Erbe da mangiare
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Erbe da mangiare

Ricette di Ada De Santis - Illustrazioni di Giuliano Della Casa

  1. 528 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Erbe da mangiare

Ricette di Ada De Santis - Illustrazioni di Giuliano Della Casa

Informazioni su questo libro

Erbe da mangiare è un libro originale e multiforme: un po' ricettario, un po' erbario, un po' repertorio di citazioni letterarie, un po' raccolta di antiche leggende. Soprattutto, è una guida con cui "andar per erbe" nei prati e nei boschi, e ricavarne gli ingredienti per ottimi piatti: asparagi selvatici, borragine, cicorie, cardi, papaveri¿ Piante commestibili che i nostri nonni conoscevano benissimo e che anche nell'epoca degli ipermercati possono tornare a diventare protagoniste di tante prelibatezze. Come quelle che ci insegna a cucinare Ada De Santis in queste ricette (oltre cento per più di trenta erbe) accompagnate dalle dotte e divertenti introduzioni di Luigi Ballerini, uno dei poeti italiani più eclettici e attivi sulla scena internazionale. Il tutto "condito" dalle preziose illustrazioni al tratto di Giuliano Della Casa che aiutano a identificare le diverse specie.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
Print ISBN
9788804581789
eBook ISBN
9788852061929

