Santità, la prima domanda vorrebbe andare alle radici.
Mi trovo davanti a un uomo vestito di bianco, con una croce sul petto. Non posso non constatare che quest’uomo, che chiamano Papa (padre, in greco), è in sé un mistero, un segno di contraddizione. Addirittura, una provocazione, uno «scandalo», secondo ciò che per molti è il buon senso.
In effetti, di fronte a un Papa bisogna scegliere. Il capo della Chiesa cattolica è definito dalla fede Vicario di Gesù Cristo. È considerato, cioè, l’uomo che sulla terra rappresenta il Figlio di Dio, che «fa le veci» della Seconda Persona del Dio trinitario. Questo afferma ogni Papa di se stesso. Questo credono i cattolici.
Tuttavia, secondo molti altri, questa è una pretesa assurda: per essi, il Papa non è il rappresentante di Dio. È, invece, il testimone sopravvissuto di antichi miti e leggende che l’uomo di oggi non può accettare.
Dunque, di fronte a Lei bisogna scommettere: o Lei è l’enigmatica testimonianza vivente del Creatore dell’universo, oppure è il maggiore responsabile di una millenaria illusione.
Se è lecito chiederlo: non ha mai esitato nella Sua certezza di un simile legame con Gesù e, dunque, con Dio? Mai si è posto domande e problemi sulla verità di quel Credo cristiano che a ogni messa ripete e che proclama una fede inaudita, di cui Ella è il garante più alto?
Vorrei cominciare con la spiegazione delle parole e dei concetti. La sua domanda, da un lato, è pervasa da una viva fede e, dall’altro, da una certa inquietudine. Devo constatarlo già al principio e, constatandolo, devo richiamarmi all’esortazione risuonata all’inizio del mio ministero sulla Sede di Pietro: «Non abbiate paura!».
Cristo rivolse molte volte questo invito agli uomini che incontrava. Questo disse l’Angelo a Maria: «Non avere paura» (cfr. Lc 1,30). Lo stesso a Giuseppe: «Non avere paura» (cfr. Mt 1,20). Cristo diceva così agli apostoli, a Pietro, in varie circostanze, e specialmente dopo la Sua Risurrezione. Ribadiva: «Non abbiate paura!». Sentiva infatti che avevano paura. Non erano certi se colui che vedevano fosse lo stesso Cristo che conoscevano. Ebbero paura quando venne arrestato, ebbero ancor più paura quando, risorto, apparve loro.
Le parole proferite da Cristo, le ripete la Chiesa. E, con la Chiesa, le ripete anche il Papa. Lo ha fatto sin dalla prima omelia in piazza San Pietro: «Non abbiate paura!». Non sono parole pronunciate a vuoto. Sono profondamente radicate nel Vangelo. Sono semplicemente le parole di Cristo stesso.
Di che cosa non dobbiamo aver paura? Non dobbiamo temere la verità su noi stessi. Pietro ne prese coscienza, un giorno, con particolare vivezza e disse a Gesù: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5,8).
Penso che non sia stato solo Pietro ad aver coscienza di questa verità. La rileva ogni uomo. La rileva ogni Successore di Pietro. La rileva in modo particolarmente chiaro colui che, adesso, le risponde. Ognuno di noi è grato a Pietro per ciò che disse quel giorno: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore». Cristo gli rispose: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10). Non aver paura degli uomini! L’uomo è sempre uguale. I sistemi che egli crea sono sempre imperfetti, e tanto più sono imperfetti quanto più egli è sicuro di sé. Da dove trae origine questo? Viene dal cuore dell’uomo. Il nostro cuore è inquieto. Cristo medesimo conosce meglio di tutti la nostra angoscia: «Egli sa quello che c’è in ogni uomo» (cfr. Gv 2,25).
Così, davanti alla sua prima domanda, desidero richiamarmi alle parole di Cristo e insieme alle mie prime parole in piazza San Pietro. E, dunque, «non aver paura» quando la gente ti chiama Vicario di Cristo, quando ti dicono Santo Padre, oppure Vostra Santità, o usano frasi simili a queste, che sembrano persino contrarie al Vangelo. Infatti, Cristo stesso affermò: «E non chiamate nessuno “padre” ... perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo» (Mt 23,9-10). Tali espressioni, tuttavia, sono cresciute sulla base di una lunga tradizione. Sono entrate nel linguaggio comune, e non bisogna avere paura neppure di esse.
