ARLONG, NOVE ANNI PRIMA
«Nezha.» Yin Vaisra fece un cenno con un dito. «Vieni qui.»
Nezha, fuori di sé dalla gioia, corse da lui. Era nel bel mezzo di una estenuante lezione sui classici, ma il maestro se n’era andato con un inchino appena suo padre era apparso sulla soglia.
«Fai progressi?» domandò Vaisra. «Stai lavorando sodo?»
Nezha represse l’istinto di balbettare, rimuginando con attenzione sulla risposta da dare. Vaisra non gli aveva mai fatto domande del genere, mai aveva mostrato un grande interesse per i figli, eccetto che per Jinzha. Nezha non voleva che suo padre lo ritenesse uno spaccone o uno stupido.
«Maestro Chau dice che faccio buoni progressi» disse lui in tono cauto. «Ho imparato i fondamenti della grammatica dell’antico nikariano e ora posso recitare centoventidue poemi della dinastia di Jin. La settimana prossima, noi…»
«Bene.» Vaisra non sembrò particolarmente interessato, né soddisfatto. Si girò. «Vieni con me.»
Un po’ abbattuto, Nezha seguì il padre fuori dall’ala orientale verso il salone dei ricevimenti. Non capiva dove fossero diretti. Il palazzo di Arlong era un luogo imponente e freddo che consisteva principalmente di vuoti e lunghi vestiboli dai soffitti alti, drappeggiati con arazzi raffiguranti la storia della provincia di Lóng e risalenti alla dinastia dell’Imperatore Rosso.
Vaisra si fermò di fronte a un ritratto dettagliato di Yin Vara, il vecchio signore di Lóng, in carica prima della Seconda guerra dei papaveri. Nezha aveva sempre odiato quell’arazzo. Non aveva conosciuto il nonno, ma ogni volta che passava da lì, il viso severo e scarno di Vara lo faceva sentire piccolo e insignificante.
«Hai mai desiderato governare, Nezha?» chiese Vaisra.
«Perché dovrei?» rispose Nezha accigliato e confuso.
Regnare non era cosa attuabile nel suo caso. Sarebbe stato Jinzha, il primogenito, a ereditare il titolo del signore di Lóng e tutti gli oneri annessi. Nezha era soltanto il secondogenito, destinato a diventare un soldato, il generale più fedele al fratello.
«Non hai mai preso in considerazione la cosa?»
Nezha ebbe la vaga impressione di essere sul punto di fallire una prova, ma non sapeva che altro dire. «Non mi spetta.»
«No, suppongo di no.» Vaisra tacque un momento, poi chiese: «Ti piacerebbe ascoltare una storia?».
Una storia? Nezha esitò incerto su quale risposta dare. Vaisra non gli aveva mai raccontato storie e sebbene non avesse idea di come conversare con il padre, non poteva permettersi di perdere quell’occasione.
«Sì» disse con prudenza. «Mi piacerebbe.»
Vaisra lo guardò. «Sai perché non ti lasciamo andare alle grotte?»
«Per i mostri?» si rincuorò Nezha.
Sperò che il padre gli raccontasse una storia di mostri. Nezha provò un fremito di eccitazione. Quando era piccolo, le balie sapevano che amava le favole sulle numerose bestie che secondo i racconti si celavano nelle grotte: draghi, granchi cannibali, donne pesce che facevano perdere la testa agli uomini e poi li affogavano una volta che si avvicinavano.
«Mostri?» Vaisra ridacchiò. Nezha non aveva mai sentito suo padre ridacchiare prima. «Ti piacciono le storie sulle grotte?»
Nezha annuì. «Molto.»
Vaisra gli mise una mano sulla spalla.
Nezha represse un sussulto. Non aveva paura di essere toccato dal padre: Vaisra non era mai stato violento, ma nemmeno l’aveva mai accarezzato in quel modo. Baci, abbracci, gesti rassicuranti… queste cose spettavano alla madre di Nezha, a Lady Saikhara, che quasi soffocava i figli con il suo affetto.
Nezha aveva sempre considerato suo padre una statua, distante, sinistra e intoccabile. Per lui Vaisra era più un dio che un uomo, la personificazione ideale di quel che lui doveva diventare. Parlava in modo conciso e diretto. Le sue azioni erano coscienziose e deliberate. Mai aveva mostrato affetto ai propri figli, se non qualche strano e cupo cenno severo di approvazione. E mai gli aveva raccontato favole.