BORRAGINE

Il nome della borragine, secondo alcuni, deriverebbe da borra (o burra), che a sua volta rimanderebbe al tardo latino borrago. Poiché borra designa cimatura di panni o lanugine o cascame, adoperati per feltri o imbottiture o tessuti ruvidi, non escluderei che il collegamento tra borra e borrago l’abbia proposto qualcuno che, avendo palpato la superficie pelosa delle foglie della borragine, abbia voluto trarne rapide conclusioni. E però a borra accennano anche gli etimologisti sia dell’Oxford English Dictionary sia del Grande dizionario della lingua italiana, meglio noto come “il Battaglia”. Meno facili ad accontentarsi, e certamente più affidabili, Manlio Cortellazzo e Paolo Zolli, nel loro Dizionario etimologico della lingua italiana, riallacciano la borragine(m) all’arabo abū ‘arak che vuol dire “sudorifero” (letteralmente: “padre del sudore”) e dunque “pianta che fa sudare”. C’è infine chi suggerisce di far derivare borragine dal celtico borrach che vuol dire “coraggio”.
Ora se la primissima esperienza, quella del palpare, è accessibile a chiunque, e l’esperirla non procura guai, e se anche per la seconda chiunque potrà verificarne gli effetti sulla propria pelle con totale impunità (i casi sono solo due: con la borragine o si suda o non si suda, e sudare, comunque, fa bene), con la terza esperienza bisogna stare attenti: il coraggio di per sé è una buona cosa, ma può essere malriposto e trascinare in pericolose avventure. Per esempio: chi garantisce che «bevendo una coppa di liquore in cui galleggino alcuni petali di borragine», come scrive Alain Denis nel suo Erbe spezie condimenti1 non se ne trovi abbastanza (di coraggio) per convincersi a partire per la Terra Santa, come pare che succedesse a certi, prima titubanti e poi, dopo la bevuta, convintissimi, Crociati?
Che la sia come la sia, la borragine è detta anche borrana e, tanto nei tempi antichi quanto in quelli che oggi si preferisce chiamare protomoderni, buglossa, cioè lingua di bue cui, a parte il colore, un po’ assomiglia. C’è però anche chi tratta borragine e buglossa come due piante distinte, anche se poi dice di entrambe quasi le stesse cose, come fa Burton, Robert Burton, il secentista (1577-1640) – non il novecentista Richard (più impegnato, quest’ultimo, in vicende filmico-matrimoniali) – nel suo imperituro Anatomy of Melancholy, pubblicato nel 1621.2
Nella terza sottosezione del primo membro, della quarta sezione, della seconda parte del suo supervoluminoso contributo alla scienza medica, l’autore scrive infatti che la borragine e la buglossa possono aspirare ai posti più avanzati [in un lungo catalogo di erbe da lui redatto con tanto di indicazione di quella parte del corpo umano cui esse recano beneficio] sia per quel che riguarda la loro sostanza in generale sia per quel che, trasformato in decotti, distillazioni, estratti, olii eccetera, eccetera si rinviene, specificamente, nella linfa, nelle radici, nei semi, nei fiori e nelle foglie. La buglossa è umida e calda, continua il Burton, per cui volentieri la si annovera tra quelle erbe che espellono l’umore malinconico e rallegrano il cuore. E dopo una bella lista di scrittori antichi (nella quale non mancano i soliti sospetti: Galeno, Dioscoride, Plinio, Plutarco, Diodoro e Celio), sull’autorità dei quali il nostro fonda l’esattezza delle proprie conoscenze, ci informa che la buglossa (o la borragine) altro non è, secondo quel che ne scrive Omero, nel libro IV dell’Odissea (v. 221 e seguenti), che quello stesso nepente che Elena gettò nel vino di cui bevevano i suoi ospiti per farla finita con il piagnisteo cui aveva dato la stura suo marito Menelao, nobile carico di tanta gloria e di altre un po’ meno gloriose protuberanze. Si tratta, recita Omero, di un farmaco «che l’ira e il dolore calmava, oblio di tutte le pene. / Chi lo inghiottisse, una volta mescolato col vino, / giù dalle palpebre pianto non verserebbe quel giorno, / neppure se gli morisse il padre o la madre, / né se davanti a lui col bronzo straziassero / un fratello o un figliolo, e lui vedesse con gli occhi».3 E che si trattasse proprio di un’erba lo specifica Omero stesso informandoci che «Tali rimedi sapienti aveva la figlia di Zeus, / efficaci, che Polidamna le diede, la sposa di Tone, l’egizia: la terra dono di biade là produce moltissimi / farmachi, molti buoni, e misti con quelli molto mortali».4
