Abissi d'acciaio (Urania)
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Abissi d'acciaio (Urania)

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Abissi d'acciaio (Urania)

Informazioni su questo libro

ABISSI D'ACCIAIO (1953) New York è irriconoscibile: un'immensa metropoli "coperta", senza torri e grattacieli, che non viene mai a contatto con l'aria, nella quale brulicano milioni di persone. Una megalopoli in cui i robot sottraggono i posti di lavoro agli uomini a un ritmo sempre più preoccupante e alle cui porte sorge come una sfida Spacetown, la città degli Spaziali, dove tutto è lusso e ariosità, superbia e ostentazione. Quando uno dei tanti terrestri scontenti ammazza uno Spaziale, il caso rischia di diventare un incidente interplanetario e per risolverlo vengono assoldati il miglior poliziotto della City, Lije Baley, e il più bravo di Spacetown, R. Daneel Olivaw. Il guaio è che quella "R" sta per robot: il sodalizio dà il via a una sfida implacabile tra l'intelligenza umana e quella artificiale, per risolvere l'omicidio più esplosivo che la Terra ricordi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
eBook ISBN
9788835715306
Argomento
Letteratura
Categoria
Fantascienza
1

Conversazione con un questore

Lije Baley era appena arrivato alla sua scrivania quando si accorse che R. Sammy lo fissava, come in attesa.
Le linee severe della sua faccia s’indurirono. «Che cosa vuoi?»
«Il capo ti cerca, Lije. Vuole che tu vada da lui immediatamente.»
«D’accordo.»
R. Sammy se ne rimase lì senza battere ciglio.
«Ho detto d’accordo!» scattò Baley. «Vattene, adesso!»
R. Sammy girò sui tacchi e tornò al solito lavoro. Baley si chiese, irritato, perché lo stesso lavoro non potesse farlo un uomo.
Esaminò il contenuto della borsa del tabacco e fece qualche calcolo mentale: a due pipate al giorno, poteva tirare fino alla prossima distribuzione.
Uscì lentamente dall’angolo riservato (si era conquistato un angolo riservato due anni prima) e attraversò la sala comune.
Simpson alzò gli occhi dai congegni dello schedario mercurico e disse: «Il capo ti cerca, Lije».
«Lo so, R. Sammy me l’ha detto.»
Dall’interno dello schedario uscì un nastro in codice, mentre il piccolo strumento frugava nella sua memoria e analizzava il risultato per fornire le informazioni archiviate nella scintillante superficie di mercurio.
«Gli darei un calcio nel sedere, a quel R. Sammy» disse Simpson. «Ma non ci tengo a rompermi una gamba. Sai, l’altro giorno ho visto Vince Barrett.»
«Ah.»
«Cercava di farsi ridare il suo lavoro, o qualunque lavoro qui al Dipartimento. Il ragazzo è disperato, ma che potevo dirgli? Il suo lavoro lo fa R. Sammy, adesso. E così gli tocca fare il garzone per una fabbrica di lieviti; era un ragazzo in gamba, piaceva a tutti.»
Baley si strinse nelle spalle e disse, con più asciuttezza di quanta intendesse: «È una cosa che dobbiamo sopportare tutti».
Il capo aveva diritto a un ufficio personale. Sulla porta di vetro smerigliato c’era scritto JULIUS ENDERBY, a belle lettere impresse nel cristallo. Più sotto, QUESTORE DELLA CITTÀ DI NEW YORK.
Baley entrò e chiese: «Voleva vedermi, questore?».
Enderby alzò gli occhi: portava gli occhiali perché aveva i bulbi sensibili e non poteva permettersi le normali lenti a contatto. Solo dopo essersi abituati alla vista di quegli aggeggi si riusciva a prestare attenzione alla faccia, che, del resto, non aveva nulla di notevole. Baley sospettava che il questore portasse gli occhiali per l’aria d’importanza che gli davano, non perché avesse gli occhi sensibili.
Il questore lo guardò con evidente nervosismo. Si lisciò i ciuffi, si appoggiò allo schienale e disse, fin troppo cordialmente: «Siediti, Lije, siediti».