Dunque, cosa stava succedendo?
Per la prima volta Nezha si accorse che il padre aveva gli occhi vitrei e strascicava le parole più del solito. E il respiro… ogni volta che apriva la bocca, Nezha veniva travolto da un’ondata di odore pungente e acre. Nezha aveva sentito un fetore simile due sole volte in precedenza: la prima, gironzolando negli alloggi dei servitori molto dopo l’ora di andare a letto, e la seconda nella camera di Jinzha.
Si dimenò sotto la mano di Vaisra sentendosi di colpo a disagio. Non gli andava più di sentire alcuna storia. Voleva tornare in classe.
«Ti racconto una storia di grotte» disse Vaisra. «Sai già che nei decenni di guerre dopo la morte dell’Imperatore Rosso, Arlong è diventata una potenza del sud. Però, negli ultimi anni del suo regno, dopo che aveva lasciato la provincia di Lóng per costruire una nuova capitale a Sinegard, Arlong era considerata un palazzo maledetto. Queste isole si trovavano in una valle di morte, di onde impetuose e di sponde di fiumi che esondavano. Nessuna nave che passava vicino alle Scogliere Rosse riusciva a salvarsi. Tutto si fracassava contro gli scogli.»
Nezha ascoltava in totale silenzio. Non aveva mai sentito quella storia e non era sicuro che gli piacesse.
«Poi» continuò Vaisra «un uomo chiamato Yu, che aveva imparato le arti sciamaniche, invocò il Dio Drago del Fiume Occidentale e lo pregò di aiutarlo a controllare i fiumi. Durante la notte, Arlong si trasformò. Le acque si calmarono. L’inondazione cessò. Gli abitanti di Arlong costruirono canali e risaie tra le isole. In pochi anni, la provincia di Lóng diventò il gioiello dell’Impero nikariano, terra di bellezza e abbondanza.» Vaisra fece una pausa. «Soltanto Yu continuava a patire.»
Vaisra dava l’impressione di sognare a occhi aperti e non di rivolgersi a Nezha bensì agli arazzi, come se stesse declamando il lignaggio dinastico a beneficio del salone silenzioso.
«Ehm.» Nezha inghiottì. «Perché…»
«La natura non può essere alterata» disse Vaisra. «Solo tenuta a bada. Le acque di Arlong hanno sempre minacciato di rompere gli argini sommergendo la nuova città con la loro furia. Yu trascorreva la propria vita in uno stato di allucinazione sciamanica, costretto a invocare di continuo il drago e a sentirselo bisbigliare nelle orecchie. Dopo decine di anni, Yu non desiderava altro che porre fine alla propria vita. Ma impossessato dal dio, e ormai incapace di morire, Yu decise di rifugiarsi a Chuluu Korikh. Eppure sapeva che per poter trovare la pace, qualcun altro avrebbe dovuto prendere il suo posto. Yu non poteva essere tanto crudele ed egoista. Cosa successe poi?»
Nezha non ne aveva idea, però poteva rimettere insieme i pezzi come in un rompicapo logico, come quelli che i suoi maestri gli insegnavano a risolvere prima dell’esame del kējǔ.
Suo padre aveva detto che si trattava di una storia di grotte e le storie di grotte parlavano di mostri.
«Yu si trasformò» disse Nezha. «Diventò un mostro.»
«Non un mostro, Nezha.» Vaisra sistemò al figlio un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. «Un salvatore. Yu fece l’estremo sacrificio per Arlong. Ma Arlong se ne dimenticò quasi subito. La gente vide il suo nuovo orripilante aspetto, le sue spire sinuose, le squame aguzze e invece di accoglierlo con gratitudine, reagì con paura. Nemmeno sua moglie lo riconobbe. Uno sguardo fu sufficiente perché cominciasse a urlare. I suoi fratelli gli lanciarono dei sassi e lo cacciarono dal villaggio confinandolo di nuovo nella grotta dove passò decenni nella speranza di proteggerli. Lui…»
La voce di Vaisra si affievolì.
