Costruire l'Intelligenza
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Costruire l'Intelligenza

Google, Facebook, Musk e la sfida del futuro

  1. 360 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Costruire l'Intelligenza

Google, Facebook, Musk e la sfida del futuro

Informazioni su questo libro

Cosa significa essere intelligenti? E umani? Cosa vogliamo davvero dalla vita e dall'intelligenza che abbiamo, o da quella che potremmo creare?

In queste pagine Cade Metz tenta di rispondere a queste domande ripercorrendo l'evoluzione dell'intelligenza artificiale: ritenuta una tecnologia troppo futuristica, è stata per lungo tempo un progetto di ricerca di piccoli gruppi marginali di scienziati, fino a quando due studiosi - un maturo professore di informatica e un giovane neuroscienziato che pensava di essere il più grande scacchista del mondo - non hanno cambiato le cose. Attraverso percorsi molto diversi, hanno contribuito a catapultare l'intelligenza artificiale nelle nostre vite quotidiane. Riuscendo anche a creare un business milionario.

Costruire l'intelligenza racconta la storia di questa rivoluzione tecnologica e della lotta che ha innescato tra aziende come Facebook, Google, Microsoft o OpenAI. È la storia di una competizione internazionale sempre più aspra. Ed è una storia che mostra il meglio della genialità umana e allo stesso tempo il suo lato oscuro: ogni passo avanti, infatti, è stato accompagnato da nuovi pregiudizi, bias inattesi e dall'annullamento della privacy.

Grazie a centinaia di interviste con le menti più brillanti della Silicon Valley, l'autore ci mostra come, senza che quasi ce ne accorgessimo, negli ultimi cinquant'anni una nuova intelligenza artificiale ha iniziato a dominare l'economia, la società, i gesti di ogni giorno. Costruire l'intelligenza dispiega un mondo popolato di personaggi eccentrici, geniali, ricchissimi, conducendo il lettore a porsi gli interrogativi decisivi: dove ci porterà l'intelligenza artificiale? Davvero si stanno creando sistemi con un'intelligenza pienamente umana? E soprattutto: fino a dove ci spingeremo?

