La follia di Helen Grey (I Romanzi Passione)
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La follia di Helen Grey (I Romanzi Passione)

  1. 288 pagine
  2. Italian
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La follia di Helen Grey (I Romanzi Passione)

Informazioni su questo libro

Figlia illegittima di un misterioso duca, da dieci anni Helen Grey vive ingiustamente reclusa in una tetra clinica psichiatrica grazie alla connivenza del crudele dottor Sterling: il padre, infatti, vuole che lei resti nell'istituto per evitare che si sappia della sua esistenza. Sarà l'arrivo del dottor William Carter a donare a Helen una speranza di fuga: affidata alle scrupolose cure di Will, sulle prime la ragazza cerca di manipolarlo, ma tra i due si instaura poco a poco un rapporto di fiducia che presto si trasforma in fortissima attrazione. Tuttavia entrambi devono resistere al desiderio, perché sanno di dover combattere non solo per conquistare la libertà di Helen, ma anche per il suo diritto all'amore...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
eBook ISBN
9788835715344

1

Yorkshire, 1882

Un urlo di donna lacerò il silenzio.
William Carter si voltò di scatto verso il suono mentre uno stormo di corvi si levava in volo dagli alberi e riempiva l’aria di minacciosi versi gracchianti. Rabbrividì, malgrado il cappotto pesante, e calcò ancora di più le mani nelle tasche.
Appena in fondo alla strada lo attendeva l’accogliente casetta di sua madre, con un bel fuoco caldo che crepitava nel camino, ma l’urlo era provenuto da qualche parte nel bosco e Hector era scomparso. Di solito Will non poteva fare due passi senza averlo d’intralcio tra i piedi.
— Dove sei, Hector, bastardo? — borbottò Will tra sé, il fiato caldo nella pesante sciarpa di lana. Abbassò la sciarpa di un dito e lanciò un fischio: un’unica nota prolungata che rimbalzò da un albero scheletrico all’altro e poi si spense perdendosi nel cielo vuoto.
Nessuna risposta, ma Will aveva una vaga idea di ciò che poteva aver provocato quel grido un attimo prima. La neve crocchiava sotto i piedi mentre seguiva quel che restava del vecchio sentiero che si addentrava tra gli alberi. Nel sottobosco procedette con maggior agio. Chiazze di verde inframmezzavano il bianco manto nevoso come piccole oasi in un deserto ghiacciato.
Si fermò ancora e tese l’orecchio. I corvi gracchiavano in lontananza, ma a parte questo non c’era nessun altro rumore, neppure un fruscio nel sottobosco. Gli si rizzarono i peli sul collo in reazione a quell’immobilità apparentemente innaturale.
— Sporco furfante! — Di nuovo la voce di donna. Meno acuta, stavolta, e non più spaventata. Una nota rabbiosa agitò la quiete fatata. — Lasciami stare, bestia schifosa!
Guidato dai gemiti e dai brevi strilli adirati della donna, Will continuò ad addentrarsi nel bosco.
Ben presto gli giunsero all’orecchio altri suoni: il gorgoglio dell’acqua corrente e un basso ansimare eccitato.
Il bosco era cambiato da quando era giovane. Laddove un tempo c’erano stati arboscelli e giovani piante, una fitta schiera di sempreverdi si ergeva tra lui e il torrente. Dovette inoltrarsi nel folto dei rami ed emerse dall’altra parte con la neve sul colletto e il cappotto impregnato di un intenso profumo di pino.
La donna era in piedi sull’argine del torrente, con la schiena appoggiata al tronco di una quercia, il naso arricciato in una smorfia disgustata. Era avvolta in un largo cappotto da uomo, simile a quello di Will, che rendeva impossibile arguire alcunché, a parte il colore dei capelli (rossi), l’altezza (notevole) e il sesso (femminile). Impossibile dire se fosse vestita elegantemente o in modo semplice, se fosse grassa o magra. Eppure Will sapeva con precisione chi doveva essere.
Al manicomio la stavano cercando.
— Ugh! Brutto vigliacco! — gridò la donna.
L’oggetto delle sue invettive, un mastodontico cane nero – in effetti, il grosso cane di Will – le toccò la mano col muso e le leccò le dita con l’enorme lingua rosa.
Helen aveva sentito il cuore fermarsi in attesa che la bestia possente l’azzannasse alla gola con le sue enormi fauci. Era diretta verso il sentiero quando quella cosa era giunta saltellando tra gli alberi, nera e terribile: un autentico mostro infernale.
