Non siamo soli
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Non siamo soli

I segnali di vita intelligente dallo spazio

  1. 240 pagine
  2. Italian
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Non siamo soli

I segnali di vita intelligente dallo spazio

Informazioni su questo libro

Non siamo soli nello spazio. Avi Loeb, uno dei più noti astronomi a livello internazionale e docente alla Harvard University, ne è certo. La prova risalirebbe all'ottobre 2017, quando i telescopi sull'isola di Maui intercettarono un punto luminoso che sfrecciava rapido nel cielo. Si trattava del primo oggetto interstellare mai individuato nel nostro sistema solare, battezzato con il nome di 'Oumuamua.

Alla luce dei dati raccolti in undici giorni di osservazione, gli scienziati si aggrapparono alla teoria che 'Oumuamua fosse una cometa piuttosto anomala, dato che aveva una forma stravagante, era troppo brillante, viaggiava a velocità sostenuta lungo una traiettoria inusuale e non lasciava detriti al suo passaggio. Secondo l'approccio tanto visionario quanto rigoroso di Loeb, l'ipotesi migliore è invece molto più semplice: 'Oumuamua non era un fenomeno naturale. Le sue caratteristiche peculiari indicherebbero una tecnologia extraterrestre molto avanzata. Ma la teoria sulle origini aliene di questo oggetto interstellare ha creato un'eco immediata tra l'opinione pubblica e rinvigorito il malanimo della comunità scientifica, restia a qualunque ricerca volta a indagare se il fenomeno della vita esista altrove nell'universo. Tuttavia, le probabilità che organismi intelligenti si siano evoluti fuori dal nostro pianeta sono elevate: basti pensare che nella sola Via Lattea ci sono cinquanta miliardi di pianeti di dimensioni e temperature superficiali simili a quelle terrestri. Ammettere che una civiltà aliena possa aver creato tecnologie raffinate è però una scommessa su cui pochi vogliono puntare.

Loeb ci conduce in un viaggio attraverso i confini più remoti della scienza, dello spazio e del tempo, condividendo le sue ricerche e le profonde implicazioni per la nostra specie e il nostro pianeta, e ci sfida a pensare in modo critico a ciò che è là fuori, non importa quanto strano possa sembrare.