Tutte le volte che Cristo esorta a «non temere», ha sempre in mente sia Dio sia l’uomo. Vuol dire: Non abbiate paura di Dio, il quale, secondo i filosofi, è l’Assoluto trascendente. Non abbiate paura di Dio, ma invocateLo con me: «Padre nostro» (Mt 6,9). Non abbiate paura di dire: Padre! Desiderate persino di essere perfetti come lo è Lui, perché Egli è perfetto. Sì: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
Cristo è il sacramento, il segno tangibile, visibile, del Dio invisibile. Sacramento implica presenza. Dio è con noi. Dio, infinitamente perfetto, non soltanto è con l’uomo, ma Egli stesso si è fatto uomo in Gesù Cristo. Non abbiate paura di Dio che si è fatto uomo! È proprio questo ciò che Pietro disse nei pressi di Cesarea di Filippo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Indirettamente affermava: Tu sei il Figlio di Dio che si è fatto Uomo. Pietro non ebbe paura di dirlo, anche se tali parole non provenivano da lui. Provenivano dal Padre. «Soltanto il Padre conosce il Figlio e soltanto il Figlio conosce il Padre» (cfr. Mt 11,27).
«Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17). Pietro pronunciò queste parole in virtù dello Spirito Santo. E anche la Chiesa le pronuncia costantemente in virtù dello Spirito Santo.
Così, dunque, Pietro non ebbe paura di Dio che si era fatto uomo. Ebbe paura, invece, per il Figlio di Dio come uomo. Non riusciva ad accettare che Egli fosse flagellato e incoronato di spine e infine crocifisso. Pietro non poteva accettarlo. Ne aveva paura. E per questo Cristo lo rimproverò severamente. Tuttavia non lo respinse.
Non respinse quell’uomo che aveva buona volontà e cuore ardente. Quell’uomo che al Getsemani avrebbe impugnato anche la spada per difendere il suo Maestro. Gesù gli disse soltanto: «Satana vi ha cercato – ha cercato, dunque, anche te – per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te ... tu, una volta ravveduto, conferma nella fede i tuoi fratelli» (cfr. Lc 22,31-32). Cristo non respinse Pietro, apprezzò la sua confessione nei pressi di Cesarea di Filippo e, con la potenza dello Spirito Santo, lo condusse attraverso la Sua Passione oltre lo stesso rinnegamento.
Pietro, come uomo, dimostrò di non essere capace di seguire Cristo dovunque, e specialmente fino alla morte. Dopo la Risurrezione, però, fu il primo degli apostoli che accorse, insieme a Giovanni, al sepolcro, per constatare che il corpo di Cristo non c’era.
Anche dopo la Risurrezione Gesù confermò a Pietro la sua missione. Gli disse in modo molto eloquente: «Pasci i miei agnelli ... Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,15-16)! Ma prima gli domandò se Lo amava. Pietro, che aveva rinnegato Cristo, ma non aveva cessato di amarLo, poté rispondere: «Tu lo sai che ti amo» (Gv 21,15). Però non ripeté più: «Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò» (Mt 26,35). Non era più una questione solo di Pietro e delle sue semplici forze umane, era divenuta ormai una questione dello Spirito Santo, promesso da Cristo a colui che avrebbe dovuto farne le veci sulla terra.
Infatti, il giorno della Pentecoste, Pietro parlò per primo agli israeliti riuniti e a coloro che erano giunti da varie parti, ricordando la colpa commessa da coloro che avevano inchiodato Cristo sulla croce e confermando la verità della Sua Risurrezione. Esortò anche alla conversione e al Battesimo. E dunque, grazie all’opera dello Spirito Santo, Cristo poté fidarsi di Pietro, poté appoggiarsi a lui – a lui e a tutti gli altri apostoli – come pure a Paolo, il quale allora era ancora un persecutore dei cristiani e odiava il nome di Gesù.
