vicinanze e godiamoci una buona colazione inglese. Sono certo che avranno anche un bell’osso succulento.
L’osso succulento sarebbe stato per la cagna di Gil, un imponente esemplare di razza indefinita, che lo aveva seguito da Waterloo in Inghilterra, poi a Sant’Elena, in Francia e di nuovo in Inghilterra. Se ne stava ansante al fianco di Gil, felice – riteneva lui – di avere di nuovo le zampe sulla terraferma. Pochi attimi dopo, era all’interno della carrozza del duca di Netherby insieme a tutti loro, sdraiata come un grande tappetino peloso sui piedi di Gil e in buona parte anche sugli stivali di Riverdale.
La carrozza li portò, con un breve tragitto, fino a quella che Gil era certo fosse la migliore locanda di Dover, dove tre di loro consumarono una lauta colazione e Harry sbocconcellò con scarso entusiasmo un pezzetto di pane tostato. Sua Grazia chiese poi carta, penna e inchiostro e scrisse un breve messaggio per informare la sua duchessa che erano giunti sani e salvi in Inghilterra e avevano cambiato la destinazione a cui erano diretti. I parenti di Harry avrebbero voluto portarlo a Londra, dove lo aspettavano altri familiari, tra cui sua madre, la marchesa di Dorchester, e una delle sue sorelle. Ma Harry aveva insistito per andare a Hinsford Manor nello Hampshire, dove era cresciuto. Voleva la quiete della campagna, aveva spiegato a Gil. Più precisamente, voleva evitare di essere coperto di attenzioni, cosa che gli sarebbe di certo accaduta se fosse andato a Londra.
Dopo aver dato disposizioni perché il messaggio venisse recapitato, Sua Grazia raggiunse gli altri tre nella carrozza, che si diresse verso nord senza ulteriori indugi. Di certo era una carrozza comoda, dovette ammettere Gil. Attirava anche l’attenzione di tutti i passanti, che rimanevano a fissarla a bocca aperta.
Seduto sul sedile di fronte a lui, accanto a Riverdale, Harry era ancora più pallido del solito, ammesso che fosse possibile, e smagrito fino al punto da apparire emaciato. Il suo bell’aspetto e il suo fascino energico e sempre solare lo avevano abbandonato. Aveva ventisei anni, otto meno di Gil. Per i primi sei mesi dopo la battaglia di Waterloo, i medici militari si erano aspettati, di giorno in giorno, che Harry morisse. Dopo il primo mese, era stato portato a Parigi: perché non lo avessero rimandato in Inghilterra, nessuna delle autorità militari sembrava saperlo. Per altri sei mesi, aveva avuto un’infezione e una febbre dopo l’altra, solo per essere costretto ad affrontare, cinque mesi dopo, un’operazione dolorosa e molto pericolosa per rimuovere una pallottola che gli era rimasta dentro e che, secondo i chirurghi, si era spostata troppo vicino al cuore. Lo avevano avvertito: estrarla, con molta probabilità lo avrebbe ucciso. Non farlo, lo avrebbe ucciso di sicuro. Harry era sopravvissuto a quell’ordalia, ma le rinnovate febbri e infezioni lo avevano quasi ucciso comunque.
Gil sperava che la fatica di quel viaggio non completasse l’opera che tutte le febbri e le infezioni non erano riuscite a portare a termine. Sperava che Harry sopravvivesse al viaggio.
— Devi essere felice di trovarti di nuovo in Inghilterra, Harry — disse Riverdale. — Anche se è un peccato che tu abbia ricevuto una tipica accoglienza inglese. — Accennò al finestrino: grosse nuvole scure incombevano su un paesaggio sferzato da un vento impetuoso e da una pioggia scrosciante.
— In effetti è una sensazione piacevole — disse Harry, contemplando la scena. — Ma ho pensato e riflettuto. Immagino sia del tutto possibile che su di me non si precipiti solo la pioggia, nella prossima settimana o giù di lì. Pensate che sia possibile che la famiglia venga a trovarmi, dato che io non sto andando a Londra a trovare loro?
— Di certo non scommetterei contro questa ipotesi — disse Alexander. — Hanno aspettato tutti con trepidazione il tuo ritorno a Londra. Dubito che il fatto che tu invece abbia scelto di andare a Hinsford li scoraggerà. In fin dei conti, non è molto distante da Londra.
— Al diavolo! — mormorò Harry, chiudendo gli occhi e appoggiando la nuca contro lo schienale imbottito del sedile.
— Immagino — aggiunse Riverdale — che tu abbia scelto di andare direttamente a Hinsford almeno in parte per evitare tutta la confusione che ti aspettava in città.