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Informazioni

III

Anomalie

La scienza assomiglia a un romanzo poliziesco. Per gli astrofisici si tratta di un’ovvietà che assume un significato peculiare. Nessun’altra area dell’indagine scientifica, infatti, ha a che fare con un’analoga varietà di scale e di concetti. L’ambito cronologico che studiamo inizia prima del big bang e si protrae fino alla fine del tempo, anche se riconosciamo che le nozioni stesse di tempo e di spazio sono relative. La nostra ricerca discende fino al livello dei quark e degli elettroni – le più piccole particelle a noi note – per poi allargarsi fino al confine dell’universo, e riguarda, direttamente o indirettamente, tutto quello che c’è in mezzo.
E così gran parte del nostro lavoro di investigazione è tuttora incompleto. Ancora non comprendiamo la natura degli elementi principali dell’universo, quindi per ignoranza li chiamiamo «materia oscura» (che contribuisce al totale della massa cosmica cinque volte più della materia ordinaria di cui siamo fatti) ed «energia oscura» (che domina sia la materia oscura sia quella ordinaria, e che causa, quantomeno attualmente, la peculiare accelerazione cosmica). Neppure comprendiamo che cosa abbia provocato l’espansione cosmica o che cosa accada all’interno dei buchi neri: due aree di studio, queste ultime, in cui mi sono impegnato fin da quando decisi di passare all’astrofisica, tanti anni fa.
Ci sono talmente tante cose a noi ignote che spesso, addirittura, mi chiedo se un’altra civiltà, che avesse il vantaggio di aver sviluppato la scienza per un miliardo di anni, ci considererebbe intelligenti. La possibilità che magari ci sia riservata tale cortesia, sospetto, sarà determinata non da ciò che sappiamo ma dal modo in cui lo sappiamo, cioè dalla nostra fedeltà al metodo scientifico. Sarà sul terreno della ricerca, senza pregiudizi di dati che confermino o confutino le ipotesi, che la pretesa dell’umanità di partecipare a una qualsiasi forma di intelligenza universale si dimostrerà fondata oppure no.
Molto spesso ciò che mette in moto l’indagine di un astrofisico è la scoperta di un’anomalia nei dati sperimentali o osservativi, una risultanza che non si accorda con le aspettative e che non può essere spiegata con quanto sappiamo. In simili situazioni è pratica comune proporre una varietà di spiegazioni alternative per poi scartarle a una a una sulla base di nuovi dati, finché si trova l’interpretazione corretta. Così accadde, per esempio, nel caso della scoperta della materia oscura da parte di Fritz Zwicky all’inizio degli anni Trenta del secolo scorso: l’ipotesi si basava sull’osservazione del fatto che il moto delle galassie negli ammassi richiedeva più materia di quanta ne risultasse visibile ai nostri telescopi. La proposta di Zwicky fu ignorata fino agli anni Settanta, quando ulteriori dati sul moto delle stelle nelle galassie e sulla velocità di espansione dell’universo ne fornirono una prova schiacciante.
Questo procedimento di selezione può dividere, e anche spaccare, intere comunità disciplinari, mettendo in contrapposizione le spiegazioni e i loro sostenitori finché – qualche volta – una delle parti presenta una prova definitiva.
Così sono andate le cose nel caso di ‘Oumuamua, dal quale è nato un dibattito che, in mancanza di una prova schiacciante, è ancora in corso. Anzi, vale la pena ammettere con tutta franchezza che la probabilità che gli scienziati possano mai ottenere una prova definitiva è assai remota. Raggiungere e fotografare ‘Oumuamua è impossibile. Non otterremo mai qualcosa in più dei dati di cui disponiamo ora, e questo ci assegna il compito di ipotizzare spiegazioni che rendano conto di tali dati. Questa, come è ovvio, è un’impresa tipicamente scientifica. Nessuno può inventare nuovi dati, nessuno può ignorare dati che siano in contrasto con un’ipotesi, e nessuno può inserire – come nella vecchia vignetta dello scienziato alle prese con una complicata equazione – la frase: «E poi si verifica un miracolo». Ma forse la scelta più pericolosa, più inquietante, sarebbe quella di dichiarare a proposito di ‘Oumuamua: «Non c’è niente da scoprire qui, è ora di andare avanti, abbiamo appreso quello che c’era da apprendere e faremmo proprio meglio a tornarcene alle nostre precedenti occupazioni». Purtroppo, al momento in cui scrivo, questo sembra essere ciò che molti scienziati hanno deciso di fare.