Su questo sfondo, uno sfondo storico, poco importano espressioni quali Sommo Pontefice, Vostra Santità, Santo Padre. Importa quello che scaturisce dalla Morte e dalla Risurrezione di Cristo. È importante ciò che proviene dalla potenza dello Spirito Santo. In questo campo Pietro, e con lui gli altri apostoli, e poi anche Paolo dopo la conversione divennero degli autentici testimoni di Cristo, fino allo spargimento del sangue.
In definitiva, Pietro è colui che non soltanto non ha più rinnegato Cristo, che non ha ripetuto il suo infausto: «Non conosco quell’uomo» (Mt 26,72), ma che ha perseverato nella fede sino alla fine: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). In questo modo è diventato la «roccia», anche se come uomo, forse, non era che sabbia mobile. Cristo stesso è la roccia, e Cristo edifica la Sua Chiesa su Pietro. Su Pietro, Paolo e gli apostoli. La Chiesa è apostolica in virtù di Cristo.
Questa Chiesa confessa: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Così confessa la Chiesa attraverso i secoli, insieme a tutti coloro che condividono la sua fede. Insieme a tutti coloro ai quali il Padre ha rivelato il Figlio nello Spirito Santo, così come a essi il Figlio nello Spirito Santo ha rivelato il Padre (cfr. Mt 11,25-27).
Questa Rivelazione è definitiva, si può solo accettarla o respingerla. La si può accettare, confessando Dio, Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra, e Gesù Cristo, il Figlio, della stessa sostanza del Padre e lo Spirito Santo che è Signore e dà la vita. Oppure si può respingere tutto questo, scrivere a lettere maiuscole: «Dio non ha un Figlio», «Gesù Cristo non è il Figlio di Dio, è solo uno dei profeti, anche se non l’ultimo, è soltanto un uomo».
Ci si può meravigliare di tali posizioni, quando sappiamo che Pietro stesso ha avuto a questo riguardo delle difficoltà? Egli credeva nel Figlio di Dio, ma non riusciva ad accettare che questo Figlio di Dio, come uomo, potesse essere flagellato, incoronato di spine e dovesse poi morire in croce.
C’è da meravigliarsi se persino coloro che credono nel Dio unico, del quale Abramo fu il testimone, trovano difficile accettare la fede in un Dio crocifisso? Essi ritengono che Dio può essere soltanto potente e grandioso, assolutamente trascendente e bello nella Sua potenza, santo e irraggiungibile dall’uomo. Dio può essere solo così! Egli non può essere Padre e Figlio e Spirito Santo. Non può essere Amore che si dona e che permette che Lo si veda, che Lo si oda, che Lo si imiti come uomo, che Lo si leghi, Lo si schiaffeggi e Lo si crocifigga. Questo non può essere Dio!... Così, dunque, al centro stesso della grande tradizione monoteistica si è introdotta questa profonda lacerazione.
Nella Chiesa – edificata sulla roccia che è Cristo – Pietro, gli apostoli e i loro successori sono testimoni di Dio crocifisso e risorto in Cristo. In tale modo, sono testimoni della vita che è più forte della morte. Sono testimoni di Dio che dà la vita perché è Amore (cfr. 1Gv 4,8). Sono testimoni, perché hanno visto, sentito e toccato con le mani, gli occhi e le orecchie di Pietro, di Giovanni e di tanti altri. Ma Cristo ha detto a Tommaso: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,29).
Lei, giustamente, afferma che il Papa è un mistero. Lei afferma, a ragione, che egli è segno di contraddizione, che egli è provocazione. Il vecchio Simeone disse di Cristo stesso che sarebbe stato «segno di contraddizione» (cfr. Lc 2,34).
Lei, inoltre, sostiene che, di fronte a una tale verità – dunque, di fronte al Papa – bisogna scegliere; e per molti tale scelta non è facile. Ma fu forse facile per lo stesso Pietro? Lo è stata per ognuno dei suoi successori? È facile per il Papa attuale? Scegliere comporta un’iniziativa dell’uomo. Cristo però dice: «né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio» (Mt 16,17). Questa scelta, dunque, non è soltanto un’iniziativa dell’uomo, è anche azione di Dio, che opera nell’uomo, che rivela. E in virtù di tale azione di Dio l’uomo può ripetere: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16) e, dopo, può pronunciare tutto il Credo, che è intimamente articolato secondo la profonda logica della Rivelazione. L’uomo può anche rammentare a se stesso e agli altri le conseguenze che scaturiscono dalla stessa logica della fede e che sono pervase dal medesimo splendore della verità. Può fare tutto questo, nonostante sappia che, a causa di ciò, diventerà «segno di contraddizione».