— Sì, almeno in parte — ammise Harry, poi inaspettatamente scoppiò a ridere, senza aprire gli occhi. — Avrei dovuto immaginarlo. E se lo avessi fatto, mi sarei sentito in dovere di metterti in guardia, Gil. Non esiste famiglia in Inghilterra che si stringa intorno ai propri membri come fanno i Westcott, e questo vale anche per quelli che sono sposati agli Archer e ai Cunningham e agli Handrich e ai Lamarr e… Ne ho scordato qualcuno? Una volta che sei un Westcott, lo resti per sempre, a quanto pare. Anche se sei un bastardo.
— Sai che è una parola che non usiamo mai in famiglia, Harry — disse Riverdale. — Per favore, se non a te stesso, pensa almeno alle tue sorelle, quando la pronunci.
Gil, senza darlo a vedere, stava desiderando ardentemente che a Harry fosse venuto in mente di avvertirlo che la sua affettuosa famiglia sarebbe probabilmente calata in massa su di lui anche se Hinsford si trovava a una certa distanza da Londra. La maggior parte dei suoi parenti si sarebbe già trovata a Londra per la sessione primaverile del Parlamento e per le attività sociali della Stagione. Avrebbe dovuto immaginarlo, ovviamente, quando quei due uomini erano apparsi inaspettatamente a Parigi, in rappresentanza della famiglia. Ma non gli era venuto in mente che anche gli altri si sarebbero spostati in campagna per far visita a Harry, una volta che fosse arrivato a casa.
Dopotutto, nessuna famiglia si era mai stretta intorno a lui, né quella di sua madre – l’avevano buttata fuori di casa, senza avere mai un ripensamento, quando era rimasta incinta – né quella di suo padre. Il massimo che il padre aveva fatto per lui era stato comprargli un incarico da sottufficiale in un reggimento di fanteria dopo che gli era giunta voce della morte di sua madre. All’epoca Gil era sergente in un reggimento britannico in India. Più tardi, aveva comprato al figlio anche il grado di tenente, ma in quell’occasione Gil gli aveva scritto, e non per ringraziarlo. Perché mai avrebbe dovuto ringraziare un padre che aveva ignorato la sua esistenza per oltre vent’anni, solo per apparire dal nulla all’improvviso con un regalo che lui non aveva chiesto né desiderato? Gil gli aveva scritto per informarlo che non aveva bisogno di ulteriore sostegno e che, se gli fosse stato offerto, lo avrebbe rifiutato. All’epoca aveva desiderato ardentemente essere ancora un sergente. Era stato più felice in mezzo a persone del suo stesso ambiente.
Lui e Harry avevano combattuto insieme sulla Penisola, a Tolosa e a Waterloo. Erano diventati subito amici, forse perché avevano una cosa in comune, a parte il reggimento e le esperienze militari: erano entrambi bastardi – sì, tanto valeva dire pane al pane – in un esercito di aristocratici. Almeno per quanto riguardava gli ufficiali. Il duro lavoro e il valore, il talento e la dedizione ai propri uomini e alla propria missione nelle tende e nelle mense riservate agli ufficiali contavano meno di nobiltà di nascita e patrimonio. Oh, Gil e Harry non erano mai stati ostracizzati apertamente, ma era stato sempre fatto loro percepire, in modi sottili e a volte neanche tanto, che erano degli estranei. Che quello non era esattamente il loro posto. Che la loro presenza suscitava un po’ di imbarazzo. A volte, più di un po’.
Gil guardò fuori dal finestrino della carrozza, osservando la campagna tetra, anche se erano solo le nubi scure e la pioggia a causare quel senso di cupezza. Era l’Inghilterra, e lui provò un moto spontaneo di affetto per la propria terra natia, anche se non aveva molti ricordi felici associati a essa.
Aveva una casa sua, lì, Rose Cottage nel Gloucestershire, acquistata durante gli anni di servizio in India, quando, grazie ai premi ricevuti, aveva accumulato quella che allora gli era sembrata – e ancora gli sembrava – una fortuna. Aveva investito quanto ne restava dopo l’acquisto della casa, assumendo un agente a Londra a cui aveva deciso di dare fiducia, evidentemente con buoni risultati. Da quel momento in poi avrebbe potuto vivere come un gentiluomo, se avesse scelto di lasciare l’esercito. Tuttavia, non lo aveva fatto. Né allora né in seguito. L’esercito era l’unico mondo che conosceva da quando aveva lasciato la sua casa, all’età di quattordici anni, sotto la ruvida tutela di un sergente reclutatore e, tutto sommato, ci si era trovato bene. La vita militare gli si addiceva.
In realtà, era tornato a casa dopo la battaglia di Tolosa, nel 1814, portando con sé la moglie incinta. L’aveva portata a Rose Cottage, che – nonostante il nome – era molto più grande di un cottage. Ed era tutto suo. La sua ancora nel mondo. Il luogo in cui avrebbe messo radici. Il luogo dove avrebbe cresciuto la sua famiglia. Casa. Il suo sogno di felicità era diventato sempre più reale quando era nata Katy… Katherine Mary Bennington. Ah, quel giorno di incredibile gioia, dopo ore di dolori per Caroline e di ansia per lui. Quella bimba dai capelli scuri. Quel piccolo fagotto tiepido di chiassosa umanità.
