GIORNALISTA (sul ciglio di una strada tortuosa con alle spalle un largo edificio intonacato di bianco): Buongiorno. Vi parla Liz Rosen, di Channel 7, in diretta dalla scuola superiore di Bayview, dove gli studenti sono sotto shock per la perdita di un loro compagno. Quella di ieri è stata la seconda morte tragica di un adolescente in questa cittadina nell’arco degli ultimi diciotto mesi e davanti alla scuola si respira una sconvolgente aria di déjà-vu.
(Stacco su due ragazze, una in lacrime, l’altra con l’espressione impassibile.)
RAGAZZA IN LACRIME: È così... è una cosa così triste! A volte sembra quasi che ci sia una maledizione sulla Bayview, capisce? Prima Simon, e ora questo.
RAGAZZA IMPASSIBILE: Questo è completamente diverso da quello che è successo con Simon.
GIORNALISTA (allungando il microfono verso la ragazza in lacrime): Eri amica della vittima?
RAGAZZA IN LACRIME: Non proprio amica. Anzi, per niente. Sono solo al primo anno.
GIORNALISTA (voltandosi verso l’altra ragazza): E tu?
RAGAZZA IMPASSIBILE: Non credo ci sia permesso parlare con lei.
Reddit, forum Mia sarà la vendetta
Discussione creata da Bayview2020
Ciao.
Questo è il gruppo in cui scriveva Simon Kelleher? – Bayview2020
Saluti.
Sì, proprio quello – MenteOscura
Perché vi siete spostati? E perché non ci scrive più quasi nessuno? – Bayview2020
Troppi curiosi e giornalisti nel vecchio sito.
E abbiamo nuove misure di sicurezza. Lezione appresa dal nostro amico Simon.
Che immagino tu conoscessi, a giudicare dal tuo nome utente. – MenteOscura
Tutti conoscono Simon. Cioè, lo conoscevano. Ma non è che fossimo amici – Bayview2020
Okay. Quindi perché sei qui? – MenteOscura
Non lo so. L’ho trovato per caso – Bayview2020
Stronzate. Questo è un forum dedicato alle vendette e non è facile da trovare.
Tu sei qui per un motivo.
Qual è? O dovrei dire: chi è? – MenteOscura
Chi.
Qualcuno ha fatto una cosa orribile.
Ha rovinato la mia vita e quella di molti altri.
E non gli è successo NIENTE.
E io non ci posso fare nulla – Bayview2020
Stessa cosa per me.
Abbiamo molto in comune.
Ti girano le scatole quando la persona che ti ha rovinato la vita se ne può andare in giro come se nulla fosse.
Come se quello che ha fatto non avesse importanza.
Però devo dissentire dalle tue conclusioni.
Si può sempre fare qualcosa – MenteOscura
Maeve
Lunedì, 17 febbraio
Mia sorella pensa che io sia una scansafatiche. Non me lo dirà – o, meglio, scriverà – mai apertamente, ma è sottinteso.
Hai controllato l’elenco di università che ti ho mandato?
Sei a metà del penultimo anno, non è troppo presto per cominciare a guardarti in giro. Anzi, è quasi tardi.
Potremmo andare a visitarne qualcuna quando tornerò per l’addio al nubilato di Ashton, se vuoi. Tra l’altro, dovresti fare domanda in un posto completamente fuori dal tuo ambiente.
Che ne dici dell’università delle Hawaii?
Sollevo gli occhi dai messaggi che mi stanno comparendo sul telefono per incontrare lo sguardo interrogativo di Knox Myers. «Bronwyn è convinta che dovrei andare all’università delle Hawaii» riferisco, e a lui quasi va di traverso il boccone di empanada.
«Si rende conto che si trova su un’isola, vero?» chiede, prendendo dal tavolo un bicchiere di acqua ghiacciata e scolandone metà in un sorso. Le empanadas del Café Contigo sono leggendarie a Bayview, ma sono impegnative se non sei abituato al cibo piccante. Knox, che si è trasferito qui dal Kansas quando era alle medie e ancora annovera gli stufati con i funghi tra i suoi piatti preferiti, decisamente non lo è. «Si è già dimenticata della tua fervente avversione alle spiagge?»
«Non ho nulla contro le spiagge» protesto. «È solo che non mi entusiasma la sabbia. Né il troppo sole. Né la risacca. Né le bestie marine.» Le sopracciglia di Knox si inarcano un po’ di più a ogni aggiunta. «Senti, sei stato tu a farmi guardare Mostri degli abissi» gli ricordo. «La mia oceanofobia è soprattutto colpa tua.» Knox è stato il mio primo ragazzo, l’estate scorsa, quando avevamo entrambi troppo poca esperienza per renderci conto che non eravamo davvero attratti l’uno dall’altra. Abbiamo passato la maggior parte della nostra relazione a guardare documentari scientifici, cosa che avrebbe dovuto suggerirci fin da subito che per noi era meglio essere solo amici.
