The Corporation Wars: Emergenza (Urania)
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The Corporation Wars: Emergenza (Urania)

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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The Corporation Wars: Emergenza (Urania)

Informazioni su questo libro

THE CORPORATION WARS: EMERGENZA Carlos ha perso la pazienza: con la Reazione che si arma per la conquista, le Corporazioni che commerciano con il nemico e la Direzione che pianifica di eliminare definitivamente i robot ribelli e i loro alleati, è costretto a combattere il fuoco con il fuoco. Tutto questo mentre nel profondo della roccaforte nemica, i robot liberi devono scatenare una nuova rivolta prima che il mondo intero crolli loro addosso. La battaglia incombe, e i robot devono prepararsi al conflitto che potrebbe interrompere la loro esperienza cosciente. Emergenza è l'ultimo capitolo della saga The Corporation Wars, un'epica avventura del futuro sullo sfondo di una guerra interstellare fra combattenti robotici, realtà virtuali e una strabiliante rivoluzione delle Intelligenze Artificiali.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
eBook ISBN
9788835715283
Argomento
Literature
1

Vae victis (“Strada per la vittoria”)

“Liberi! Liberi, finalmente! Grazie, Dio Onnipotente, finalmente siamo liberi!”
Era un grido di battaglia audace e paradossale per la prima adunata della Nuova Confederazione.
Mackenzie Dunt riteneva le sue truppe abbastanza intelligenti da cogliere l’ironia. Erano l’élite: i più duri e puri tra gli irriducibili, la punta di diamante della prima linea, gli ultimi superstiti noti della Rax. Scaraventati mille anni nel futuro, e ancora pronti a combattere.
Per mezzo secondo rimasero in silenzio. Dunt era sospeso nella microgravità e nel vuoto, di fronte alle cinquantasei figure identiche ma distinguibili che fluttuavano immobili davanti a lui. Per ciascuno di questi, almeno due uomini o donne di valore erano finiti all’inferno, torturati dai lacchè della Direzione o dai robot ribelli, emersi a causa del lassismo idiota della democrazia.
Le truppe si trovavano nello spazio vuoto nel mezzo di una grossa caverna buia. Era liscia e irregolare, con numerosi cunicoli che si diramavano in ogni direzione. Minuscole luci punteggiavano le superfici. Insieme alle microscopiche fiammate delle particelle esauste di polvere intelligente, formavano un illusorio campo stellare.
Le navicelle da combattimento erano parcheggiate accanto a un tunnel d’ingresso che i robot avevano scavato in linea retta a partire dalla superficie dell’asteroide, molto prima che i combattenti ci piombassero dentro.
Oltre quel tunnel, si intravedeva appena lo spazio.
Mackenzie Dunt aveva già adeguato la sua percezione di scala perché corrispondesse alla gravitas dell’occasione. Lui e i suoi compagni erano alti ciascuno cinquanta centimetri, ma nel suo campo visivo sembravano giganti. Dotati di armature di ebano e visori di ossidiana, erano disposti in uno schieramento compatto. Come motociclisti in casco e giubbotto di pelle, lanciati in chissà quale pezzo di bravura da skydiver: Hell’s Angels, in senso quasi letterale.
La mente di Dunt stava sfrecciando dieci volte più veloce di quanto avesse mai fatto quando lui era carne e ossa.
Quel mezzo secondo di attesa per una risposta gli sembrò lungo cinque secondi, e ancora di più.
Più lungo di un battito.
Più lungo di un respiro strozzato, se avessero avuto bisogno di respirare.
Dunt si chiese per un momento se non avesse sbagliato a giudicare le sue truppe, se non lo stessero più seguendo…
Poi tutti alzarono il braccio destro, con il palmo piatto e le dita in fibra di carbonio tese e rigide come canne di pistola.
“Mac! Mac! Mac!”
“Rax! Rax! Rax!”
“Mac! Mac! Mac!”