Sua figlia.
Era stato un breve intervallo nella sua vita, troppo doloroso per soffermarcisi con la memoria. Per questo lo faceva di rado. Ma alcuni ricordi andavano oltre il pensiero conscio. Erano lì, sempre, come un peso di piombo, o una ferita aperta che non lo avrebbe ucciso, ma che allo steso tempo non si rimarginava mai.
Il suo “e vissero per sempre felici e contenti” aveva iniziato a sgretolarsi quando Caroline, terminato il periodo di reclusione imposto dalla gravidanza, era diventata più irrequieta del solito e aveva iniziato a lamentarsi delle dimensioni ridotte della casa, del grigiore del piccolo villaggio ai margini del quale si trovava e della loro insipida vita sociale. Era franato ulteriormente poco più di tre mesi dopo la nascita di Katy, quando Gil era stato richiamato presso il suo reggimento, dato che Napoleone Bonaparte era fuggito dal luogo del suo primo esilio sull’isola d’Elba e aveva fatto ritorno in Francia per radunare intorno a sé un altro poderoso esercito.
Caroline avrebbe voluto andare con lui, lasciando la bambina a sua madre. Gil si era opposto. Viaggiare al seguito di un’armata non era una vita adatta a una signora, anche se Caroline lo aveva fatto per alcuni mesi prima che lui la sposasse, quando la madre l’aveva portata sulla Penisola, una volta completati gli studi riservati alle fanciulle aristocratiche. Inoltre, una bambina aveva bisogno della madre, di una casa, del sostegno economico del padre e della promessa che lui sarebbe tornato non appena possibile. Una bambina, in realtà, aveva bisogno di entrambi i genitori, ma la vita non era sempre perfetta. Gil aveva cercato di renderla sicura e comoda per lei quanto più possibile, date le circostanze.
Quando si era precipitato a casa dopo Waterloo, allarmato dalle lettere sempre più contrariate della moglie infelice, lei era scomparsa. Anche la bambina. E la tata. Nessuno – né i servitori né i vicini – aveva idea di dove fossero andate né di quando sarebbero tornate. Da allora, non aveva più visto nessuna delle due, anche se sapeva che Katy era in Essex e viveva con i nonni, il generale sir Edward Pascoe e la moglie, dai quali, senza che lui ne fosse a conoscenza, era stata portata prima di Waterloo, poco dopo che lui era partito per il Belgio. Lady Pascoe si era rifiutata di lasciargliela vedere, quando lui si era precipitato a casa loro, sconvolto dalla notizia. Caroline, aveva scoperto in seguito, era andata a una festa in campagna a casa di vecchi amici, e di lì a un’altra festa e poi a un’altra ancora. Gil non aveva potuto continuare a reclamare sua figlia né andare in cerca della moglie errante, perché era stato improvvisamente e inaspettatamente mandato di stanza a Sant’Elena. Senza dubbio grazie al generale Pascoe.
Katy era ancora con i nonni. Caroline era morta. La notizia della sua scomparsa lo aveva raggiunto a Sant’Elena.
Ora, dopo oltre un anno, la situazione era diventata più complessa. Il generale Pascoe era tornato a casa e lui e sua moglie erano determinati a mantenere la custodia di Katy. Avevano assunto un avvocato, decisi a far sì che la vicenda si concludesse rapidamente – e legalmente – a loro favore. Potevano usare contro di lui due lettere dai toni irati e minacciosi che aveva scritto loro da Sant’Elena, oltre alla testimonianza di lady Pascoe sulle visite sconvolte e cariche di pretese che Gil aveva fatto a casa del generale e alle bugie che Caroline aveva raccontato quando aveva affidato la figlia alla madre. Lo avrebbero fatto apparire come un uomo violento, incapace di controllo e inadeguato come padre.
Il primo istinto di Gil, una volta lasciata Sant’Elena, sarebbe stato quello di tornare il prima possibile in Inghilterra per strepitare contro i parenti acquisiti finché non gli avessero restituito la figlia e lui avesse potuto riportarla a casa. Tuttavia, alla fine aveva prevalso una saggezza più pacata e Gil aveva assunto a sua volta un avvocato, raccomandatogli dal suo agente come il migliore di Londra. E Grimes – dello studio legale Grimes, Hanson e Digby – aveva insistito, nella lettera che gli aveva scritto subito dopo la firma del contratto, affinché lasciasse la questione della custodia della figlia nelle sue mani, senza fare assolutamente nulla in prima persona.
Non fare nulla fu la cosa p...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- QUALCUNO DA ONORARE
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
- 18
- 19
- 20
- 21
- 22
- 23
- Epilogo
- Copyright