All’inizio, il dibattito scientifico su ‘Oumuamua fu piuttosto pacato. Attribuisco tale disposizione d’animo al fatto che, in un primo tempo, non eravamo a conoscenza delle anomalie più sconcertanti dell’oggetto. In principio, questo romanzo giallo si presentava come un caso facilmente risolvibile: la spiegazione più probabile per delineare ‘Oumuamua – quella che fosse una cometa o un asteroide interstellare – era anche la più semplice, la più banale.
Ma nel corso dell’autunno 2017, io e una parte significativa della comunità scientifica internazionale cominciammo a nutrire delle perplessità in merito ai dati. Sempre io e una parte significativa della comunità scientifica internazionale non riuscivamo a far quadrare i dati con l’ipotesi che ‘Oumuamua fosse una cometa o un asteroide interstellare. Dato che avevamo tutti difficoltà a conciliare i dati con l’ipotesi, per spiegare le sempre più numerose peculiarità di ‘Oumuamua cominciai a formulare ipotesi alternative.
A prescindere da qualunque altra conclusione potessimo raggiungere in merito a ‘Oumuamua, la maggior parte degli astrofisici insisterebbe ad affermare che tale oggetto era un’anomalia in piena regola.
Tanto per cominciare, prima della scoperta di ‘Oumuamua nessun oggetto comprovatamente interstellare era mai stato osservato nel sistema solare. Questo fatto da solo faceva di ‘Oumuamua un caso di portata storica sufficiente per attrarre l’attenzione di molti astronomi, il che portò alla raccolta di altri dati che furono interpretati e rivelarono ulteriori anomalie, il che a sua volta attrasse l’attenzione di ancor più astronomi, e così via.
Con l’individuazione di tali anomalie iniziò il vero lavoro di investigazione. Più particolari apprendevamo su ‘Oumuamua, più chiaro diventava che questo oggetto era davvero misterioso, proprio come riferivano i media.
Non appena l’osservatorio delle Hawaii ne annunciò la scoperta, gli astronomi di tutto il mondo puntarono su di esso telescopi di vario genere, anche se ‘Oumuamua era ormai in fuga verso il sistema solare esterno. La comunità scientifica era a dir poco curiosa. Un po’ come se una signora fosse venuta a casa vostra per cena e soltanto al momento in cui, ormai uscita dalla porta, si fosse avviata lungo la strada buia voi vi foste accorti di tutte le sue strane caratteristiche. Noi scienziati avevamo molte domande sul nostro visitatore interstellare, e per raccogliere informazioni dovevamo fare i conti con una finestra temporale che si stava rapidamente chiudendo: procedemmo riconsiderando i dati che avevamo già raccolto sulla nostra ospite a cena e osservandone l’immagine che scompariva nella notte.
Una domanda urgente era: che aspetto aveva ‘Oumuamua? Non avevamo, e non abbiamo, una fotografia nitida su cui basarci. Ma disponiamo dei dati di tutti quei telescopi che per circa undici giorni furono impegnati a raccogliere più informazioni possibili. E, una volta che i nostri telescopi furono puntati su ‘Oumuamua, cercammo un’informazione in particolare: come rifletteva la luce solare?
Il nostro Sole funziona come un lampione che illumina non soltanto tutti i pianeti che gli orbitano intorno, ma ogni oggetto che si avvicina a sufficienza ed è abbastanza grande per essere visibile dalla Terra. Per farsi un’idea chiara della situazione, ci si deve prima rendere conto del fatto che in quasi tutti gli scenari due oggetti qualsiasi ruoteranno l’uno rispetto all’altro quando si passano accanto. Tenendo presente questo, si immagini una sfera perfetta che sfreccia accanto al Sole mentre segue la sua traiettoria attraverso il sistema solare. La luce che si riflette sulla sua superficie è costante, perché l’area della sfera in moto che fronteggia il Sole è costante. Ma qualunque corpo diverso da una sfera rifletterà la luce solare in misura variabile a mano a mano che l’oggetto ruota. Un pallone ovale, per esempio, riflette più luce quando a fronteggiare il Sole è una delle sue facce oblunghe e meno luce quando, nella sua rotazione, a opporsi al Sole sono le sue facce più ridotte.
