Tegan Moore (www.alarmhat.com) è una scrittrice e addestratrice professionale di cani che vive nel Nordovest della costa del Pacifico. Le piace mangiare tagliatelle, passeggiare sotto la pioggia e leggere storie che fanno paura. Ha pubblicato racconti su varie riviste, incluse «Beneath Ceaseless Skies», «Asimov’s» e «Tor.com», e gestisce il Clarion West One-Day Workshops. Potete seguire i suoi cani oscenamente carismatici su Istagram, a @temerity.dogs.
Sono un bravo cane.
Le piste di odore sono già infrante dal vento tanto quanto le zone apocalittiche attraverso cui si snodano e il fumo di un incendio distante poco meno di un chilometro, verso sudest, aggiunge un altro strato di complessità al tutto. Seguire una singola pista è come seguire le radici di una pianta strettamente intrecciate nel terreno.
No, meglio ancora, è come fare ordine fra gli alberi caduti dopo questa tempesta. È difficile dire dove comincia uno e un altro finisce, cosa appartiene a chi e da dove arrivano le diverse parti.
Questo è un “è come” davvero eccellente. Lo metto da parte per conservarlo con gli altri altrettanto buoni.
Superato quel settore, mando le letture finali a Carol tramite DAT. Lei è dietro di me insieme all’assistente da campo, in piedi sul cofano di una macchina. Sento il tick sommesso e distante quando lei riceve il DAT.
«Sera» chiama, «rallenta e rimani nel mio campo visivo.»
Secondo la procedura standard si dovrebbe affrettare a seguirmi invece di strillare dal cofano di un’auto fracassata. Non ho il tempo di aspettarla.
“Pressione barometrica in calo” trasmetto al suo DAT. Con la coda dell’occhio la vedo portare la mano al ricevitore che ha nell’orecchio mentre seguo la linea delle fondamenta, dove un tempo c’era una casa prefabbricata. Abbastanza significativa da indicare l’avvicinarsi di altre tempeste. «Sera» dice il mio DAT, ma posso sentire anche la voce di Carol che mi arriva al di sopra della distesa di macerie fatta di travi, tegole strappate dai tetti, pezzi di mobilio e pezzi di stoffa ritorti. Scende a fatica dal cofano, in mezzo ai detriti. «Rimani nel campo visivo, dannazione. Rallenta!»
Adesso è troppo lontana per dirigere o anche solo accompagnare la mia ricerca. Non ho bisogno di direttive, ma quanto maggiore è la distanza fra noi, tanto superiore è la probabilità di un’occasione perduta. Lei è lenta, forse in modo deliberato. Questo cosa indica? Avrà un impatto negativo anche sulla rapidità con cui registrerà il mio avvertimento?
Salto su un muro di contenimento intatto da dove posso avvertire la sfumatura fresca della brezza. Da lì è più facile vedere la distruzione per ciò che era prima della tempesta: monconi spezzati dove è possibile che i cani alzassero la zampa, marciapiedi lungo i quali correvano biciclette e skateboard, vialetti di accesso. Qua e là alcune case sono ancora in piedi, con i detriti ammucchiati contro le fondamenta. Fra pochi giorni quei mucchi diventeranno un rifugio per ratti e topi. In lontananza ci sono alcuni umani, non bersagli che ho già escluso dalla mia cache, persone che vivevano qui e che adesso frugano fra i detriti lasciati dalla tempesta. Vorrei dare loro un “è come”, ma non ce n’è il tempo. Sto lavorando, e la mia priorità è fare il miglior lavoro possibile.
Rivolgo il naso nella direzione da cui giunge il vento.
L’aria fredda che penetra oltre l’umidità delle mie narici è piena di storie, direzioni, contorte conversazioni rimaste a metà. La vista mi si appanna, diventa irrilevante, i suoni schioccano qua e là, ma adesso sto pensando con il mio olfatto.
Incendio da cavi della corrente spezzati che si sposta da questa parte in maniera irregolare a causa degli imprevedibili cambiamenti nella direzione del vento.
