
- 240 pagine
- Italian
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eBook - ePub
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Impavida (I Romanzi Oro)
Informazioni su questo libro
Ailis, erede del clan MacFarlane, si prende cura dei tre figli illegittimi della sua compianta sorella, ma per suggellare un'alleanza è costretta al fidanzamento con Donald MacCordy, uomo brutale e violento. Gli eventi precipitano quando viene rapita insieme ai bambini da Alexander MacDubh, capo del clan rivale e nemico giurato dei MacFarlane. Alex agisce in cerca di giustizia, ma rimane folgorato dalla sua splendida prigioniera e anche Ailis, dapprima restia, cede ben presto al fascino del suo aguzzino. Ormai alleati, i due escogitano un piano comune per vendicarsi delle rispettive famiglie, ma non hanno fatto i conti con il sentimento potente e inaspettato che sta per travolgere entrambi...
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Informazioni
eBook ISBN
97888357160061
Scozia
1375
— Un brindisi alla sposa che un giorno, con il frutto del suo grembo, sancirà l’unione tra i MacFarlane e i MacCordy.
La sposa, Ailis MacFarlane, strinse gli occhi scuri e studiò gli uomini seduti alla tavola d’onore della grande sala di Leargan. Con le labbra contratte per la furia crescente, dischiuse i denti bianchi e perfetti e sorseggiò controvoglia un goccio di vino dal calice decorato. Le nocche delle sue dita lunghe e affusolate erano bianche come ossa, eppure non riuscì ad allentare la presa neppure dopo aver posato la coppa sul drappo ricamato che ornava il tavolo. Sotto il pesante tavolo di quercia batteva convulsamente lo stivaletto. Doveva sfogare la sua rabbia. Nessuno degli uomini che così allegramente brindavano e facevano progetti sembrava badare a lei e alla sua collera.
Si chiese se le avrebbero mai prestato attenzione se si fosse alzata e avesse urlato tutta la sua rabbia. Probabilmente no, rifletté. Di rado si interessavano a lei o a quello che provava. Lanciò un’occhiata di fuoco a Donald MacCordy.
Il pretesto per quei festeggiamenti sempre più chiassosi era il suo fidanzamento con Donald MacCordy, figlio maggiore ed erede del signore di Craigandubh. Quell’unione avrebbe rafforzato la loro alleanza d’armi. In quel modo le famiglie sarebbero state fianco a fianco nella lotta contro i nemici, il cui numero aumentava di giorno in giorno.
Per anni i MacFarlane avevano tentato di stringere un’alleanza con i MacCordy e in alcune occasioni erano corsi in aiuto gli uni degli altri. Adesso il loro sarebbe stato un legame più forte, sancito da un’eredità comune: i figli che sarebbero nati dalla coppia. E che non erano stati ancora concepiti, nonostante gli audaci tentativi di Donald ogniqualvolta gli capitava di trovarla da sola, pensò Ailis infuriata.
Nei giorni precedenti Ailis aveva fatto di tutto per evitare l’uomo che presto avrebbe dovuto sposare. Era tanto risoluta a rimandare il giorno in cui MacCordy avrebbe fatto di lei una donna, quanto quel lascivo di Donald era ansioso di anticiparlo. Le sue mani umidicce erano troppo leste e nauseanti. Le labbra, così carnose, le ricordavano le sanguisughe tanto utili ai dottori. All’ennesimo brindisi in onore delle nozze imminenti, Ailis alzò il calice e sperò che contenesse del veleno. Eppure amava troppo la vita, anche se significava essere schiava di Donald MacCordy.
Ailis, che aveva vent’anni, sapeva di essere più che pronta per il matrimonio. Lo zio, suo tutore, non aveva discendenti e, essendo lei la sola sopravvissuta dei figli dell’unico fratello, avrebbe potuto ereditare la piccola ma prospera tenuta di Leargan. Le probabilità che la nuova moglie dello zio, Una, giovane adorabile e un po’ ingenua, potesse dargli ancora un erede erano remote e diminuivano con il passare dei giorni che la donna trascorreva nelle grinfie di Colin MacFarlane. A spingere i MacCordy ad accettare Ailis come sposa per il loro futuro signore erano state la brama di possedere Leargan e la volontà di rafforzare l’alleanza tra i due clan.
