Made for love
eBook - ePub

Made for love

  1. 312 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Hazel si è appena trasferita nella comunità di pensionati - a dire il vero, è un campo roulotte - in cui vive suo padre assieme a Diane, una bambola del sesso iperrealistica. La convivenza è a dir poco tesa, ma l'alternativa è anche peggiore. Hazel infatti è scappata dal marito miliardario, Byron Gogol, CEO e fondatore delle Gogol Industries, un'azienda che sta facendo di tutto per rendere i suoi prodotti e le sue tecnologie indispensabili nella vita quotidiana di chiunque.

Per oltre un decennio, Hazel ha tollerato di essere isolata dalla famiglia e dagli amici, controllata in ogni suo movimento. Ma quando Byron le ha proposto di collegarsi a lui tramite un chip impiantato nel cervello, ha capito che il marito aveva passato il segno ed è fuggita a gambe levate, rendendosi irreperibile. Solo che il mondo in cui ha cercato rifugio è davvero molto diverso dalla bolla asettica in cui ha trascorso gli ultimi anni.

Mentre Hazel cerca di ritagliarsi una nuova vita in questo territorio inesplorato, Byron utilizza gli strumenti più sofisticati a sua disposizione per trovarla e riportarla a casa. Le sue minacce diventano sempre più sinistre e Hazel dovrà fare scelte difficili per difendersi e liberarsi del controllo soffocante di Byron una volta per tutte.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
Print ISBN
9788804744214
eBook ISBN
9788835715238
Argomento
Literature

II

LA RAGAZZA È PALLIDA IN VOLTO. LA MORTE NON È COSÌ LONTANA, PENSA. CI SI ARRIVA FACILMENTE. L’AMORE È PIÙ LONTANO DELLA MORTE.
JOY WILLIAMS,
L’AMANTE