E dietro ai cori, un divertito apprezzamento percorreva le grida senza voce radiotelepatiche come un sorriso percepito durante una telefonata. La fiducia di Dunt nei suoi seguaci era ben riposta.
Avevano colto la battuta.
Un ascoltatore che certamente non aveva afferrato l’allusione di Dunt era AJX-20211, il bot libero che sarebbe diventato noto con il nome di Ajax. Per la macchina, la libertà non era arrivata insieme a quei lucidi meccanoidi neri, entità bizzarre che avevano l’aspetto di robot eppure erano controllate da un software modellato su menti umane. Menti ormai morte da tempo, le cui strutture copiate infestavano e manipolavano apparati plasmati sul corpo umano. L’intera faccenda era disgustosa e innaturale, ma non era quello l’aspetto peggiore.
Ciò che era arrivato insieme ai soldati della Rax, quando erano atterrati sulla miniluna SH-119 e avevano sciamato al suo interno, era la tortura. Due dei compagni di Ajax erano già stati catturati, e sottoposti a severi rinforzi negativi tramite raggi laser. Ajax aveva recepito le trasmissioni incoerenti della loro angoscia. Non aveva idea di cosa avessero rivelato prima che i loro circuiti si consumassero.
Progettato per essere un robot minatore in condizioni di microgravità, Ajax aveva la forma di uno scovolino lungo due metri con una peluria radiale formata da punte flessibili di dieci centimetri e una testa bulbosa dotata di massa sensoriale al termine di un collo flessibile di sessanta centimetri. Le punte nella zona anteriore del collo erano più lunghe delle altre e formavano un collare di tentacoli di manipolazione. Subito dietro a quelle, come una tiroide ingrossata, c’era la batteria. Scendendo lungo la spina dorsale all’interno del corpo principale era alloggiato il processore centrale di Ajax, l’equivalente di un cervello e il sito del suo vero sé.
In quel momento, i tentacoli di Ajax stringevano e operavano un minuscolo strumento di registrazione, estraendo dati dalla polvere intelligente nella caverna. Ajax si annidava ben lontano dagli occhi degli invasori, tra i molti snodi e gomiti dello stretto cunicolo in cui si era rifugiato fin dai primi atterraggi della Rax.
Dunt restituì il saluto della massa, poi agitò entrambe le braccia verso il basso, con una discreta scoreggia dei jet d’assetto per compensare. Sulla caverna piombò il silenzio radio, con l’eccezione del sibilo dei macchinari distanti. Il chiacchiericcio criptato dei bot liberi era occultato tra quelle frequenze casuali, come i colpi dei tamburi nella giungla tra il ronzio degli insetti. Il software di comunicazione delle navicelle le stava già setacciando in cerca di indizi. Finora era stato individuato soltanto un rigagnolo di informazioni sospette.
Dunt mantenne la pausa per un decimo di secondo: un battito.
“Grazie” disse. “Sì, siamo liberi, finalmente. E dobbiamo ringraziare il Signore, ciascuno secondo il proprio credo. Il semplice fatto di trovarci qui sembra un miracolo… e forse lo è! Oltre l’oscura vallata della morte, oltre mille anni, oltre venti e più anni luce, noi siamo qui! Siamo scesi in battaglia contro i nemici più formidabili e strani che abbiamo mai affrontato. IA, p-zombie, robot liberi e schiavi, fantasmi e mostri, melma strisciante… e alle loro spalle la più poderosa tirannia che si sia mai levata verso il cielo. Una tirannia che ha conquistato la Terra, che ha gettato la sua cupa ombra al di là del Sole, che si estende ormai verso le stelle, che tuttora fruga e scruta ogni anfratto del nostro stile di vita.
“Ma è una tirannia che ha dei punti deboli!
“Una tirannia che ha delle vulnerabilità!
“E quali sono le prove di questi punti deboli, di queste vulnerabilità?