Ma poi il cane aveva rovinato la sua entrata teatrale andando a sbatterle contro, agitando la coda e leccandole le mani con la lingua calda e bagnata. La sua bava abbondante le aveva coperto le dita gelate e tristemente sprovviste di guanti, e il disgusto aveva avuto la meglio sulla paura. Respingendo la mostruosa creatura, o almeno provandoci, Helen si abbandonò a una sequela di ingiurie.
— A cuccia, Hector! — Una voce maschile sferzò l’aria come uno schiocco di frusta.
Helen dardeggiò lo sguardo a destra e lo vide in piedi in riva al torrente, un uomo dalla figura massiccia vestito di nero.
Naturale. In presenza di un cerbero infernale Helen avrebbe dovuto aspettarsi la comparsa del suo diabolico padrone. Ma non si supponeva che Lucifero avesse splendide fattezze? Quell’uomo era piuttosto ordinario, con i tratti modesti e un abbigliamento da gentiluomo di campagna, non da Principe delle Tenebre. Osservandolo meglio, il padrone, come il cane, non era niente di speciale.
Anche così, aveva un atteggiamento autoritario. Al posto del cane lei avrebbe obbedito; invece, sebbene avesse interrotto le sue insistenti effusioni, la bestia sembrava restia ad allontanarsi da lei e la guardava con grandi occhi imploranti.
— Qui, monello! — ordinò l’uomo, e stavolta, miracolosamente, il cane – un alano? – gli diede retta. In pochi balzi, con l’aria un tantino delusa e la coda abbassata, trotterellò dal padrone e gli si sedette di peso su un piede.
— Quella cosa mi ha coperta di bava — disse Helen, asciugandosi le mani sul cappotto. Il pesante indumento, troppo grande per lei, non era suo ma del dottor Sterling, rubato nella sala d’armi di nascosto ai sorveglianti. Se c’era qualcuno che meritava degli sputi, quello era lui. Peccato che non ci fossero dei guanti nelle tasche del cappotto. — Dovreste tenerlo legato — aggiunse Helen, rivolgendo al cane un’altra occhiata di biasimo.
— Le mie scuse, signorina Grey — disse l’uomo, sloggiando Hector dal piede e facendosi avanti. — State bene?
Quell’estraneo la conosceva. Helen aprì la bocca per chiedergli come mai, ma la richiuse subito. Dopo tutti quegli anni passati a sopportare esami e valutazioni mediche, avrebbe dovuto riconoscere a prima vista un dottore.
— Avete un vantaggio su di me. Il vostro nome è…?
— Carter. Dottor William Carter.
Il cognome gli si addiceva. Aveva spalle larghe e braccia e gambe forti, proprio da carrettiere. Aveva anche un volto da popolano, non attraente, dai tratti marcati. Però la voce aveva un tono elegante, senza traccia di accento regionale.
Qualche giorno prima, Helen aveva udito per caso alcune infermiere spettegolare sul nuovo dottore che sarebbe dovuto arrivare. Un giovanotto del posto, avevano detto, figlio di una ex dipendente di Blackwell House, prima che la villa diventasse un manicomio privato.
— Oh — esclamò — siete il figlio della vecchia governante!
William non arrossì; nulla di così femminile. Un muscolo si contrasse sulla sua mascella e un lieve rossore gli colorò le orecchie. Helen non aveva avuto intenzione di offenderlo, ma era utile sapere che disponeva di un’arma in caso di bisogno.
— Avevamo sentito del vostro arrivo — soggiunse.
— Signorina Grey. — Lui le offrì il braccio, con grande cortesia. — Penso che stiate gelando. Non volete tornare indietro con me?
Helen si ritrasse di un passo, ma subito si controllò. Non avrebbe mostrato paura. Non davanti a un dottore. Né davanti a nessuno. — Siete molto galante. Eppure non siete un autentico gentiluomo.
Per la verità non pensava male di lui per le sue origine plebee.
Come avrebbe potuto, quando lei stessa era di estrazione alquanto discutibile? Se avesse voluto, lui avrebbe giustamente potuto dirle che anche lei non era una vera lady. Comunque fosse, la sua villania non ebbe un impatto visibile. Lo aveva colto di sorpresa già prima, e da allora lui si era premunito contro ulteriori offese. Un uomo intelligente.
— Volevate fuggire? — le domandò lui.
“Ben detto, dottore” pensò Helen. “Mantenete le distanze. Ma non potete obbligarmi a rispondere.”
Sebbene avesse indossato il cappotto rubato, Helen aveva compreso l’inutilità delle proprie azioni. Senza denaro, non aveva nessuna speranza di fuggire, specialmente in quel periodo dell’anno. Ma non doveva a quell’uomo, a quel dottore, nessuna spiegazione. Lui non era niente per lei.