Che Burton tenesse la borragine in una stima tutta particolare si evince anche dagli emblemi che illustrano il frontespizio del suo opus magnum, l’ottavo dei quali le è, appunto, dedicato e che, insieme al nono (dedicato all’elleboro), è oggetto del seguente elogio (in ottava rima, nell’originale): «Borragine ed elleboro riempiono due scene / piante sovrane che purgano le vene / dalla malinconia, e rallegrano il cuore / liberandolo da quei neri effluvi che gli procurano intenso dolore; / e sgombrano il cervello dalle umide nebbie / che intorpidiscono i sensi e intasano l’anima». Conclude quindi Burton: «È il miglior antidoto che Dio abbia mai creato / contro questa affezione [la malinconia], se presa però nella giusta proporzione».5
Non si può per altro fare a meno di tacere che l’efficacia della borragine nella cura della malinconia era già stata segnalata e, anzi, gridata, da Jacques Ferrand in quel suo testo essenzialissimo che è Malinconia erotica (1610). Per espellere dal più problematico e sativo degli orifizi umani, l’umore che sta alla base di tale affezione, il medico (e leguleio) francioso aveva proposto di far seguire alla evacuazione degli escrementi dalla prima regione del corpo (tramite clistere), l’assunzione, per via orale (suppongo) di «un giulebbe o un apozema simile al seguente: Prendete una grossa manciata di buglossa e una di borragine, con le radici di cicoria, di endivia, di acetosa, di anagallide e di cetracca. A questo aggiungete una mezza manciata di luppoli e di betonica e una mezza oncia di polipodio. Aggiungete quindi tre dramme di uva passa pulita e di sultanina e tre prugne dolci. Unitevi 1 ½ dramma di semi di melone, di zucca e di cetriolo, 1 dramma di semi di agnocasto e di anice e una piccola manciata di timo, epitimo, e cordiale di tre fiori. Fate due libbre di decotto. Aggiungete…». Ma credo che, qui, in realtà, si possa anche non aggiungere altro e rimandare il lettore che fosse ancora eroticamente malinconico e desiderasse tentare di curarsi nel modo indicato dal Ferrand alle pagine 125 e 126 dell’edizione che di quel libro ne ha procurato Massimo Ciavolella.6
Per continuare in maniera meno truculenta sul versante medico e facendo in realtà un salto all’indietro di qualche centinaio di anni, si ricorra alla scrittrice, musicista, cosmologa, drammaturga, filosofa, consigliera politica, profetessa e naturalista Ildegarda di Bingen (nata nel 1098, un anno prima che i Crociati conquistassero Gerusalemme) che intorno alla borragine, nella sua Physica, sostiene cose non meno strabilianti. Per esempio, se a uno gli si oscura la vista, tutto quel che deve fare per riconquistare chiarezza di visione è sminuzzare della borragine, ridurla in pastetta e spalmarla su un tessuto di seta di colore rosso e poi metterselo sugli occhi e tenercelo tutta la notte. Una volta però non basta. Per avere buoni risultati bisogna ripetere spesso l’applicazione. Se poi questa specie di pomata di borragine si riesce a metterla anche nella parte interna delle palpebre tanto meglio. Se tuttavia la seta, anziché rossa, fosse verde o bianca, allora la borragine, non più ridotta a pomata, ma liquida, potrà impiegarsi per curare tutt’altri fastidi. Tra questi il fischio nelle orecchie. Si fa così: si intride il panno con il succo di borragine e con esso si copre il collo e la nuca del sofferente fino all’altezza delle orecchie, che per altro devono restare scoperte. Anche qui: repetita juvant e le orecchie smetteranno di fischiare. Mescolata alla crusca, scaldata insieme ad essa, e spalmata sulla pancia – soprattutto nella zona ombelicale – fa guarire dalle ulcere intestinali (CCI, II, 72).
Le sorprese che ci riserva la borragine non si limitano, comunque, al sudore, al coraggio e neppure alla sua efficacia come riequilibrante degli umori melancolici. La sua reputazione come pianta capace di tirar su di morale e di rendere addirittura euforici è ampiamente documentata fin dall’antichità. Nel già citato The Herball, che risale all’ultimo decennio del Cinquecento, John Gerard sostiene che, proprio per questa sua qualità di fare gli uomini «merry and joyfull» (“spensierati e giocherelloni”), Plinio avesse voluto dare alla borragine (che però Plinio chiama buglossa) il nome di Euphrosinum,7 e non esita a tirare in ballo anche lui, quel che tutti tiravano in ballo da secoli, e che per secoli a venire tutti avrebbero continuato a tirare in ballo: un adagio latino secondo cui «Ego borago gaudia semper ago».