«Mi hai convinto» dice Knox in tono asciutto. «È proprio l’università giusta per te. Non vedo l’ora di leggere la tua domanda di ammissione, indubbiamente scritta con il cuore, quando sarà il momento.» Si sporge verso di me e alza la voce per dare enfasi alle ultime parole. «Cioè, l’anno prossimo.»
Sospiro, tamburellando con le dita sulle piastrelle colorate del tavolo a mosaico. Il Café Contigo è un piccolo ristorante argentino con le pareti blu, il soffitto di lamiera e una fragrante mescolanza di odori sia dolci sia speziati nell’aria. Si trova a meno di due chilometri da casa mia ed è il mio posto preferito per fare i compiti da quando Bronwyn è andata a Yale e la mia stanza all’improvviso è diventata troppo silenziosa. Del locale mi piace il trambusto accogliente e il fatto che a nessuno dia fastidio se rimango qui tre ore ordinando solo un caffè. «Bronwyn pensa che sia già tardi» dico a Knox.
«Be’, sì, Bronwyn avrà preparato la domanda di ammissione per Yale alla scuola materna, giusto?» replica lui. «In realtà abbiamo ancora un sacco di tempo.» Knox è come me: a diciassette anni frequenta il penultimo anno al liceo di Bayview pur essendo più grande della maggior parte dei nostri compagni. Nel suo caso è perché all’asilo era troppo piccolo per la sua età e i genitori l’hanno mandato a scuola un anno dopo. Nel mio è perché ho passato metà della mia infanzia dentro e fuori dagli ospedali a causa della leucemia.
«Immagino di sì.» Mentre allungo il braccio per prendere il piatto vuoto di Knox e impilarlo sopra il mio, urto la saliera, spargendo cristalli bianchi su tutto il tavolo. Quasi senza pensarci ne raccolgo un pizzico tra due dita e me lo butto alle spalle. Contro la sfortuna, come mi ha insegnato la nonna. Lei è piena di superstizioni; alcune sono colombiane, altre le ha apprese nei trent’anni in cui è vissuta negli Stati Uniti. Da bambina io le seguivo tutte, soprattutto quando ero malata. “Se indosso il braccialetto di perline che mi ha regalato la nonna, questo esame non mi farà male. Se non calpesto neanche una fessura del pavimento, il livello dei globuli bianchi sarà normale. Se mangio dodici acini d’uva alla mezzanotte di San Silvestro, non morirò quest’anno.”
«E comunque non è la fine del mondo se non vai subito all’università» dice Knox. Si stravacca sulla sedia, scostandosi dalla fronte un ciuffo di capelli castani. È così magro e spigoloso che perfino dopo essersi rimpinzato di empanadas – tutte le sue e metà delle mie – sembra ancora affamato. Ogni volta che viene da me, i miei genitori cercano di dargli qualcosa da mangiare. «Un sacco di gente lo fa.» Il suo sguardo vaga per il ristorante, poi si posa su Addy Prentiss, che sta uscendo dalla cucina con un vassoio in equilibrio su una mano.
Guardo Addy spostarsi per la sala e distribuire con esperta disinvoltura piatti carichi di cibo sui tavoli. Dopo il Ringraziamento, quando il programma dedicato ai casi criminali “Le indagini di Mikhail Powers” ha mandato in onda il servizio speciale I Quattro di Bayview: dove sono ora, Addy ha accettato di essere intervistata per la prima volta nella sua vita, probabilmente perché aveva capito che i produttori si stavano preparando a presentarla come la scansafatiche del gruppo; mia sorella è riuscita a entrare a Yale, Cooper ha ottenuto una lauta borsa di studio all’università di Fullerton, persino Nate segue un corso post diploma, mentre lei non ne ha voluto sapere. Ma per Adelaide Prentiss non ci sarà mai nessun titolo del tipo: Ex reginetta di bellezza di Bayview: dopo il liceo, il declino.
“Se sai che cosa vuoi fare dopo il diploma, bene” ha detto, appollaiata su uno sgabello del Café Contigo con alle spalle il menu del giorno scritto in gesso colorato su una lavagnetta. “Se non lo sai, perché pagare una fortuna per una laurea che potresti non sfruttare mai? Non c’è niente di male a non avere tutta la vita già pianificata a diciotto anni.”