Nezha alzò gli occhi. «Padre?»
Vaisra fissava gli arazzi in silenzio. Nezha seguì perplesso il suo sguardo. Nessuno di quegli arazzi narrava la storia che aveva appena ascoltato. Erano tutti dei ritratti dinastici, un’interminabile fila di immagini ricamate che raffiguravano i predecessori di Nezha oramai morti da tempo.
Cosa stava cercando di dirgli suo padre?
Quali sacrifici aveva compiuto la casata Yin per Arlong?
«I tuoi maestri mi hanno detto che volevi visitare le grotte» disse all’improvviso Vaisra.
Nezha si irrigidì. Era di questo che si trattava? Era nei guai? Già , aveva chiesto di andarci più spesso di quanto avrebbe dovuto. Aveva implorato e piagnucolato, promettendo di stare nelle secche o persino sulla sponda opposta se solo avesse ottenuto il permesso di avvicinarsi quanto bastava per dare un’occhiata oltre la bocca della caverna.
«Chiedo scusa, padre» disse. «Non lo chiederò più… ero solo curioso…»
«Di cosa?»
«Pensavo… insomma, ho sentito parlare dei tesori e pensavo…» La voce di Nezha venne meno. Aveva le guance in fiamme. Le parole che pronunciava avevano una nota stupida e infantile. Giurò a se stesso di non disobbedire mai più a suo padre.
Ma Vaisra non lo rimproverò. Lo fissò molto a lungo, con aria imperscrutabile. Infine, gli diede una pacca alla spalla.
«Non andare in quelle grotte, Nezha.» In quel momento sembrò molto stanco. «Non accollarti il fardello di un’intera nazione. È troppo pesante. E tu non sei abbastanza forte.»
«Se ho fatto i conti giusti, le esplosioni sul Monte Tian Shan hanno distrutto quasi due terzi della flotta esperiana nel Nikan» disse Kitay. «È… è parecchio.»
«Solo due terzi?» chiese Cholang. «Non tutta la flotta?»
«Nezha non ha inviato all’ovest tutta la sua flotta» disse Kitay. «Per quanto ne so, il Consortium gli ha concesso quarantotto aeronavi. Noi ne abbiamo abbattute sei all’Incudine. Vicino alla montagna ne ho viste altre trenta. E sappiamo che due di queste sono riuscite a fuggire verso ovest.»
«Se siamo fortunati, Nezha non era su una di quelle» brontolò Venka.
Troppo esausta per ridere, Rin si sfregò gli occhi doloranti. I quattro – Rin, Cholang, Kitay e Venka – erano fermi intorno al tavolo nella capanna di Cholang. Nonostante fossero tutti pallidi e irrequieti per la fatica, la riunione sembrava pervasa di un’energia ardente, pressante. Una quieta e sorprendente sicurezza, un assaggio di speranza che nessuno di loro sentiva da mesi.
Questa era la differenza tra scappare per salvarsi la vita e pianificare un assalto. Tutti quanti comprendevano l’enormità di ciò che avevano a portata di mano. Era una pazzia. Era elettrizzante.
«Quanto pensi ci metteranno gli esperiani a inviare rinforzi?» domandò Rin.
«Non ne ho idea» disse Kitay. «Probabilmente esitano. Quando ero ad Arabak giravano voci che il Consortium stava riesaminando gli investimenti fatti. Più Nezha ci mette a consolidare il sud, più il Consortium diventa suscettibile per quanto riguarda il sostegno militare. Il Consortium è un organismo intricato e necessita del voto unanime di tutti i paesi membri per poter inviare truppe in qualsiasi località straniera. Ai suoi membri invece piace sempre meno perdere vite e aeronavi costose a causa di un potere che non riescono a comprendere.»
«Allora sono dei codardi» disse Cholang. «Delle tigri di carta. Sono arrivati qui a vincere la guerra per noi, ma appena si spaventano, si tirano indietro?»
«Non finirà così facilmente» disse Rin. «Da troppo tempo hanno messo gli occhi addosso a questo continente. Non li scoraggeremo con semplici minacce. Dobbiamo fare qualcosa di reale.» Deglutì e sollevò il mento. «Se vogliamo davvero porre fine a tutto questo, dobbiamo occupare Arlong.»
Nessun...