Variazione in luminosità di ‘Oumuamua nel corso del giorno (misurato in ore), osservata da differenti telescopi durante tre giornate dell’ottobre 2017. I punti rappresentano misurazioni eseguite con diversi filtri nelle bande spettrali del visibile e del vicino infrarosso. La quantità di luce solare riflessa variava periodicamente di un fattore dieci circa (2,5 magnitudini) mentre ‘Oumuamua compiva una rotazione ogni otto ore. Ciò implicava che avesse una forma molto allungata, con una lunghezza almeno da cinque a dieci volte maggiore della larghezza sullo sfondo della volta celeste. La linea tratteggiata rappresenta la curva attesa se ‘Oumuamua fosse un ellissoide con un rapporto 1:10 tra gli assi. Immagine di Mapping Specialists, Ltd. ricavata da European Southern Observatory/K. Meech et al. (CC BY 4.0).
Variazione in luminosità di ‘Oumuamua nel corso del giorno (misurato in ore), osservata da differenti telescopi durante tre giornate dell’ottobre 2017. I punti rappresentano misurazioni eseguite con diversi filtri nelle bande spettrali del visibile e del vicino infrarosso. La quantità di luce solare riflessa variava periodicamente di un fattore dieci circa (2,5 magnitudini) mentre ‘Oumuamua compiva una rotazione ogni otto ore. Ciò implicava che avesse una forma molto allungata, con una lunghezza almeno da cinque a dieci volte maggiore della larghezza sullo sfondo della volta celeste. La linea tratteggiata rappresenta la curva attesa se ‘Oumuamua fosse un ellissoide con un rapporto 1:10 tra gli assi. Immagine di Mapping Specialists, Ltd. ricavata da European Southern Observatory/K. Meech et al. (CC BY 4.0).
Agli astrofisici, la variazione di luminosità fornisce preziosi indizi sulla forma di un oggetto. Nel caso di ‘Oumuamua la luminosità variava di un fattore dieci ogni otto ore, che deducemmo fossero il periodo di tempo occorrente affinché effettuasse una rotazione completa. Questa drastica variazione della luminosità ci diceva che la forma di ‘Oumuamua era molto allungata, ossia che la sua lunghezza era almeno da cinque a dieci volte maggiore della larghezza.
A queste caratteristiche si aggiunsero altri dati sulle dimensioni. L’oggetto, si poteva affermare con certezza, era relativamente piccolo. La sua traiettoria in prossimità del Sole implicava che ‘Oumuamua dovesse avere una temperatura superficiale molto elevata, il che l’avrebbe reso visibile alla fotocamera a raggi infrarossi di Spitzer, il telescopio spaziale che la NASA aveva lanciato già nel 2003. Tuttavia la fotocamera di Spitzer non riuscì a rilevare alcuna radiazione termica emessa da ‘Oumuamua. Ciò ci spinse a supporre che l’oggetto dovesse essere piccolo e quindi difficile da rilevare per il telescopio. Secondo le stime, la sua lunghezza doveva essere di circa cento metri, ossia all’incirca pari a quella di un campo da calcio, e la sua larghezza di meno di dieci. Si tenga presente che anche un oggetto sottile come un rasoio spesso sembra avere una certa larghezza al variare casuale del suo orientamento nel cielo, quindi l’effettiva larghezza di ‘Oumuamua poteva essere anche minore.
Ipotizziamo che la stima più elevata di queste dimensioni sia esatta e che l’oggetto misurasse qualche centinaio di metri per qualche decina di metri. Ciò renderebbe la geometria di ‘Oumuamua più estrema di diverse volte almeno, quanto a rapporto di formato – cioè a rapporto tra larghezza e altezza –, rispetto agli asteroidi o alle comete più estreme che siano mai state osservate.
Immaginate di chiudere questo libro e di fare una passeggiata in un posto qualsiasi. Incontrate altre persone. Forse vi sono sconosciute e di certo hanno un aspetto diverso l’una dall’altra, ma in base alle loro proporzioni sono immediatamente riconoscibili come esseri umani. L’aspetto di ‘Oumuamua fa l’effetto che farebbe, tra tali sconosciuti, una persona con la circonferenza della vita apparentemente più sottile di quella del polso. Vedere una persona simile vi farebbe dubitare o della vostra vista o della vostra idea di persona. Questo in sostanza era il dilemma che gli astronomi si trovarono di fronte quando cominciarono a interpretare i primi dati relativi a ‘Oumuamua.
Rappresentazione artistica di ‘Oumuamua come una roccia oblunga, a forma di sigaro. Questa è diventata l’immagine comunemente accettata dell’oggetto interstellare. ESO/M. Kornmesser.