Domande frequenti

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Informazioni

Parte prima

UN NUOVO TIPO DI MACCHINA

I

Genesi

«Mostro pensante tipo Frankenstein disegnato dalla marina»
Il 7 luglio 1958 parecchi uomini si raccolsero intorno a una macchina negli uffici del servizio meteorologico, l’United States Weather Bureau di Washington, circa quindici isolati a ovest della Casa Bianca.1 Larga come un frigorifero da cucina, profonda il doppio e più o meno della stessa altezza, la macchina era solo una delle componenti del calcolatore centrale che erano distribuite in tutto il locale come un set di mobili coordinati. L’esterno, ricoperto di plastica argentata, rifletteva la luce delle lampade a soffitto e sul pannello frontale erano allineate parecchie file di piccole lampadine rotonde, di pulsanti quadrati rossi e di spessi interruttori di plastica, alcuni bianchi e altri grigi. La macchina, del valore di 2 milioni di dollari, normalmente elaborava le operazioni matematiche per il Weather Bureau, il precursore del servizio meteorologico nazionale, però quel giorno era stata prestata alla marina e a un ventinovenne professore della Cornell University, Frank Rosenblatt.
Sotto lo sguardo attento di un giornalista, Rosenblatt e i suoi colleghi della marina inserirono nella macchina due schede bianche, una contrassegnata da un quadratino sulla sinistra e l’altra sulla destra. All’inizio la macchina non riuscì a distinguerle, ma dopo aver letto altre cinquanta schede, riuscì a identificare correttamente quasi ogni volta la posizione del quadratino, a destra o a sinistra. Rosenblatt spiegò che la macchina aveva appreso autonomamente come fare grazie a un sistema matematico che emulava il cervello umano. Lo aveva chiamato perceptron, percettrone. In futuro questo sistema avrebbe potuto imparare a riconoscere lettere stampate, parole scritte a mano, comandi parlati e anche volti umani per poi chiamarli per nome.2 Avrebbe tradotto da una lingua in un’altra. E in teoria avrebbe saputo clonarsi in una catena di montaggio, esplorare pianeti lontani e superare il confine tra computazione e coscienza.
«La marina ha rivelato oggi l’embrione di un calcolatore elettronico che ci si aspetta sia presto in grado di camminare, parlare, vedere, scrivere, riprodursi ed essere conscio della propria esistenza» affermava l’articolo che apparve la mattina seguente sul «New York Times».3 Un secondo articolo, pubblicato nell’edizione della domenica, riportava che gli ufficiali della marina esitavano a definirla una macchina perché era «simile a un essere umano senza vita».4 Rosenblatt non apprezzò5 il modo in cui la stampa popolare descrisse l’evento e in particolare un titolo apparso in Oklahoma: Mostro pensante tipo Frankenstein disegnato dalla marina. Anni dopo descrisse il progetto in termini più misurati tra colleghi e nei testi che pubblicò, insistendo che non si trattasse di un esperimento di intelligenza artificiale e riconoscendone i limiti. L’idea, però, gli era ormai sfuggita di mano.
Il percettrone fu una delle prime reti neurali, un’incarnazione precoce della tecnologia che Geoff Hinton vendette all’asta oltre cinquant’anni più tardi. Ma prima di raggiungere il momento dei 44 milioni di dollari e molto prima che si avverasse lo strano futuro previsto sulle pagine del «New York Times» nell’estate del 1958, su di essa calò l’oscurità dell’oblio accademico. All’inizio degli anni Settanta, quando le generose previsioni giornalistiche finirono per scontrarsi con i limiti della tecnologia di Rosenblatt, l’idea era praticamente defunta.
Frank Rosenblatt era nato l’11 luglio 1928 a New Rochelle, nello Stato di New York, appena a nord del Bronx.6 Aveva frequentato la Bronx Science,7 una scuola d’élite che produsse negli anni otto premi Nobel,8 sei premi Pulitzer, otto Medaglie nazionali per la Scienza9 e tre premi Turing (il più importante premio d’informatica).10 Era un uomo piccolo, minuto, dalle guance floride, i capelli corti, scuri e ondulati e portava banali occhiali dalla montatura nera. Aveva studiato psicologia, ma i suoi interessi coprivano un campo più vasto. Nel 1953 il «New York Times» pubblicò un breve pezzo che descriveva un computer che Rosenblatt aveva usato per i calcoli della tesi di dottorato, chiamato EPAC, un acronimo di electronic profile-analizing computer.11 L’aveva impiegato per analizzare il profilo psicologico dei suoi pazienti, e durante la ricerca era giunto alla conclusione che i computer potessero migliorare la comprensione della mente umana. Terminato il dottorato, entrò nel Laboratorio aeronautico della Cornell University di Buffalo,12 situato a circa 250 chilometri dalla sede centrale dell’università di Ithaca, Stato di New York. Il centro di ricerca, donato all’università da un’azienda che aveva disegnato velivoli durante la seconda guerra mondiale, si era trasformato nel periodo del dopoguerra in un laboratorio piuttosto eclettico, poco controllato dall’amministrazione della centrale di Ithaca. Qui Rosenblatt disegnò il percettrone, finanziato dall’Ufficio di ricerca navale della marina.