Zolle rivoltate, erba spezzata, terriccio sconvolto, prodotti chimici, più lontano delle fognature ci devono essere sistemi di acque reflue in alcune di queste unità prefabbricate, ma sono intrappolate e non stanno ancora filtrando.
Vecchie tracce umane, ansia, adrenalina, panico, un sentore residuo di cadavere che è stato rimosso, non è il mio bersaglio.
Cemento infranto, assi di pino spezzate e scheggiate, compensato fradicio, imbottitura di arredi zuppa d’acqua.
Esplosione di braci quando le fiamme prendono forza con il vento e poi ripiegano su loro stesse.
Detriti causati da vento, distanza, tempo, deterioramento, eventi locali, irrilevante.
Una ragazza.
A nord, molto debole, filtrato attraverso una quantità di linfa verde dei rami freschi degli alberi abbattuti, ma…
Contatto Carol. Interessante. Segna posizione, nord-nordovest. Inspiro di nuovo, profondamente, attraverso il naso per avere una conferma. Da questa parte.
“Aspetta aiuti.” Anche attraverso il DAT sembra che Carol sia senza fiato.
Non posso aspettare, devo fare il mio lavoro. Carol e Devin, l’assistente di campo, mi possono rintracciare tramite il GPS dei DAT. Io devo seguire questo indizio di Ragazza.
Attraverso una siepe e ho già perso l’odore, ma un momento più tardi un ricordo di Ragazza passa nell’aria e la mia testa si gira verso l’odore tanto in fretta da farmi pizzicare un muscolo del collo prima che il corpo la possa seguire. Mi muovo con la massima rapidità concessa dal mio naso, ogni passo deciso per me dall’odore e da ciò che dice dovrei fare.
Il mondo scompare quasi del tutto, ci sono soltanto il mio naso, l’odore e la reazione allo stimolo, finché un autoarticolato non emette un ruggito a venti metri di distanza e mi riporta di scatto in una dimensione audiovisiva.
Stavo seguendo una recinzione anticicloni lungo una zona residenziale. La tempesta ha aperto alcuni buchi qua e là nella recinzione e al di là di quelle aperture le auto di passaggio sull’interstatale rallentano per osservare i danni. Il semiarticolato usa di nuovo il clacson, intrappolato dietro la colonna di rallentamenti.
Il suo ruggito mi fa pensare a Mack e all’odore del suo sangue caldo e scuro mentre si allargava sull’asfalto. Ricordo di aver avvertito nella pelle e nei muscoli il desiderio di rotolarmi in quell’odore. Un istinto da cane. Non mi sarei dovuta fermare a guardarlo, quando è successo, ma mi serviva una conferma che fosse morto.
Irrilevante per la mia ricerca attuale. Scuoto la testa per liberare gli occhi dalla polvere spinta dal vento e mi giro di nuovo verso di esso, protendendomi. Segnalo a Carol la mia posizione – un mero promemoria, dato che lei sa come trovarmi – poi mi metto in caccia nel vento.
È ancora là, ma la sua storia è incerta e controversa, il suo flusso è tutto mulinelli e polle, linee tutte spezzate dal clima, un puzzle di colore e di sensazioni. Forse un umano con un computer potrebbe mappare le parti del puzzle, ma tempo e movimento hanno fatto danzare, tremare, scuotere e tossire queste piste fino a farle uscire dallo spettro sensoriale umano.
I cani sono meglio delle macchine nel districare questo genere di grovigli. Peraltro tutti questi infranti detriti umani, le tempeste che ogni anno si fanno più violente e frequenti, l’infinito desiderio di un lavoro sempre più perfetto… queste cose rendono il lavoro troppo complesso per il naso di un cane. Quanto meno, di un cane normale.
È per questo che io sono la soluzione, che sono un bravo cane, migliore di quanto fosse Mack. Per questo Carol dovrebbe fare le cose alla mia maniera.
La sua voce mi arriva attraverso il DAT. “Devin e io siamo cento metri più indietro. Sera, se la pista attraversa la superstrada, non la seguire. È un ordine.”
Prima che possa rispondere, il vento si insinua contorto nelle mie narici. Ragazza.