All’improvviso Ailis si irrigidì. D’un tratto aveva realizzato che in tutti i discorsi fatti sul matrimonio, la dote e il futuro dei loro clan, mai si era parlato dei suoi nipotini. Da quando sua sorella Mairi era morta due anni prima, Ailis si prendeva cura dei tre bambini nati dalla relazione che lei aveva avuto per sei anni con un uomo selvaggio di cui non si conosceva l’identità. Rath e Manus, i gemelli di sette anni, e Sibeal, la sorella di cinque, erano la sua unica fonte di gioia. Ora cominciava a temere che non le avrebbero permesso di tenere i bambini con sé. Decise che era giunto il momento di scoprirlo una volta per tutte.
— Zio, che ne sarà dei figli di mia sorella? — chiese.
— Abbiamo pensato anche a loro — rispose freddamente Colin MacFarlane. Il tono della voce era calmo.
Ailis non si fidava della tranquillità che le parole dello zio sembravano rivelare, tranquillità ribadita anche dal sorriso di Donald. — Non pretendo che venga concesso loro molto denaro — spiegò Ailis. — Vorrei solo che rimanessero sotto la mia custodia come avrebbe voluto mia sorella e come le ho promesso.
— Siamo tutti a conoscenza di quella promessa, ragazza. Non ti devi preoccupare.
Quindi lo zio la ignorò e continuò a bere. Ailis imprecò sottovoce e alcuni minuti dopo sgattaiolò via per raggiungere le sue stanze. Restare e prendere parte ai chiassosi festeggiamenti in onore del suo fidanzamento era come danzare al proprio funerale. Era in trappola e tutti lo sapevano, come del resto sapevano che lei avrebbe preferito sposare uno dei cavalieri del diavolo piuttosto che Donald MacCordy.
— A pensarci bene, forse Donald MacCordy è uno dei cavalieri del diavolo — mormorò Ailis fermandosi dinnanzi all’uscio dell’umida stanzetta che era stata concessa ai figli della sorella morta.
Lo zio aveva dato loro quello squallido alloggio con riluttanza. Colin MacFarlane chiamava i bambini “il trio dei bastardi”. Spesso Ailis doveva trattenersi dalla tentazione di schiaffeggiare l’uomo, tanto il suo comportamento feriva i bambini. E loro avevano già sofferto abbastanza. Anziché essere accolti a Leargan con affetto ed essere consolati, i piccoli erano stati segregati in una stanzetta piena di spifferi da un uomo freddo e insensibile. Ad Ailis non era neppure concesso di tenere i bambini con sé nelle sue stanze, di gran lunga più comode. Le poche volte che ci aveva provato, lo zio li aveva fatti riportare a forza nel loro alloggio perché, così sosteneva, la stanza di Ailis presto sarebbe diventata la sua camera nuziale, e lo sposo non avrebbe gradito trovarla affollata di bastardi. La ragazza aveva ricacciato indietro la rabbia, perché sapeva che per il bene dei nipotini era meglio lasciar correre anziché continuare a litigare.
Ailis entrò nella stanzetta dei bambini senza fare rumore e li guardò in volto, cercando per l’ennesima volta un indizio sull’identità del padre. Nessuno era riuscito a impedire a Mairi, che ormai aveva perso il senno, di incontrare l’amante, anche se in verità, dopo la morte del padre, nessuno ci aveva provato veramente. I gemelli erano già nati, e Mairi non era più una donna da marito. Solo una volta Ailis si era abbassata a seguirla, ma alla fine era riuscita solo a perdersi. Tutti i tentativi di costringere Mairi a confessare il nome dell’uomo erano stati vani, nonostante il forte legame che le univa.
Sebbene Ailis sentisse molto la mancanza della sorella, spesso le era capitato di pensare che forse per Mairi era stato meglio morire prima della madre e prima che lo zio diventasse con la forza il loro tutore. Colin MacFarlane avrebbe reso la vita della povera Mairi, malata d’amore, un inferno. Ailis non credeva che sarebbe riuscita a proteggere la sensibile Mairi dall’astio di Colin più di quanto, ora, riuscisse a proteggere i suoi figli.