L’uomo sospirò: un breve sospiro esasperato che la irritò. — Che cosa pensavate di fare? Restare qui fuori fino a congelarvi? — Parlava al passato, eppure Sterling, o qualunque altro dipendente del manicomio, a quel punto l’avrebbe già riportata indietro di forza.
— Può darsi.
Il cane si fece avanti timidamente e le strofinò la mano col naso.
— Per amor del cielo, vai via! — sbottò Helen.
Il dottor Carter sussultò come se le parole fossero indirizzate a lui. — Buono, Hector.
Il cane guaì e obbedì. Il suo padrone gli posò la mano sul capo e lo accarezzò distrattamente.
— Dite sul serio? — domandò a Helen.
Stanca di chiacchiere, Helen rivolse le spalle all’uomo e al cane.
Ora lui poteva fare solo due cose: afferrarla e ricondurla di peso alla casa di cura, portandola in spalla come una piccola vagabonda, oppure andarsene. Helen sperò che scegliesse la seconda soluzione. Se l’avesse piantata lì, anche se poi avesse mandato qualcun altro a riprenderla al posto suo, si sarebbe rivelato un debole e un codardo. Helen aveva già avuto a che fare in passato con tipi del genere. Erano molto più prevedibili di tutti i dottor Sterling del mondo.
— Non so se credervi o no.
Le sue parole le suscitarono un’emozione scioccante.
Il personale del manicomio la scherniva e la maltrattava, e Helen non ricordava l’ultima volta che qualcuno l’aveva affrontata da pari a pari.
— Prego? — Si voltò a fissarlo. — Di solito… — Non le venivano le parole, benché sapesse cosa voleva dire. Normalmente non aveva affatto quel tipo di problema. Ci riprovò. — Di solito offendete i vostri pazienti? È questo che vi insegnano al Royal College of Physicians?
Corrucciandosi, lui piegò il capo di lato. — Congelereste più in fretta senza il cappotto.
Una scintilla d’orgoglio accese la vena polemica di Helen. Meglio seguirla subito d’istinto. Se il dottore non aveva intenzione di prenderla sul serio, doveva dimostrargli che si sbagliava.
Con le dita intirizzite dal gelo, armeggiò impacciata con la fila di bottoni. Le ci volle più tempo del necessario per slacciarli, ma alla fine il cappotto si aprì. Helen si tolse il pesante indumento di lana e lo lasciò cadere a terra.
— Ecco fatto — disse, o meglio balbettò: — Ec… co… fat… to.
Con indosso il cappotto aveva avuto freddo, ma ora gelava nell’aria ghiacciata. L’abito da giorno bianco di stoffa sottile che indossava era adatto a un caldo pomeriggio d’estate, ma del tutto inadeguato per la neve e il ghiaccio di un crepuscolo di gennaio. Le gambe e le braccia le tremavano a tal punto che temette che il dottor Carter pensasse a una crisi nervosa o epilettica.
Battendo i denti, Helen si domandò, non per la prima volta, se dopotutto non fosse matta davvero.
Il dottore affondò le mani nelle tasche, forse per impedirsi di afferrarla. Ma era difficile capire che cosa stesse pensando e Helen non era più sicura di quali intenzioni avesse. Aveva davvero voluto sfidarla o era tutto un equivoco?
Forse la seconda ipotesi, perché il dottore levò le mani dalle tasche quasi immediatamente e ne tese una verso di lei. — Tornate indietro con me, signorina Grey.
Quello non era il gesto formale che aveva fatto poco prima. Questa volta la mano era aperta, a palmo in su, quasi come se gliela offrisse in amicizia. Nessun’arma poteva essere nascosta in una mano offerta così. Sarebbe stata calda e accogliente anche sotto il guanto che la copriva.
Helen avrebbe potuto rimettersi il cappotto, prenderlo per mano e lasciare che la riconducesse al caldo e alla luce. Invece restò a fissarlo istupidita, confusa e rallentata nei riflessi e nei ragionamenti.
“Se torno indietro, non mi lasceranno più andare” pensò. Blackwell era stata la sua prigione per quasi un decennio e non sopportava l’idea di trascorrervi un giorno di più. Meglio morire congelata lì nella neve.
— Non volete che vi aiuti?
— Voialtri medici — disse, e le sue stesse parole le giunsero come attraverso una lunga galleria. — Sempre pronti ad aiutare, sempre ansiosi di legarmi al letto e di ammanettarmi.
Ma Helen ormai non capiva nemmeno più cosa stesse dicendo. Prima che avesse la possibilità di riprendere il controllo dei propri pensieri sfuggenti, le cedettero le gambe. L’abbando...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La follia di Helen Grey
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. Ringraziamenti
  25. Copyright