Quel rivolo di odore del bersaglio si avvolge intorno al mio centro olfattivo. Il bersaglio è il mio obiettivo primario. Invio a Carol la mia direzione mentre mi metto a correre, con una parte automatica del cervello che ricorda le direttive per il lavoro sul campo. Devo comunicare le informazioni rilevanti al mio addestratore, ma sono obbligata a seguire i suoi ordini solo nei limiti del ragionevole. Oggi trovo che ben pochi dei suoi ordini siano ragionevoli.
Adesso che sono immersa nel cono dell’odore, quasi non ci vedo, non penso con quella parte della mia mente. L’odore è più vivido di qualsiasi colore, con questo clima opaco oppresso da pesanti nuvole. È un sentiero viscoso e inspessito, facile da seguire. Adesso posso girare la testa senza perdere la pista, ma la sento contorcerci ed esercitare una trazione attraverso il tempo e lo spazio, si rafforza da questa parte, sbiadisce dall’altra, si ritorce su di sé. So che se la si distendesse si muoverebbe in modo diverso, capisco come si sia piegata e spezzata nel corso del tempo. È tutto un trucco del tempo.
Arrivo a un mulinello. Un cane a me inferiore – uno normale, come Mack – esiterebbe o perderebbe la pista. Io attraverso la trappola dell’odore e mi arrampico su un frammento di tetto infranto. La pista riluce dall’altro lato, dove il terreno è freddo e fradicio sotto i cuscinetti delle mie zampe.
Cinque metri più avanti un’oscillazione del vento si ripiega indietro nel tempo e mi muovo con essa attraverso una fitta macchia di pini, intrisa dell’acido e intenso odore della resina. Ci ho piantato dentro i denti, posso sentire la pista solleticare sotto la mia…
Ragazza.
“Indicazione” trasmetto. Mi insinuo sotto un pino abbattuto dal vento e i suoi odori di legno spezzato. Gli aghi mi sfiorano la faccia. “Odore del bersaglio intenso.”
La voce di Carol. «Dove sei?»
Domanda irrilevante. Ha accesso al GPS.
Torsione della pista verso sinistra attraverso.
Vecchio odore di Ragazza rilevante.
Altri odori di bambino, un’ampia collezione di odori di piccola vita umana in questo tratto di foresta. Assi spezzate rifiuti che marciscono foglie ammuffite.
Ragazza.
Raggiungo e supero un altro albero abbattuto ricco di odori di putrescenza e i miei orecchi si muovono di loro iniziativa perché ci sono suoni umani nelle vicinanze. Affondo maggiormente la testa nello spazio sotto l’albero con i vecchi odori e quello intenso di Ragazza e…
Allarme.
Ragazza.
Bersaglio. Acquisito obiettivo primario.
Sì.
Sono un bravo cane.
Bersaglio. Ragazza ansima piano, dice: «Aiuto». Inspiro profondamente il suo odore. Allarme.
Ma Carol risponderà…
«Ricevuto» mi comunica. «Stiamo arrivando.»
Bene sì.
Sono un bravo cane.
Mando di nuovo a Carol le mie coordinate GPS come riconferma, anche se posso vedere dal DAT che è a circa cento metri di distanza, oltre la distesa di detriti. «Aiutami, cagnolino» dice la Ragazza bersaglio. La sua voce risuona come il vento, sommessa e umida. Questo è un buon” è come”. L’albero che sa di fatiscenza la blocca in un ammasso di detriti – assi, riviste e una coperta –, in una fitta macchia di cespugli e di pini, a una certa distanza dall’abitato. Una piccola mano libera si protende verso la mia testa viscida di fango. «Bravo cagnolino» dice. «Sono bloccata. Aiutami.»
Con quel denso schermo visivo può essere difficile per la mia squadra localizzarmi. Indietreggio dalla posizione della Ragazza bersaglio e mi dirigo verso il limitare della foresta.
«Cagnolino» sussurra. «Aspetta, cagnolino, no, aspetta.» C’è un gorgoglio nel suo respiro ansimante, forse un polmone collassato, il che spiega perché...