I tre bambini la guardarono sorridendo e lei ricambiò. La sua attenzione si fissò sui gemelli: era certa che gli indizi sull’identità del padre si celavano soprattutto in loro. Erano due bei bambini con gli occhi d’un azzurro intenso e la chioma nera e lucente. I capelli erano simili ai suoi e a quelli di Mairi, ma gli occhi e il volto magro appartenevano senza dubbio a quell’uomo misterioso. La piccola Sibeal invece aveva i capelli color del rame. Era forse un altro indizio? I grandi occhi scuri e il viso ovale ricordavano i suoi e quelli di Mairi. A turbare Ailis era il fatto che di tutti gli uomini a cui riusciva a pensare che avevano tali caratteristiche, nessuno era alleato dei MacFarlane. Tra tutti un clan, quello dei MacDubh, era l’avversario più feroce, perché era a loro che lo zio aveva sottratto Leargan. Ailis nascose una smorfia: era già abbastanza grave pensare che la sorella avesse avuto una relazione con un uomo sposato. Non osava neppure immaginare che potesse essere uno dei loro nemici più acerrimi. Sforzandosi di scacciare questo tremendo pensiero dalla mente, si chinò per baciare i tre piccoli.
— Allora sposerai Donald MacCordy? — chiese Manus mentre Ailis gli rimboccava le coperte.
— Sì, non posso fare niente per evitare questo destino crudele, ragazzo.
— Sei sicura?
— Sì, lo sono. Ci ho pensato tanto, ma non c’è davvero niente che possa fare.
— Quell’uomo non mi piace, Ailis — sussurrò Sibeal. — E so che anche noi non gli piacciamo.
Ailis cercò di non dare troppo peso alle parole gravi della bambina. — Nessun uomo si sente a proprio agio con i figli di un altro, tesoro. Tutto qui — spiegò Ailis, ma si rese subito conto che i bambini non credevano alle sue parole rassicuranti più di quanto lei stessa ci credesse.
Mezz’ora più tardi, quando finalmente andò a letto, Ailis non riusciva ad addormentarsi. Sibeal aveva ragione: Donald non sopportava i bambini. In verità Ailis cominciava a temere che Donald li odiasse profondamente. Era stato promesso in sposo a Mairi prima cha la sua relazione clandestina fosse scoperta, ma per Ailis questa non era l’unica ragione. Cominciava a sospettare che Donald conoscesse l’identità dell’amante di Mairi e che odiasse i bambini per questo motivo. Ma purtroppo non sarebbe stato facile scoprire da lui la verità.
Un rumore la destò dai suoi pensieri e la mise in tensione. Le ci volle un secondo per capire che il rumore proveniva dalla porta, che qualcuno stava aprendo di nascosto. Ailis fece scivolare la mano sotto il cuscino e afferrò il pugnale da cui non si separava mai. Quando l’ombra si avvicinò al letto e si chinò sopra di lei, Ailis sferrò un colpo, conficcando con forza il pugnale nel braccio dell’uomo. Rapidamente lo estrasse e balzò in piedi. All’acuto grido di dolore che seguì, si precipitarono nella sua stanza molte persone con le candele in mano. Quando la luce illuminò la camera, Ailis non fu sorpresa di scoprire che la persona che pochi istanti prima aveva cercato di assalirla era Donald. L’uomo, che se ne stava a terra stringendosi il braccio malamente ferito, faceva un baccano tremendo. Lei lo osservò indignata, mentre il padre, il fratello e il cugino accorrevano a rimetterlo in piedi.
— Che diavolo credevi di fare, dannata sciocca? — sbraitò Colin MacFarlane. — Hai appena infilzato l’uomo che dovrai sposare. — Cercò di darle uno schiaffo, ma la giovane, abituata alla sua mano lesta e brutale, scansò il colpo e gli indirizzò un’occhiata feroce aggrappandosi alla colonna del letto a baldacchino. — Avresti potuto ammazzarlo!
— L’ho trattato come avrei fatto con qualsiasi altro uomo che si fosse avvicinato al mio letto di soppiatto nel cuore della notte — sbottò lei. — Non ha alcun diritto di stare qui.
— Era solo un po’ impaziente, ragazza — ringhiò il signore di Craigandubh. — Non c’era alcun bisogno di tagliargli via un braccio.
— Non esagerate, è solo un taglietto, anche se continua a muggire come un toro castrato. Se non aveva cattive intenzioni, poteva anche portarsi una candela. Ecco, e magari anche annunciare il suo arrivo, anziché strisciare come un ladro.
Ailis rimase disgustata quando gli uomini cercarono di mettere in dubbio la sua parola. Quando alla fine tutto quel baccano si sopì e la giovane si ritrovò di nuovo sola nella sua stanza, era esausta. Ripose il pugnale sotto il cuscino, sollevata che lo zio fosse talmente infuriato da dimenticarsi di confiscarglielo. Quell’arma si sarebbe potuta dimostrare ancora utile per scoraggiare attenzioni non richieste di Donald. Con un sospiro e un’imprecazione contro Donald MacCordy, si rannicchiò sotto le coperte, decisa a non permettere ai problemi e alle preoccupazioni di toglierle il sonno.