Che cosa rimane a un tale uomo? Soltanto le parole che Gesù stesso rivolse agli apostoli: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra» (Gv 15,20). E dunque: «Non abbiate paura!». Non abbiate paura del mistero di Dio; non abbiate paura del Suo amore; e non abbiate paura della debolezza dell’uomo né della sua grandezza! L’uomo non cessa di essere grande neppure nella sua debolezza. Non abbiate paura di essere testimoni della dignità di ogni persona umana, dal momento del concepimento sino alla morte.
Ancora a proposito di nomi: il Papa è detto anche Vicario di Cristo. Questo titolo va visto nell’intero contesto del Vangelo. Prima di salire al cielo, Gesù disse agli apostoli: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Egli, sebbene invisibile, è dunque personalmente presente nella Sua Chiesa. Lo è pure nel singolo cristiano, in virtù del Battesimo e degli altri sacramenti. Per questo, già al tempo dei Padri, si era soliti affermare: «Christianus alter Christus» (Il cristiano è un secondo Cristo), intendendo con ciò sottolineare la dignità del battezzato e la sua vocazione, in Cristo, alla santità.
Cristo, inoltre, realizza una speciale presenza in ogni sacerdote, il quale, quando celebra l’Eucaristia o amministra i sacramenti, lo fa in persona Christi.
In questa prospettiva, l’espressione Vicario di Cristo assume il suo vero significato. Più che a una dignità, allude a un servizio: intende cioè sottolineare i compiti del Papa nella Chiesa, il suo ministero petrino, finalizzato al bene della Chiesa e dei fedeli. Lo aveva capito perfettamente san Gregorio Magno il quale, tra tutte le qualifiche connesse con la funzione di Vescovo di Roma, prediligeva quella di Servus servorum Dei (Servo dei servi di Dio).
Del resto, non soltanto il Papa viene insignito di questo titolo. Ogni vescovo è Vicarius Christi nei riguardi della Chiesa affidatagli. Il Papa lo è nei riguardi della Chiesa romana e, mediante questa, nei riguardi di ogni Chiesa in comunione con essa: comunione nella fede e comunione istituzionale, canonica. Se poi, con tale titolo, è alla dignità del Vescovo di Roma che si vuol fare riferimento, essa non può essere considerata astraendola dalla dignità dell’intero Collegio episcopale, con la quale è strettamente congiunta, come lo è pure con la dignità di ogni vescovo, di ogni sacerdote e di ogni battezzato.
E quale alta dignità hanno le persone consacrate, donne e uomini, che scelgono come propria vocazione quella di realizzare la dimensione sponsale della Chiesa, sposa di Cristo! Cristo, Redentore del mondo e dell’uomo, è lo Sposo della Chiesa e di tutti coloro che sono in essa: «lo sposo è con voi» (cfr. Mt 9,15). Un particolare compito del Papa è di professare questa verità e anche di renderla in certo modo presente alla Chiesa che è in Roma e a tutta la Chiesa, a tutta l’umanità, al mondo intero.
Così, dunque, per dissipare in qualche misura i suoi timori, dettati del resto da una profonda fede, consiglierei la lettura di sant’Agostino, il quale soleva ripetere: «Vobis sum episcopus, vobiscum christianus» (Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano; cfr. per es. Sermo 340,1: PL 38,1483). A ben riflettere, significa ben più christianus che non episcopus, anche se si tratta del Vescovo di Roma.
Mi permetta allora di chiederLe di confidarci almeno un poco del segreto del Suo cuore. Di fronte alla convinzione che nella Sua persona – come in quella di ogni Papa – vive il mistero in cui la fede crede, è spontaneo domandarsi: come regge a un ta...