Baley si mise a sedere rigido e aspettò.
Enderby chiese: «Come sta Jessie? E il ragazzo?».
«Bene» rispose Baley, piatto. «Molto bene. E la sua famiglia?»
«Bene» ripeté Enderby.
Era stata una falsa partenza.
Baley pensò: “C’è qualcosa che non va, nella sua faccia”.
A voce alta, disse: «Questore, vorrei che non mi mandasse a cercare da R. Sammy».
«Sai come la penso su queste cose, Lije. Ma l’hanno messo qui e dobbiamo pur fargli fare qualcosa.»
«Mi mette a disagio, signore. Dice che lei vuole vedermi e poi rimane lì impalato. Sa cosa intendo. Devo dirgli materialmente di andarsene, o resterebbe lì in eterno.»
«Questa è colpa mia. Gli ho dato il messaggio e ho dimenticato di specificare che una volta eseguito l’ordine poteva tornare al lavoro.»
Baley sospirò. Le pieghe agli angoli degli occhi intensamente scuri si accentuarono. «Comunque, lei voleva vedermi.»
«Sì, Lije» disse il questore. «Ma non per una cosa facile.»
Si alzò, girò la schiena e s’incamminò verso la parete alle spalle della scrivania. Toccò un bottone invisibile e una sezione del muro divenne trasparente.
Baley batté gli occhi perché non s’aspettava l’improvvisa inondazione di luce grigia.
Il questore sorrise. «Mi sono fatto installare questo trucchetto l’anno scorso, Lije. Non credo di avertelo mai mostrato. Vieni, dai un’occhiata. Ai vecchi tempi tutte le stanze avevano un affare così. Si chiamavano finestre, lo sapevi?»
Baley lo sapeva perfettamente, perché aveva visto parecchi romanzi storici.
«Ne ho sentito parlare» disse.
«Vieni qui.»
Baley si sentì rabbrividire un poco, ma fece come gli era stato chiesto. C’era qualcosa di indecente nell’esposizione di una camera privata alla luce del mondo esterno. A volte il questore spingeva le sue manie medievali fino all’estremo.
“Come per gli occhiali” Baley pensò.
Ecco cos’era! Ecco cosa lo faceva sembrare “strano”!
Baley chiese: «Scusi, questore, porta occhiali nuovi?».
L’altro lo guardò con una certa sorpresa, si tolse gli occhiali e li rimirò. Poi guardò Baley. Senza, la sua faccia sembrava più rotonda e il mento più pronunciato. Aveva un’aria imbambolata, perché i suoi occhi non riuscivano a mettere a fuoco le cose.
Rispose: «Sì».
Si rimise gli occhiali sul naso e aggiunse, con autentica rabbia: «Ho rotto i vecchi tre giorni fa. Fra una cosa e l’altra non sono riuscito a sostituirli prima di stamattina. Lije, ho passato tre giorni d’inferno».
«Per via degli occhiali?»
«E di altre cose. Ci arrivo.»
Si voltò verso la finestra e Baley lo imitò. Con un brivido Baley si accorse che fuori pioveva. Rimase perso per un minuto nello spettacolo dell’acqua che cadeva dal cielo, mentre il questore trasudava orgoglio, neanche fosse opera sua.
«È la terza volta, questo mese, che guardo la pioggia. Bello spettacolo, non ti pare?»
Controvoglia Baley dovette ammettere che era impressionante. In quarantadue anni di vita aveva visto raramente la pioggia o altri fenomeni della natura.
Commentò: «Mi sembra uno spreco che tanta acqua si versi sulla città. Dovrebbe cadere solo nei bacini».
«Lije,» disse il questore «sei un inguaribile uomo moderno. Questo è il tuo guaio. Nel Medioevo la gente viveva all’aperto, e non intendo solo nelle fattorie, ma nelle città. Perfino a New York si viveva all’aperto. Quando pioveva, la gente non pensava che fosse uno spreco. Era contenta. Viveva a contatto con la natura. È più sano, è meglio. La vita moderna ha divorziato dalla natura, da qui vengono i guai. Qualche volta, leggi come andavano le cose nel Secolo del Carbone.»
