«Be’, questo è quanto, immagino.»
Ringil Eskiath soppesò cupo la mascella umana disseccata nel palmo della mano. Si accovacciò sul bordo della tomba scoperchiata, lottando contro il vago impulso di saltarci dentro.
Sembra comodo, là sotto. Lontano dal vento, così buio e caldo…
Invece si massaggiò il mento non rasato. La barba di tre giorni, che pungeva sulle dita callose, prudeva sulle guance scavate. Il mantello, raccolto come una pozza nel punto in cui lui si era accosciato, era sporco sul bordo e fradicio per l’erba zuppa di pioggia. La spalla del braccio che abitualmente reggeva la spada guaiva per l’umidità che non dava requie.
Represse il fastidio e fissò torvo ciò che giaceva nella tomba.
Tutta quella strada per questo.
Niente di che: pezzi di legno che forse una volta componevano una cesta, lunghe strisce di cuoio che il tempo aveva irrigidito e sbriciolato. Un ammasso di minuscoli frammenti ossei, come il lascito di un aruspice troppo zelante coi suoi vaticini…
Gil sospirò e si rimise in piedi. Gettò nuovamente la mascella in mezzo al resto.
«Cinque mesi buttati, cazzo.»
«Mio signore?»
Shahn, il sergente della Marina, si era tirato fuori della tomba, e adesso aspettava lì accanto, sui cumuli di terra scavati dai suoi uomini. Alle spalle, la squadra se ne stava disposta alla rinfusa, sporca di terra e sudore, le pale in mano, a fissare accigliata il brutto tempo. Chiunque avesse scavato quel lotto tanti secoli addietro, aveva scelto un punto vicino alle scogliere, e in quel preciso momento dall’oceano veniva un vento feroce, carico di nevischio e della promessa d’una nuova bufera. Le tre guide Hironish che avevano ingaggiato a Orley si erano già tirate i cappucci sulla testa. Si tenevano più discoste dalla tomba, osservavano il cielo e parlottavano a bassa voce.
Ringil si spazzò via il terriccio dalle mani.
«Qui abbiamo finito» dichiarò a voce alta. «Se questo era NeraRovina lo Scambiato, i vermi l’hanno trovato per noi già da un bel pezzo. Raccogliete gli strumenti, torniamo alle barche.»
Un tremito d’esitazione; le mani che saggiavano i manici, lo strisciare dei piedi. Il sergente si schiarì la gola. Indicò con scarso entusiasmo il cumulo di terra smossa accanto al sepolcro.
«Signore, non dovremmo…?»
«Ricoprirlo?» Ringil fece un sorriso duro. «Ascolta, se quelle ossa si alzassero e ci seguissero fino alla spiaggia, ne sarei davvero sorpreso. Ma sai che ti dico? In tal caso, me ne occuperò io.»
Le sue parole si scavarono uno spazio di silenzio nel vento crescente. Tra gli uomini, qualcuno portò la mano agli amuleti. Borbottii sparsi.
Ringil scoccò loro uno sguardo furtivo, contando le facce senza farsi notare. Tra loro, un paio erano stati presenti quando aveva abbattuto il kraken, tuttavia la maggior parte si trovava sulle altre navi, oppure a bordo della Morte del Drago, ma sottocoperta; era comunque stata una notte di merda, con la pioggia e l’ululare del vento, l’Arcoluce celato dalle nubi spesse che correvano turbinose, e lo scontro si era concluso veloce quasi com’era cominciato. Solo una manciata di persone non si era persa lo spettacolo.
Tutti gli altri avevano i racconti dei compagni, certo, ma Ringil non poteva biasimarli se dubitavano. Uccidere un kraken nel cuore pulsante d’una tempesta notturna nel bel mezzo dell’oceano… certo, come no. Scenetta sfornata dritta dritta da un mito, una storia da narrare alla luce d’una lanterna per spaventare i mozzi più giovani. Una fantasia del cazzo.
Ormai erano passate cinque settimane, e nessuno lo chiamava Rovina del Kraken. Quantomeno per quel che ne sapeva.