— Sei un pezzo di idiota — sbottò Duncan MacCordy, il muscoloso signore di Craigandubh quando, raggiunte le sue stanze, cominciò a bendare la ferita del figlio. — La ragazza avrebbe potuto ammazzarti. E ha tutte le ragioni di attaccare chiunque si avvicini al suo letto strisciando nel buio di soppiatto. Volevi mandare all’aria tutti i nostri piani per colpa delle tue voglie?
— Come potevo sapere che quella sgualdrina dormiva con un pugnale in mano? — Donald fulminò con lo sguardo il cugino, Malcolm, che rideva piano. — Quando verrà la nostra prima notte di nozze, la pagherà cara. Me la sbatterò per bene, come avrei dovuto fare con quella sgualdrina di sua sorella.
— Sì, Mairi era una sgualdrina, ma ci ha offerto un’arma di ricatto maledettamente efficace per compiere la nostra vendetta — disse Duncan. — E presto la piccola Ailis ce la consegnerà perché possiamo farci ciò che vogliamo. — Si sfregò le mani tozze pregustando il futuro.
William, il figlio piccolo e sempliciotto del signore, aggrottò le sopracciglia e si carezzò il mento sfuggente. — Siete sicuri che il vecchio Colin MacFarlane non sappia chi è il padre dei bambini?
— Sì, ne sono più che certo — rispose Duncan e scosse la testa, muovendo sgraziatamente i capelli grigi e flosci. — E a quel vecchio sciocco non gliene importa niente. L’unica cosa a cui pensa è la vergogna, l’onta che infanga il nome dei MacFarlane. Dobbiamo solo sperare che Barra MacDubh sappia di chi sono realmente quei tre piccoli bastardi.
— Lo sa — ringhiò Donald. — Quel codardo sa bene di aver fecondato per due volte il grembo di Mairi MacFarlane. Quella sciattona di sua moglie, Agnes, me l’ha detto prima di morire. Per due lunghi anni ho aspettato di vendicarmi di quel figlio di una sgualdrina. Presto, molto presto, lo farò.
Duncan guardò il figlio in cagnesco. — I bambini devono essere usati solo per conquistare le terre dei MacDubh e nient’altro. Non dimenticartelo, Donald. Non li dovrai usare per soddisfare la tua povera vanità ferita. Ti conviene ricordare che nei bambini scorre anche il sangue dei MacFarlane. La tua sposina è la loro zia.
— In cuor suo, lei è molto più di questo — sottolineò Malcolm attirando tutta l’attenzione su di sé. — Un sentimento molto forte la lega a quei piccoli e tu, Donald, dovresti cominciare a rendertene conto. Se vuoi causare il minor dolore possibile, ti conviene andarci con i piedi di piombo con quei bambini.
— Quella sgualdrina diventerà mia moglie e farà quello che le dirò io, altrimenti se ne pentirà amaramente — disse Donald in tono aspro. — Non mi si opporrà ancora a lungo, ve lo assicuro.
Malcolm sospirò, ma non disse nulla. Quanto avrebbe voluto avere i mezzi per liberarsi dei cugini oppure essere al servizio di un altro signore. Aveva così poco in comune con i suoi familiari.
Ma purtroppo dipendeva da quei parenti rozzi e insensibili. A differenza degli altri, Malcolm riusciva a vedere che sotto la graziosa schiena di Ailis MacFarlane c’era una spina dorsale d’acciaio cesellato. Sapeva anche che amava moltissimo quei piccoli, come se li avesse partoriti lei stessa. Se i nipoti fossero stati in pericolo, avrebbe saputo essere pericolosa come una lupa che difende i suoi cuccioli, ne era certo. Ma Donald non avrebbe dato retta a nessuno in questa faccenda e la sua cecità, Malcolm ne era sicuro, alla fine avrebbe causato loro molti problemi.
— Sì — mormorò Donald. — Ailis imparerà, e credo proprio che non si dispiacerà troppo per quei bastardi quando verrà a sapere di chi sono figli.
— Se Barra MacDubh è davvero il padre, perché non ha rivendicato alcun...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- IMPAVIDA
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
- 18
- Copyright