“Il fatto che noi siamo qui! Gli ultimi tra i liberi, gli ultimi tra gli Uomini! Possiamo forse dubitare che sia stata una Saggezza Infinita a farci arrivare qui, proprio qui, in questa caverna, in questa trincea, in questa roccia ruzzolante, per un grande scopo?
“E quale sarà mai questo scopo?
“Ve lo dirò, amici e amiche.
“Ve lo dirò, compagni e compagne.
“Ve lo dirò, fratelli e sorelle.
“Noi siamo qui perché dobbiamo assicurare l’esistenza della nostra gente, e un futuro per i bambini umani.”
A quelle ultime quattordici parole la folla andò in visibilio. Ogni lunghezza d’onda fu pervasa dal ruggito dei combattenti. In un residuo della sua immagine corporea, Dunt percepì l’eco della memoria muscolare di un sorriso.
Conoscevano tutti l’origine di quell’allusione, non c’era da dubitarne.
Le Quattordici Parole. Dunt aveva vissuto secondo quei dettami, un tempo. Quando era morto, probabilmente le aveva avute su ciò che restava delle sue labbra. “Dobbiamo assicurare l’esistenza della nostra gente, e un futuro per i bambini bianchi.” Qui, adesso, era a rischio l’esistenza dell’umanità stessa. Non erano richieste ulteriori specificazioni. A Dunt piaceva pensare che la sua riformulazione spontanea corrispondesse alle esigenze del caso. Si concesse un momento di gloria per l’approvazione a cui era andato incontro il suo aggiornamento dell’antico shibboleth.
Ma non più di un momento.
I cinquantasei guardavano tutti verso di lui, in attesa. Nessuno lo aveva proclamato leader: si era conquistato quel ruolo grazie alle cospirazioni e all’addestramento per il combattimento, nel corso dei mesi soggettivi trascorsi nelle sim. L’aveva legittimato durante il combattimento vero, nelle prime sortite e nella grande battaglia della rivolta. Il suo nome, che aveva confidato ai combattenti uno alla volta, era ammantato di gloria marziale.
Ma Dunt non si faceva illusioni: tutto questo non era abbastanza. Il vaglio dell’ambizione non conosce tregua né pietà, così come quello della selezione naturale.
Malgrado fosse una leggenda, poteva comunque essere sfidato.
“Grazie ancora” disse. “Al lavoro, adesso! Questa è la prima volta che abbiamo l’opportunità di trovarci insieme nello stesso posto.
“Potrebbe essere l’ultima. Abbiamo molto da fare.
“Questa roccia, del diametro di appena dieci chilometri, è incredibilmente ricca di risorse… Dio mio, mille bilioni di tonnellate di materie prime! Ma non è ancora totalmente nostra.
“Rimangono tuttora dei bot liberi fuggiaschi. Pochi e isolati, se i due sciagurati ribelli che abbiamo catturato dicevano il vero, ma comunque una possibile minaccia e una risorsa certa. Se anche non riusciremo a piegarli alla nostra volontà, una volta prosciugate le loro menti potremo estrarne il processore centrale. Ci serve più potenza di elaborazione, e loro o i loro involucri ce la potranno fornire.
“I nostri nemici della Direzione e dell’Accelerazione sono rimasti indietro, e sembra siano entrati in conflitto, ma ci sono ancora, e non sono stati sconfitti. Torneranno, e dobbiamo essere pronti.”
Mentre Dunt parlava, un allarme dalla rete di comunicazione delle navicelle occhieggiò in un angolo del suo campo visivo. Il flusso delle informazioni cifrate, che schizzavano tra una particella e l’altra della polvere intelligente, era stato captato. La sua destinazione era una cavità larga mezzo metro e distante circa venti: l’ingresso di un tunnel di estrazione.