Forse era meglio così, pensò. In passato aveva già comandato abbastanza a lungo per sapere come andavano certe cose. Meglio non forzare le convinzioni più radicate dei propri uomini, qualunque esse siano. Ciò valeva in egual misura per coloro che dubitavano di lui e per chi invece narrava le sue gesta eroiche: probabilmente la verità avrebbe terrorizzato alla follia entrambe le fazioni, e la cosa, in questo preciso momento, sarebbe risultata controproducente.
Erano già abbastanza su di giri.
Li fissò. Piazzò uno stivale sul deprimente blocco di granito muschioso che fungeva da segnale per il sepolcro. Alzò la voce perché sentissero tutti: perle di saggezza oscura servite dallo spadaccino-stregone che marcia nelle loro file.
«Va bene, gente, ascoltate. Chiunque voglia buttarci un pizzico di sale, si accomodi. Ma se restiamo a riempire questa buca, ci bagneremo fino alle ossa.»
Accennò con la testa verso ovest, verso il mare. Mezzogiorno non era passato da molto, ma l’avara luce del pomeriggio già sbiadiva. Le nubi accorrevano da settentrione, montavano come inchiostro in un bicchiere d’acqua. Sopra le loro teste, il cielo si scuriva come il viso di un impiccato.
Già, e lo chiameranno un presagio fatto e servito.
Il suo umore non migliorò granché mentre tornavano alle barche. Si mise in testa lungo il sentiero per le pecore, che li riportò serpeggiando giù dalla scogliera. S’impose un’andatura severa sul terreno di torba scoscesa. Nessuno commise l’errore di stargli accanto o rivolgergli la parola.
Per contrasto, alle sue spalle si udiva del roco buon umore. Col permesso di fare gli scongiuri, i marinai si erano rilassati. Adesso marciavano tronfi dietro di lui, scherzando e sfottendosi allegramente tra i ranghi. Era come se avessero riversato tutti i loro crucci via dalle sacche in cuoio dell’equipaggiamento, insieme al sale, lasciandoseli alle spalle nei segni sottili che avevano tracciato.
Il che, immaginò Ringil, era esattamente quanto appena successo, e comunque non era proprio questo il senso della religione?
Tuttavia fu abbastanza onesto da riconoscere l’allentarsi della sua stessa tensione. Perché, nonostante tutti gli altri inutili sepolcri vuoti, nonostante la sua convinzione sempre più solida che stessero solo perdendo tempo, anche lui si era inerpicato su per la scogliera aspettandosi uno scontro.
Desiderandolo.
Tenui vestigia di quella sensazione gli guizzavano ancora alla base del collo e sulle mani. Abbastanza da riconoscerne la presenza, sebbene prima non l’avesse notata.
L’ultima dimora di NeraRovina lo Scambiato.
Di nuovo.
Questa era la nona e ultima da catalogare. Il nono sepolcro del leggendario Re Oscuro che avevano disseppellito, solo per trovare quanto restava di un comune mortale.
Dev’esserci un modo più facile per gestire questa stronzata.
Ma in effetti no, non c’era, e lui lo sapeva. Qui erano tutti forestieri, lui incluso. Oh certo, aveva letto delle Hironish nella biblioteca di suo padre, da ragazzo, appreso dalle labbra dei suoi tutori i fatti aridamente riportati negli almanacchi. E crescendo a Trelayne aveva conosciuto una manciata di persone che vi avevano trascorso del tempo, in esilio. Ma non si trattava d’una conoscenza dalle applicazioni pratiche, e comunque era vecchia di decenni. A parte il Naomic fluente, rispetto ai suoi compagni di spedizione lui non disponeva di alcun vantaggio realmente utile.
Nel frattempo, Anasharal il Timoniere, traboccante d’antica, inumana sapienza quando avevano pianificato la spedizione giù a Yhelteth l’anno appena trascorso, adesso si stava dimostrando singolarmente carente di specifiche. Il demone Kiriath era restio o incapace di indicare con qualche chiarezza la tomba dello Scambiato, e invece suggeriva – talvolta stizzosamente – che alzassero i tacchi loro stessi e domandassero ai locali. “Sono disceso dal cielo per il vostro bene” suonava sempre la solfa della sua lezioncina. “È colpa mia se non godo più della visione cui ho rinunciato per portarvi il messaggio? Vi ho guidati fino ai confini del mondo, che le lingue umane adesso facciano il resto.”