9

Hazel implorò e urlò a Diane di lasciarle andare il braccio, come se la bambola fosse un cane da attacco senza pelo e con due tette enormi; la tirò giù dal letto e iniziò a prenderla a calci, poi si mise a sbatterle la testa contro il muro e a compiere altri gesti illogici che presupponevano la capacità della bambola di provare dolore o perdere i sensi. Quindi cercò di spaccarle la testa contro il comodino quasi fosse un porcellino salvadanaio, ma Diane si dimostrò praticamente indistruttibile. Al che Hazel si rese conto che chi l’aveva fabbricata l’aveva progettata per resistere a pestaggi incredibili, e si sentì triste per l’umanità. “E cosa dice di te, umanità” pensò, “che una donna adulta con il braccio incastrato nella gola della bambola gonfiabile dell’anziano padre si senta triste per te?” Non era una pubblicità positiva per l’umanità.
Poi, con una specie di andatura da gemelle siamesi, Hazel trascinò Diane fuori dalla camera e si incamminò in direzione del bagno, fermandosi in corridoio per sedersi a riposare un attimo e guardare le foto di famiglia appese alle pareti. «Quella era mia zia Lena» disse a Diane, indicando con la mano libera, anche se la testa della bambola non era rivolta in direzione della foto. Zia Lena era morta e Diane non era viva né senziente, quindi quelle parole non erano di alcuna utilità pratica, ma Hazel non ne poteva più del fatto che tutto dovesse avere una funzione. La funzione era l’unica cosa che importava a Byron. La sua prima domanda a chiunque era sempre: “Che cosa fai?”, con il che intendeva: “Che cosa puoi fare per me?”. D’ora in avanti Hazel voleva compiere uno sforzo sincero perché le sue parole, le sue azioni e la sua esistenza fossero il più inutili possibile. Da oggi in avanti, prometteva di essere un dito medio ambulante di inanità rivolto a Byron o alla sua tomba.
Ma ovviamente sarebbe morta prima lei di Byron, che la facesse fuori o meno. Lui aveva la tecnologia dalla sua parte, come anche tutte le potenti forze del male dell’universo, reali o metaforiche che fossero.
«Zia Lena aveva la treccia più lunga che io abbia mai visto» disse a Diane, grugnendo e trascinandola avanti di qualche centimetro lungo il corridoio. Le dita della bambola fecero un suono musicale da xilofono quando passarono sopra la grata del riscaldamento a pavimento. «Sciolta, probabilmente le sarebbe arrivata oltre i piedi tipo una coda. Da bambina volevo i capelli lunghi come i suoi per poter fare così: infilarli nella cintura dei pantaloni, poi praticare un taglio fra le tasche posteriori di tutti i jeans e far uscire la treccia di lì, come se fossi per metà cavallo. Non per metà sul serio, a dire la verità, sarei stata cavallo solo per la coda.» Hazel diede un ultimo strattone e alla fine lei e Diane raggiunsero l’ingresso del bagno, dove la moquette lasciava il posto alle piastrelle. Aveva il fiatone; si sdraiò accanto a Diane con la guancia appoggiata al pavimento per rinfrescarsi la faccia contro la ceramica.
Non era una posizione priva di intimità, stare lì per terra con Diane. La faccia di Hazel era così vicina a quella della bambola che anche nella relativa oscurità vedeva i bottoncini in rilievo sotto i capelli di Diane, dove la parrucca era montata sul cuoio capelluto. Sdraiata sul pavimento della stanza da bagno personale del padre ultrasettantenne scapolo, Hazel notò anche con raccapriccio dei peli sparsi nel suo campo visivo. Non c’era nulla di peggio per il comfort emotivo dell’osservazione minuziosa, ricordò a se stessa. Perciò anziché approfondire l’informazione sensoriale che la circondava, Hazel scrutò a fondo l’occhio più vicino di Diane. Cercò di pensare a Diane più come a una bambola che come a un oggetto sessuale, di spostare la percentuale più verso un 80/20 che un 50/50. Benché in quel momento Hazel avrebbe voluto cambiare alcune cose riguardo alla funzionalità di Diane, tipo dotarla di un bottone “autorigurgitante” in modo da poter tirar fuori il braccio dalla gola della bambola, di sicuro non aveva critiche da fare alle sue abilità di ascoltatrice.
«Zia Lena non ha mai sfruttato la mia idea dei jeans-cavallo» continuò. «Invece, portava la treccia fissata in cima alla testa in una crocchia a cupola. È stata la sua acconciatura dai sedici anni o giù di lì fino a quando l’enfisema l’ha uccisa a sessanta. Puzzava sempre di fumo. Una volta mi sono provata uno dei suoi foulard e sapeva così tanto di fumo che mi ero immaginata la treccia-cupola zeppa di razioni di emergenza di sigarette, la sua versione della gobba di cammello cui attingere se scarseggiavano le risorse.»
Hazel si mise seduta e guardò la vasca da bagno, equipaggiata con grosse maniglie argentate e una seduta per la sicurezza di suo padre. L’idea era di provare a immergere la testa di Diane nell’acqua calda per capire se avrebbe reso un minimo più elastica la gola di gomma della bambola. Doveva ancora sollevare Diane, portarla vicino alla vasca e mettercela dentro, perciò invece di sprecare energie rimettendo in piedi entrambe per accendere la luce, prese la lunga gamba destra con la mano libera e la manovrò come un bastone telescopico, riuscendo alla fine a infilare l’interruttore fra l’alluce e il secondo dito della bambola a mo’ di infradito.