Baley l’aveva fatto. Aveva sentito troppa gente lamentarsi dell’invenzione della pila atomica, e lui stesso brontolava quando le cose andavano male o quando semplicemente era stufo. Lamentarsi è una caratteristica innata della specie umana. Nel Secolo del Carbone la gente imprecava contro la macchina a vapore; in una commedia di Shakespeare un personaggio lamentava l’invenzione della polvere da sparo. Mille anni dopo ci si lamentava per la fabbricazione del cervello positronico.
All’inferno.
Baley disse, cupo: «Mi stia a sentire, Julius». (Non era sua abitudine prendersi certe confidenze con il questore nelle ore di lavoro, anche se l’altro gli dava sbrigativamente del tu; ma stavolta gli sembrava il caso di fare un’eccezione.) «Mi stia a sentire, lei sta parlando di tutto meno della ragione per cui mi ha fatto chiamare. E questo mi preoccupa. Di che si tratta?»
Il questore rispose: «Ci arrivo, Lije, ma fammi fare a modo mio. Sono… guai».
«Sicuro, su questo pianeta non c’è altro. Guai con R.?»
«In un certo senso, sì. Mi chiedo quante altre rogne il vecchio mondo potrà sopportare. Quando ho fatto installare la finestra non è stato solo per guardare il cielo. Volevo tenere d’occhio la Città, e adesso mi chiedo che cosa ne sarà fra un altro secolo.»
Il sentimentalismo del superiore ripugnava a Baley, ma non poté fare a meno di contemplare il mondo esterno con una punta di fascino. Anche incupita dal cattivo tempo la Città offriva una vista spettacolare. Il Dipartimento di Polizia si trovava ai piani superiori del Municipio, e il Municipio svettava molto in alto. Dalla finestra del questore si vedeva la cima delle altre torri, più basse. Sembravano altrettante dita puntate al cielo. Le pareti erano lisce e senza aperture. Erano i gusci esterni dell’alveare umano.
«Quasi mi dispiace che stia piovendo» disse il questore. «Non riusciamo a vedere Spacetown.»
Baley guardò a ovest, ma era come aveva detto il questore: l’orizzonte era offuscato dal maltempo. Le torri di New York sbiadivano sempre più nella nebbia e sparivano in un indistinto sfondo biancastro.
«So com’è Spacetown» disse Baley.
«Mi piace come appare da qui» fece il questore. «Si distingue appena nell’intervallo fra i due settori di Brunswick. Cupole basse sparse dappertutto. È questa la differenza fra noi e gli Spaziali: noi viviamo affollati in poco spazio e dobbiamo costruire le torri per starci dentro tutti, loro si permettono una cupola per famiglia. Ogni famiglia ha la sua casa. E fra le cupole c’è spazio… hai mai parlato con uno Spaziale, Lije?»
«Qualche volta. Circa un mese fa ho parlato con uno di loro dal suo intercom» disse Baley, paziente.
«Sì, ricordo. Ma sto andando nel filosofico: noi e loro. Due modi di vita diversi.»
Lo stomaco di Baley cominciava a contrarsi un po’. Più tortuoso era il modo in cui il questore affrontava l’argomento, più micidiale doveva essere la conclusione.
Disse: «Va bene, ma cosa c’è di tanto sorprende...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. ABISSI D’ACCIAIO
  4. 1. Conversazione con un questore
  5. 2. Viaggio su una strada celere
  6. 3. Incidente in un negozio di scarpe
  7. 4. Presentazione di una famiglia
  8. 5. Analisi di un omicidio
  9. 6. Sussurri in una camera da letto
  10. 7. Escursione a Spacetown
  11. 8. L’identità di un robot
  12. 9. Spiegazioni di uno Spaziale
  13. 10. Pomeriggio di un agente investigativo
  14. 11. Fuga sulle strade mobili
  15. 12. Parla un esperto
  16. 13. Ora tocca alla macchina
  17. 14. Il potere di un nome
  18. 15. Arresto di un cospiratore
  19. 16. In cerca di un movente
  20. 17. Conclusione di un progetto
  21. 18. Fine delle indagini
  22. L’AUTORE. ISAAC ASIMOV. La voce della fantascienza
  23. 70 ANNI. DI URANIA (1952-2022). LA STORIA DEL. PREMIO URANIA
  24. Copyright