Rappresentazione artistica di ‘Oumuamua come una roccia oblunga, a forma di sigaro. Questa è diventata l’immagine comunemente accettata dell’oggetto interstellare. ESO/M. Kornmesser.
Come accade in ogni buon poliziesco, le prove che emersero in merito a ‘Oumuamua nell’anno successivo alla sua scoperta ci permisero di abbandonare alcune teorie e di scartare ipotesi che non si accordavano con i fatti. La sua luminosità durante la rotazione ci forniva indizi essenziali sugli aspetti che ‘Oumuamua di certo non poteva avere e su quelli che forse avrebbe potuto avere. Per quanto riguarda quest’ultimo elemento, le dimensioni piuttosto piccole ma estreme erano compatibili soltanto con due possibili forme. Il nostro visitatore interstellare era allungato come un sigaro o piatto come una frittella.
In entrambi i casi, ‘Oumuamua era una rarità. Nel caso fosse allungato come un sigaro, non avevamo mai visto nessun oggetto spaziale di origine naturale di quelle dimensioni e tanto allungato; nel caso fosse piatto come una frittella, non avevamo mai visto nessun oggetto spaziale di origine naturale di quelle dimensioni e così schiacciato. Si tenga presente, per confronto, che tutti gli asteroidi avvistati in precedenza nel sistema solare avevano rapporti tra lunghezza e larghezza pari al massimo a tre. ‘Oumuamua, come si è detto, aveva un rapporto compreso tra cinque e dieci.
E c’era dell’altro.
Oltre a essere piccolo e ad avere una forma singolare, era stranamente brillante. Nonostante le sue minuscole dimensioni, mentre passava in prossimità del Sole, riflettendone la luce, ‘Oumuamua risultò piuttosto brillante, almeno dieci volte più riflettente delle comete e degli asteroidi tipici del sistema solare. Se, come sembra possibile, ‘Oumuamua era diverse volte più piccolo rispetto al limite superiore di alcune centinaia di metri che gli scienziati attribuivano alle sue dimensioni, la sua riflettanza doveva raggiungere valori senza precedenti, simili a quelli di un metallo lucido.
Quando fu reso ufficiale il primo annuncio della scoperta di ‘Oumuamua, tutte queste peculiarità risultavano sconcertanti. Nell’insieme rappresentavano un enigma per gli astronomi. Nell’insieme esigevano un’ipotesi che fosse in grado di spiegare perché un oggetto di origine naturale – a quel punto nessuno sosteneva che ‘Oumuamua fosse qualcosa di diverso – avesse caratteristiche tanto rare dal punto di vista statistico.
Forse, ragionavano gli scienziati, le strane proprietà dell’oggetto erano causate dalla sua esposizione alla radiazione cosmica per le centinaia di migliaia di anni durante le quali aveva verosimilmente viaggiato nello spazio interstellare prima di raggiungere il nostro sistema solare. La radiazione ionizzante, in teoria, poteva aver corroso in misura significativa una roccia interstellare, sebbene non fosse chiaro perché un simile processo avrebbe dovuto produrre la forma di ‘Oumuamua.
O forse le ragioni di quella stranezza erano dovute all’origine dell’oggetto. Forse era stato espulso con violenza da un pianeta mediante una fionda gravitazionale in un modo che spiegava alcune delle sue caratteristiche: se un oggetto di opportune dimensioni si avvicina a un’opportuna distanza da un pianeta, parte del pianeta potrebbe essere strappata via e scagliata, come fosse lanciata da una fionda, nello spazio interstellare. All’opposto, forse era stato gentilmente strappato da uno strato di oggetti ghiacciati orbitanti nelle regioni esterne di un sistema solare, qualcosa di simile alla nube di Oort del nostro sistema.
Si potevano formulare ipotesi a partire da supposizioni sul transito di ‘Oumuamua o sulle sue origini. Se la particolarità di ‘Oumuamua si fosse limitata alla sua peculiare forma e alle sue peculiari proprietà di riflessione, entrambe le teorie avrebbero potuto risultare soddisfacenti. In tal ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Non siamo soli
  4. Introduzione
  5. I. Esploratore
  6. II. La fattoria
  7. III. Anomalie
  8. IV. StarChip
  9. V. L’ipotesi della vela fotonica
  10. VI. Conchiglie e boe
  11. VII. Imparare dai bambini
  12. VIII. Vastità
  13. IX. Filtri
  14. X. Astroarcheologia
  15. XI. La scommessa di ‘Oumuamua
  16. XII. Semi
  17. XIII. Singolarità
  18. Conclusione
  19. Poscritto
  20. Note
  21. Ulteriori letture
  22. Ringraziamenti
  23. Copyright