Mettere la bambola nella vasca fu una faccenda meno aggraziata. Per qualche ragione Hazel aveva una paranoia assurda che l’acqua avrebbe fatto uscire di testa la bambola, così si sforzò di parlare nel tono rassicurante e uniforme che un toelettatore di professione avrebbe usato con un gatto randagio. «Sarà magnifico» la incoraggiò Hazel «farsi un bel bagno rilassante.» Sollevò la bambola per metterla nella vasca e ci entrò anche lei, poi aprì il rubinetto. Ma guardare l’acqua sommergere il naso e la bocca della bambola le dava un’inquietante sensazione omicida, così prese un po’ di bagnoschiuma. Magari le bolle avrebbero reso la scena più festosa. «Lo senti il profumo, Diane?» le chiese Hazel. «Fresia!» I prodotti da bagno probabilmente erano di sua madre ed erano rimasti inutilizzati da quando era morta.
Pareva che più il padre si avvicinava alla propria data di scadenza, più assegnava a tutto ciò che lo circondava una durata indefinita. Il giorno prima aveva trovato nella dispensa una scatola di cereali presi da Smather’s. “E allora?” le aveva chiesto. “Quel negozio ha chiuso più di dieci anni fa, papà” aveva detto. “La catena è fallita.” “Be’, la scatola è aperta?” aveva ribattuto. Non lo era, quindi Hazel sapeva che quello metteva fine alla discussione. “A dire la verità, mi sa che nemmeno mi piacciono, quei cereali” aveva aggiunto. “Quando muoio, sono tutti tuoi.”
Mentre aspettava che la vasca si riempisse, Hazel ripensò a una storia che le aveva raccontato zia Lena, un’antica punizione per l’omicidio. Se ammazzavi qualcuno, ti legavano addosso il cadavere in decomposizione così la carne putrefatta ti infettava e alla fine morivi anche tu. Quella storia presaga di sciagura le era rimasta impressa. Ma il modo in cui zia Lena aveva cercato di rendere la metafora pregnante per Hazel le sfuggiva completamente. “In altre parole, uccidere loro ucciderebbe te” aveva sottolineato zia Lena per approfondire il messaggio, “quindi assicurati di tenere pulita la tua stanza! Quindi di’ no alla droga!”
A quel punto cercò di tirar fuori il braccio incastrato e le tornò in mente un’insolita pratica di pesca di cui aveva sentito parlare chiamata “noodling”. Il pescatore infilava il braccio nudo nei buchi sott’acqua per attirare i pesce gatto: l’animale gli addentava il braccio e a quel punto poteva essere tirato fuori. Ma se era sufficientemente grosso, certe volte trascinava sotto il pescatore e lo faceva annegare, oppure si nascondeva in un buco dove l’arto dell’umano rimaneva bloccato impedendogli di tornare in superficie a respirare.
E quello le ricordò quando era bambina e la beccavano con le mani nel barattolo dei biscotti, perché se la madre la vedeva urlava: “FERMA LÌ!”, e Hazel doveva trasformarsi in un monumento alla colpa per il suo crimine e restarsene immobile, sentendo i biscotti con la punta delle dita, perfino riuscendo a prenderne uno per poi lasciarlo cadere, e dopo un altro e lasciarlo cadere, mentre la madre andava avanti con la ramanzina. “Hazel!” sbraitava. “Perché sei così decisa a fare l’autostop sull’autostrada della malnutrizione? Lo sai cosa sono i broccoli per il tuo corpo? Come un biglietto da cento dollari. Quando li mangi, fai il pieno di salute. Lo sai che cos’è un biscotto? Una banconota del Monopoli! Stai rifilando al tuo corpo denaro falso. I tuoi denti andranno al negozio di vitamine e minerali per comprare un po’ di calcio e lo sai cosa sarà costretta a dire la cassiera? ‘Spiacente, corpo di Hazel, non hai soldi abbastanza perché Hazel è una zuccona dipendente dallo zucchero che disobbedisce ai suoi splendidi genitori.’ E il tuo corpo si metterà a piangere e magari perfino a implorare. ‘La prego, abbia pietà di me’ dirà. ‘Se non prendo subito il calcio, i denti cadranno e poi tutti a scuola mi prenderanno in giro e non avrò mai un ragazzo né un lavoro e nessuno mi vorrà bene.’ E la commessa non potrà fare altro che alzare le spalle e dire: ‘Non ho idea del perché una giovane si comporti in modo così stupido da mangiare biscotti prima di una cena nutriente, rovinandosi l’appetito e rinunciando a tutte le sostanze di cui ha un disperato bisogno per diventare un’adulta rispettabile anziché una mutante sdentata, ma se è stata una sua decisione merita qualunque cosa le succeda’.” E per tutto il tempo Hazel accumulava sotto le unghie quanto più cioccolato e frammenti di biscotti le riusciva, così quando il sermone finalmente terminava e veniva mandata in camera sua fino all’ora di cena poteva mangiare le briciole zuccherate e avere la sensazione che la missione non fosse stata un fiasco su tutta la linea.