Tra i tiratori anche l’illustre medico veneto-ferrarese Michele Savonarola (1385 ca - 1466) che nel suo Libreto de tutte le cosse che se magnano8 (un testo di stretta discendenza ippocratico-galenica, composto intorno agli anni 1450-52) così la descrive: «Borago calda è e secca in primo e in la prima mansione, si che non è molto distante dal temperato. Vole alquanti che pur humida sia, non trapassando il primo. È dura da padire cruda, imperò megiore è cocta. Molto utile è cum la latuca, il perché sua frigidità contempera e genera bono sangue, dove letifica i melenconici cussì da quelli usata, di che dice de lei el verso [ariecchice!] ait borago gaudia semper ago. E molti confirmano che l’uso de quella confirma la memoria e questi tali la pronuntia più secha che humida» (pp. 73-74).9
Se il coraggio (sudato o meno) dovesse dunque fare cilecca, e la malinconia non presentarsi ai nastri di partenza (di uscita), potremo sempre sperare che, almeno, la borragine metta di buon umore, come auspica tra l’altro il nome che a quest’erba hanno dato gli abitanti del Galles, celebri nel mondo per la loro garrula spensieratezza: llawenlys, che vuol dire appunto “erba della felicità, della gioia”. Ma, se per caso, nemmeno in Galles fosse dato di riscontrare gli effetti esilaranti della borragine, si può star certi che una sorsata di succo di borragine è andata decisamente a buon fine nelle terre del Mago di Oz, dove anzi l’allegria sembrerebbe riuscita a coniugarsi a una discreta dose di coraggio proprio nel petto di chi più ne aveva bisogno, e cioè del codardo leone che così interloquisce con i suoi compagni di viaggio:
DOROTHY Maestà! Se lei fosse un Re, non avrebbe più paura di niente?
LEONE Certo che no; non vedo come potrei!
BOSCAIOLO DI LATTA Nemmeno di un rinoceronte?
LEONE Impossibilonte!
DOROTHY Magari di un ippopotamo?
LEONE Lo farei a pezzi da cima a fondamo!
DOROTHY E se fosse un elefante?
LEONE: Lo avvolgerei nel cellofante!
SPAVENTAPASSERI E come la metteresti con un brontosauro?
LEONE Gli farei vedere io chi è il re della foresta.
TUTTI E come?
LEONE Come come?… con la borragine.10
C’è chi sospetta tuttavia che non sia tanto la borragine a produrre questi effetti esilaranti quanto un congruo consumo dei liquori cui la aggiungono, da secoli, i raffinati cultori delle bevande miscelate, o come avrebbe detto sua eccellenza F.T. Marinetti, delle polibibite. Tra di questi, in cauda, ricorderemo Charles Dickens che, a giudicare dalla mole di opere pubblicate, dovrebbe aver passato più tempo a scrivere romanzi che a bere cocktail alla borragine, per i quali, comunque, pare avesse una vera predilezione. La formula che va, comunemente, sotto il nome di Punch alla Charles Dickens, è composta da: 2 tazze di acqua bollente, ½ tazza di zucchero, 2 cucchiai da tavola di scorza di limone, ¼ di tazza di fiori di borragine, 2 tazze di sherry, 1 tazza di brandy, 4 tazze di sidro. Si fa bollire nell’acqua per una quindicina di minuti lo zucchero, la buccia di limone e i fiori della borragine. Si filtra in un colino a maglie strette. Si aggiungono lo sherry, il brandy e il sidro. Salute!11
Nella zona mediterranea la borragine (che, a quanto pare è originaria, della Siria) si trova un po’ dovunque: ai bordi dei sentieri, specialmente se vicini a corsi d’acqua, nei luoghi coltivati, in quelli incolti e perfino tra i ruderi. Ma la si trova anche nell’Europa continentale e in Inghilterra. Ha un sapore vagamente simile a quello del cetriolo. Si utilizzano soprattutto le foglie e i fiori, ma anche il gambo, previa cottura, è gradevolmente commestibile. Le foglie fresche stanno bene in ogni tipo di mesticanza. Si possono anche friggere in padella, impanare o lessare per fare il ripieno dei ravioli o dei tortelloni. Ottime nelle minestre di verdura. Oppure si aggiungono ai long drink, al pos...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Erbe da mangiare
  4. Istruzioni per l’uso di questo libro
  5. Mangiare erba non significa brucare
  6. Acacia
  7. Alloro
  8. Asparago selvatico
  9. Borragine
  10. Camomilla
  11. Cappero
  12. Cicoria selvatica
  13. Corbezzolo
  14. Ficodindia
  15. Finocchietto selvatico
  16. Finocchio di mare
  17. Fragolina di bosco
  18. Grattaluro
  19. Lampascione
  20. Lampone selvatico
  21. Malva
  22. Margherita
  23. Melograno
  24. Menta
  25. Mirtillo
  26. Mirto
  27. Mora e germogli di rovo
  28. Ortica
  29. Paparina
  30. Pinolo
  31. Prucacchia
  32. Ramasciulo
  33. Rapesta
  34. Rucola selvatica
  35. Timo
  36. Zangone
  37. Copyright