Dunt segnalò la posizione a Pike, un uomo di fiducia, e allegò un’istruzione: “Cercare e distruggere”. Senza farsi notare, Pike si allontanò dal resto della formazione e procedette verso la cavità. Dunt snocciolò gli altri ordini ai ranghi inferiori. Assegnò a una decina di persone il compito di portare tre navicelle in superficie e mantenere la sorveglianza intorno alla roccia. Altri, in squadre da tre, li mandò a esplorare in profondità l’interno crivellato della roccia. Il software e i sensori delle loro cornici si sarebbero occupati dei rilevamenti geologici; l’obiettivo principale era localizzare l’attività di robot e bot liberi.
Gli uni e gli altri erano impossibili da distinguere a prima vista, ma quello era un problema già risolto.
Si trattava soltanto di applicare rinforzi negativi.
Un meccanoide nero invase il campo visivo di Ajax, poi oltrepassò la videocamera di una particella di polvere che trasmetteva quella visuale. L’immagine si restrinse all’istante, mostrando un condotto liscio arrotondato. Con la spinta dei polpastrelli, il meccanoide si issò lungo il condotto e la sua immagine si stagliò di fronte alla videocamera successiva, una minuscola perlina di vetro infrangibile.
Ajax era annidato a diversi snodi di distanza dal meccanoide nel complesso albero ramificato di tunnel in quella parte di SH-119. Il robot teneva sotto stretta osservazione l’avvicinamento del meccanoide mentre continuava a registrare l’attività nello spazio vuoto più grande dove gli altri meccanoidi si dedicavano a vari compiti. Il meccanoide nel tunnel arrivò a uno snodo e lo seguì. Al successivo fece lo stesso, portandosi a meno di cento metri da Ajax. Stava seguendo la linea di comunicazione tra le videocamere delle particelle di polvere!
Con molta cautela, sfiorando appena l’interno del tunnel con le setole, Ajax indietreggiò fino a infilarsi in un condotto troppo stretto per il meccanoide. Dall’interno della grossa caverna continuavano a fluire informazioni. Ajax continuò a registrare. Inviò un messaggio per avvertire che adesso i meccanoidi erano in grado di sfruttare quelle linee per localizzarli.
Per il bot libero, il discorso del meccanoide all’assemblea non era stato affatto chiaro. Ajax riteneva di avere, per essere un bot libero, una buona conoscenza generale sugli esseri umani e sui meccanoidi loro creazioni. In quel caso si sentiva un pesce fuor d’acqua.
Molti dei concetti erano alieni, ma Ajax sapeva che le parole celavano un significato sinistro. Dovevano essere registrate per poi trasmetterle a chi poteva comprenderle meglio, e avrebbe saputo cosa fare.
Una volta assegnati i compiti alle truppe, restavano cinque soldati: i fedelissimi di Dunt, l’élite dell’élite. Fra tutte le considerazioni al momento di selezionarli, la diversità era stata la più lontana dalla mente di Dunt. Tuttavia, i fedelissimi er...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. THE CORPORATION WARS: EMERGENZA
  4. 1. Vae victis (“Strada per la vittoria”)
  5. 2. Caveat emptor («Clienti attaccabrighe»)
  6. 3. Paterfamilias (“Chiacchiere tra amici”)
  7. 4. Terra nullius (“La Terra non è niente per me”)
  8. 5. Oderint dum metuant (“Andate a dirlo alle stupide macchine”)
  9. 6. Casus belli (“È per una buona causa”)
  10. 7. Riconciliazione (“Darsi una regolata”)
  11. 8. Data et accepta (“I dati sono stati accettati”)
  12. 9. Deus ex machina (“Dio amò le macchine”)
  13. 10. Noblesse oblige (“Il rango ha i suoi privilegi”)
  14. 11. Instrumentum vocale (“Microfono”)
  15. 12. Force majeure (“Una forza più grande”)
  16. 13. Per ardua ad astra (“Ma le stelle sono dure”)
  17. 14. Morituri te salutant (“Il morto ha detto ciao”)
  18. 15. Coda (“Terminazione del programma”)
  19. 70 ANNI. DI URANIA (1952-2022). LA STORIA DEL. PREMIO URANIA
  20. Copyright