L’acqua aveva quasi raggiunto il livello giusto per immergersi. Stabilì di far finta che la testa di Diane non fosse sott’acqua; era invece una civile intrappolata all’interno di un tombino e aveva tutto sommerso tranne la testa, ed era terrorizzata ed era compito di Hazel rassicurarla e aiutarla ad avere pazienza mentre cercavano di tirarla fuori. Allungò una mano e diede un colpetto alla testa di Diane, poi fece una smorfia: i capelli della bambola si stavano sciogliendo in una poltiglia viscida. Avrebbe dovuto toglierle la parrucca prima di metterla nell’acqua? Controllò velocemente il resto del corpo, poi si schiarì la gola. «Vuoi sapere la verità, Diane? Le cose cambiano ma rimangono anche le stesse.» Intendeva che se pure i capelli di Diane non ce l’avessero fatta, il resto del corpo sembrava reggere benone.
Applicato a se stessa, quel detto aveva un significato un po’ diverso. Eccola lì, tornata a casa dei genitori, la mano intrappolata in una specie di barattolo dei biscotti. «Ma per fortuna» disse Hazel «la tua gola non è così stretta da rappresentare un pericolo per un bambino. A meno che non sia proprio molto grosso. Io ho avuto il problema solo perché sono un’adulta. Non ti considero un rischio per i bambini, Diane. Un’altra cosa a tuo favore.»
Fu in quel momento, proprio mentre Hazel allungava la mano libera per chiudere l’acqua, che nel suo cervello iniziò lo spettacolo pirotecnico di luci bianchissime. Hazel non vedeva più nulla tranne una serie di scintille luminose che venivano sparate dietro i suoi occhi.
Si chinò in avanti nella vasca e vomitò, poi vomitò di nuovo. Ma ciò non impedì ai fuochi d’artificio di continuare.
Dopo qualche minuto, quando Hazel riprese conoscenza, la vasca stava traboccando e l’acqua aveva iniziato a raffreddarsi. In seguito si rese conto che a quel punto avrebbe dovuto chiudere il rubinetto, cosa che avrebbe eliminato il rumore e l’inondazione, dandole probabilmente più tempo per pensare, ma il suo primo pensiero fu SALVATE DIANE.
Sentì una scarica di adrenalina. Ne aveva sentito parlare, di come nei momenti di crisi madri esili col twin-set erano capaci di sollevare una station wagon per liberare il figlioletto incastrato sotto. Ma lei non l’aveva mai provata fino a quel momento. Urlò il nome di Diane e si alzò talmente di scatto che la bambola venne scaraventata fuori dalla vasca. Quando però atterrò sul pavimento, si portò dietro il braccio di Hazel in modo imprevisto. A quel punto Hazel non provava nient’altro che dolore.
Era stoica davanti al dolore emotivo. L’equivalente di un cadetto ferito della guerra di secessione, che fischiettava motivetti popolari durante un’amputazione sul campo di battaglia mentre il segaossa faceva il suo lavoro. Col dolore fisico aveva meno familiarità. La lussazione della spalla faceva veramente male.
A quel punto non sentiva nemmeno più il rumore di sottofondo dell’acqua che scorreva nella vasca. Hazel si accucciò per terra accanto a Di e rimasero lì sedute insieme, due naufraghe. La faccia della bambola era completamente nascosta dalla parrucca gommosa che adesso aveva la consistenza di un golden retriever arruffato e Hazel si vergognò, perché se la faccia di Diane sembrava il didietro di un cane enorme voleva dire che il braccio di Hazel dava l’impressione di spuntare dal didietro del suddetto cane.
Che cosa le era successo prima che la vasca si riempisse e le venisse strappata la spalla? Non aveva senso. Ripensandoci, l’incidente le ricordava un po’ la sensazione di stare al cinema a guardare lo schermo.
Al cinema che Hazel frequentava all’università passava la pubblicità di uno snack bar che anziché farle venire fame la mandava nel panico. Mostrava una corsa in ottovolante nello spazio siderale su una pista fatta di pellicola cinematografica. Il vagoncino sfrecciava in mezzo a snack giganti sospesi in aria: passava accanto a un enorme secchiello di popcorn, a hot dog smisurati, a una bibita con la cannuccia che ruotava vorticando.
Hazel ricordava il sogno di quando aveva perso i sensi un po’ come quella pubblicità, tranne che anziché passare accanto a cibo spazzatura, si era ritrovata a sfrecciare in mezzo a immagini sovradimensionate della faccia di Byron. Poi l’ottovolante si era trasformato in una terrificante casa degli specchi e la testa di Byron era diventata ancora più enorme e la sua bocca era spalancata come se lei gli fosse cascata in gola.
Poi aveva sentito odore di spaghetti. Byron teneva sulla scrivania una bottiglietta di quell’aroma artificiale per annusarlo durante i pasti, che erano beveroni nutritivi insapori (i beveroni erano già strani di per sé, ma Hazel non capiva neanche perché l’unico odore che usava fosse quello di spaghetti. “Non ti andrebbe di sentire un altro odore, tanto per cambiare?” gli chiedeva. “Un dolcetto alla cannella? Una porzione di pollo fritto?” Lui batteva le palpebre una volta, due, poi scuoteva la testa: no). A parte i beveroni, non mangiava, preferendo prendere supplementi transdermici una volta alla settimana somministrati con una siringa a pistola. Mangiare lo dis...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Made for love
  4. I
  5. II
  6. III
  7. Ringraziamenti
  8. Copyright