Ma gli isolani delle Hironish erano notoriamente un bel mucchio di bocche cucite. Persino gli insipidi tutori di Ringil avevano menzionato la cosa. Storicamente, erano famigerati per dare ricetto a pirati vezzeggiati dal popolo ed evasori fiscali, in barba a qualunque reazione degli ufficiali esattori della Lega, mentire con facce di bronzo di fronte alle minacce, sputare sprezzanti sull’acciaio sguainato, e morire sotto tortura piuttosto che consegnare un compare isolano.
Perciò non avrebbero certamente spifferato i segreti di intere generazioni a un gruppetto d’imperiali pomposi che era improvvisamente sbucato dal sud forestiero mettendosi a chiedere: “Ehi, abbiamo sentito di questo signore delle tenebre che sarebbe seppellito nei paraggi, non è che per caso sapreste condurci da lui?”.
In ogni caso, non così.
Occorse una settimana di accorta diplomazia entrando e uscendo dalle taverne di Orley e poi nei villaggi e fattorie dell’entroterra solo per scovare una manciata di tizi locali disposti a parlare con loro. Qualche parolina persuasiva nelle orecchie giuste, denaro e infiniti giri di bevute. E, persino allora, quanto costoro avevano da dire risultava carente e contraddittorio.
“NeraRovina lo Scambiato, uhm, sì, il tizio delle leggende Dwenda. Ma non venne mai sepolto quaggiù. I Dwenda lo portarono via su una nave scintillante, dove l’Arcoluce incontra l’oceano…”
“Lo crocifissero sulla spiaggia di Sirk come un traditore, questo è quel che ho sentito, rivolto verso il sole al tramonto mentre tirava le cuoia. I suoi seguaci lo deposero dopo tre giorni e lo seppellirono. Si tratta di quella tomba lassù in cima, dietro il vecchio tempio dei balenieri…”
“NeraRovina il Traditore fu portato all’Ultima Isola, l’Ultimo Anello della Catena, proprio come dice la leggenda. Ma essa si manifesta a occhi mortali unicamente al solstizio di primavera, e persino allora solo dopo molte preghiere purificatrici. Riuscire a sbarcarvi richiederebbe un atto di grande devozione. Vi conviene domandare al monastero sulle scogliere di Glenn, magari potrebbero presentare delle offerte per voi quando ritornerete l’anno venturo.”
“Sì, certo.” Risate più in fondo al bancone della locanda. “Dovreste chiedere a suo fratello, Glin. Mai sentito che abbia rifiutato di fare da intermediario se gli si scuce abbastanza denaro…”
“Sapete che vi dico, ne ho abbastanza dei vostri lamenti, cani. Mio fratello è un uomo dabbene, non come certi inutili bastardi che potrei…”
Avevano dovuto sedare quella faccenda a pugni. Ricominciare daccapo.
“Il sepolcro che cercate si trova su un promontorio nella penisola del Gabbiano Grigio, ad appena un giorno di marcia, a nord. Avvicinandosi, il Gabbiano Grigio può sembrare un’isola separata, ma non fatevi ingannare. Certe correnti sommergono il golfo tanto da farla apparire così, ma il tratto si può sempre guadare, al peggio vi trovereste con l’acqua alla cintola. E nella maggior parte dei casi, non vi bagnereste neppure gli stivali.”
“Agh!” Un capitano di peschereccio dalla barba grigia strilla come un falco e scatarra qualcosa di sgradevolemente giallastro sulla segatura della taverna, alquanto vicino allo stivale di Ringil. “Non troverete mai quella tomba da questa parte dell’inferno! Perché è laggiù che i demoni Aldrain si portarono quel tizio – a urlare all’inferno!”
“No, no, miei signori, perdonatelo, queste sono solo superstizioni da pescatori. L’ultimo erede umano dei NeraRovina è sepolto al centro d’un crocevia, su un’altura poco più a sud. Taluni dicono che l’intera collina sia il tumolo dello Scambiato…”
“La verità, miei signori, è che l’eroe dei Dwenda fu deposto in un cerchio di pietre a Selkin, laddove ...