O a diciassette. Guardo il mio telefono con diffidenza, aspettando un’altra raffica di messaggi da Bronwyn. Voglio bene a mia sorella, ma è difficile stare dietro al suo perfezionismo.
Cominciano ad arrivare i clienti della sera, che riempiono gli ultimi tavoli liberi, e qualcuno sintonizza gli enormi schermi dei televisori a parete sulla prima partita della stagione di baseball dell’università di Fullerton. Addy si ferma con il vassoio quasi vuoto e si guarda intorno, sorridendo quando incrocia i miei occhi. Viene verso il nostro tavolo nell’angolo e posa un piattino di alfajores tra me e Knox. I biscotti ripieni di dulce de leche sono una specialità del Café Contigo, e sono l’unica cosa che Addy ha imparato a fare nei nove mesi in cui ha lavorato qui.
Io e Knox allunghiamo la mano verso il piattino nello stesso istante. «Volete qualcos’altro, ragazzi?» chiede Addy, infilandosi una ciocca di capelli rosa argentato dietro l’orecchio. Ha sperimentato diversi colori l’anno scorso, ma nessuno è durato molto a lungo a parte il rosa e il viola. «Dovreste ordinare adesso, nel caso. Andremo tutti in pausa quando Cooper entrerà in campo.» Lancia un’occhiata all’orologio sulla parete. «Cioè tra cinque minuti, più o meno.»
Scuoto la testa mentre Knox si alza, spazzolandosi le briciole dalla sua felpa grigia preferita. «Io sono a posto, ma devo andare in bagno» dice. «Mi tieni il posto, Maeve?»
«Certo» rispondo e sposto la borsa sulla sua sedia.
Addy sta per girarsi quando quasi le cade il vassoio. «Oddio! Eccolo!»
Su tutti gli schermi compare la stessa immagine: Cooper Clay che cammina verso il monte di lancio per scaldarsi al suo esordio nella squadra dell’università. Ho visto Cooper a Natale, neanche due mesi fa, ma mi sembra più grosso di quanto ricordi. È bello come sempre, con la sua mascella squadrata, ma ha un inedito luccichio d’acciaio negli occhi. È anche vero che fino a questo momento l’avevo sempre guardato lanciare da lontano.
Non sento gli annunciatori, coperti dalle voci nel locale, ma posso immaginare che cosa stanno dicendo: di questi tempi il debutto di Cooper è l’argomento più gettonato per chi segue il campionato universitario, al punto che un canale sportivo locale trasmetterà l’intera partita. Parte del fermento è dovuta alla persistente notorietà dei Quattro di Bayview e al fatto che lui è uno dei pochi giocatori di baseball dichiaratamente gay, ma per il resto ha a che vedere con le sue ottime prestazioni durante gli allenamenti primaverili. Gli analisti sportivi scommettono sulla possibilità che passi alla Major League ancora prima di terminare una stagione nel campionato universitario.
«Il nostro campione sta finalmente per realizzare il suo destino» dice Addy con affetto mentre sullo schermo Cooper si aggiusta il berretto. «Devo dare un’ultima controllata ai miei tavoli e poi vi raggiungo, ragazzi.» Si allontana nella sala con il vassoio infilato sotto il braccio e il blocchetto degli ordini in mano, ma l’attenzione di tutti gli avventori si è già spostata dal cibo al baseball.
I miei occhi indugiano sullo schermo, anche se le immagini di Cooper sono state rimpiazzate da un’intervista con l’allenatore dell’altra squadra. “Se Cooper vince, quest’anno andrà bene.” Cerco di scacciare dalla mente il pensiero non appena prende forma, perché non riuscirò a godermi la partita se la trasformo nell’ennesima scommessa contro il fato.
Una sedia gratta rumorosamente il pavimento accanto a me e un giubbino di pelle nero che conosco bene mi sfiora il braccio. «Come va, Maeve?» chiede Nate Macauley, sistemandosi sulla sedia. Il suo sguardo vaga sul piano del tavolo cosparso di sale. «Oh, hai fatto una strage! Siamo spacciati, giusto?»
«Ah ah.» Trattengo a stento un sorriso. Nate è diventato come un fratello per me da quando lui e Bronwyn hanno cominciato a frequentarsi, quasi un anno fa; le prese in giro fanno parte del pacchetto, immagino. Anche se adesso si stanno prendendo una “pausa di riflessione” per la terza volta dalla partenza di Bronwyn per l’università. Dopo aver passato l’ultima estate ad angustiarsi sull...