Per Rosenblatt il progetto rappresentava uno spiraglio aperto sul modo di operare del cervello umano. Se fosse riuscito a ricostruire il cervello sotto forma meccanica, era certo di poter studiare i misteri di ciò che chiamava l’«intelligenza naturale».13 Basandosi su idee inizialmente proposte da due ricercatori dell’università di Chicago una decina d’anni prima, il percettrone analizzava oggetti in cerca di strutture che li rendessero identificabili (per esempio, un quadratino a destra o a sinistra su una scheda). La macchina usava una serie di operazioni matematiche che funzionavano, in senso lato, come le reti neurali del cervello. Quando il percettrone iniziava ad analizzare e identificare gli oggetti, ne azzeccava qualcuno e ne sbagliava altri, ma era capace di imparare dai propri errori, aggiustando metodicamente ogni operazione fino a quando sbagliava solo raramente. Proprio come per un neurone nel cervello umano, le singole operazioni avevano poco senso prese da sole, perché rappresentavano solo un input per un algoritmo. Però l’algoritmo – una specie di ricetta espressa in termini matematici – poteva arrivare a risultati utili, o perlomeno così si sperava. Nell’estate del 1958, al Weather Bureau Rosenblatt sfoggiò i primi passi della sua creatura, una simulazione del percettrone inizializzata sull’IBM 704 dell’ufficio meteorologico che era a quei tempi il computer commerciale più avanzato.14 Di ritorno a Buffalo, si mise all’opera lavorando con un team di ingegneri per costruire un computer completamente nuovo. Lo chiamò «Mark I». Era diverso dalle altre macchine di quell’epoca perché era disegnato per vedere il mondo intorno a sé. «Per la prima volta un sistema non biologico arriverà a un’organizzazione sensata dell’ambiente esterno» dichiarò Rosenblatt a un giornalista quello stesso anno durante un viaggio per incontrare i finanziatori a Washington.15
Il suo principale alleato nell’Ufficio di Ricerca navale non definiva il percettrone nei termini stravaganti di Rosenblatt, ma il ricercatore non se ne preoccupava. «Il collega disapprova le chiacchiere che si sentono al giorno d’oggi sui cervelli meccanici» commentò bevendo un caffè con il giornalista. «Ma è esattamente così.» Sul tavolo di fronte a lui c’era una piccola lattiera piena di panna. Rosenblatt la prese in mano; nonostante fosse la prima volta che la vedeva, disse, era in grado di riconoscere che fosse una lattiera. Il percettrone, spiegò, sapeva fare più o meno lo stesso. Sapeva trarre le conclusioni necessarie per distinguere un cane da un gatto, per esempio. Ammise che la tecnologia non aveva ancora un uso pratico: mancava di percezione della profondità e delle «finezze del ragionamento». Tuttavia aveva fiducia nel suo potenziale e credeva che un giorno il percettrone avrebbe viaggiato nello spazio per inviare le proprie osservazioni alla Terra. Quando il giornalista domandò se ci fosse qualcosa che il percettrone non era capace di fare, Rosenblatt alzò le mani e rispose: «Amare. Sperare. Addolorarsi. In breve, la natura umana. Se non capiamo neppure noi come funzionano gli impulsi sessuali umani, come possiamo aspettarci che lo faccia una macchina?».
In dicembre, il «New Yorker» definì la creazione di Rosenblatt come la prima vera rivale del cervello. La rivista aveva già manifestato la propria meraviglia per la capacità dell’IBM 704 di giocare a scacchi, e ora descrisse il percettrone come una macchina ancora più speciale, un calcolatore che poteva produrre «l’equivalente del pensiero umano». Sebbene gli scienziati avessero dichiarato che solo i sistemi biologici potessero vedere, sentire e pensare, commentava la rivista, il percettrone si comportava «come se vedesse, sentisse e pensasse». Rosenblatt non aveva ancora fisicamente costruito la macchina, ma questo pareva un ostacolo di minore importanza. «È solo una questione di tempo (e di denaro) perché venga alla luce» commentava il testo.
Rosenblatt completò il Mark I nel 1960.16 Occupava sei scaffali di attrezzature elettriche, ognuno delle dimensioni di un frigorifero, ed era collegato a un aggeggio simile a una macchina fotografica. Ed era davvero una macchina fotografica da cui il meccanismo di caricamento della pellicola era stato smontato e sostituito con un piccolo aggeggio quadrato coperto da quattrocento punti neri, fotocellule in grado di reagire ai cambiamenti di luce. Rosenblatt e i suoi ingegneri stamparono lettere dell’alfabeto su cartoncini: A, B, C, eccetera. Quando li posizionavano su un cavalletto di fronte alla camera, le fotocellule distinguevano le linee scure delle lettere sullo sfondo bianco della carta e piano piano il Mark I apprese a riconoscere le singole lettere, così come il computer dell’Ufficio meteorologico aveva imparato a riconoscere le schede contrassegnate. Il processo richiedeva l’aiuto degli esseri umani presenti: a mano a mano che la macchina identificava le lettere, un tecnico confermava se la risposta fosse giusta o sbagliata. Con il tempo, il Mark I valutava i tiri messi a segno e quelli andati a vuoto, definendo progressivamente i pattern, cioè gli schemi che servivano a identificare la linea inclinata della lettera A o la doppia curva della B. Durante le dimostrazioni della macchina, Rosenblatt aveva studiato un metodo per provare senza dubbio che si trattasse di un comportamento appreso. Infilava una mano nel groviglio di cavi elettrici e ne staccava un paio, interrompendo la connessione tra i motori che agivano da pseudoneuroni. Quando riconnetteva i cavi, la macchina ripartiva ma distingueva le lettere con difficoltà; poi, dopo aver esaminato altre carte e riappreso la stessa competenza, tornava a funzionare come prima.
Il funzionamento del marchingegno elettrico fu sufficiente ad attirare l’attenzione di altri oltre la marina. Negli anni seguenti un laboratorio della California settentrionale, l’Istituto di Ricerca di Stanford (SRI), iniziò a esplorare idee simili, mentre il laboratorio di Rosenblatt ottenne contratti con il servizio delle Poste e l’aviazione statunitensi. Il servizio postale aveva bisogno di un sistema per leggere gli indirizzi sulle buste e l’aviazione sperava di identificare i bersagli nelle foto aeree. Erano traguardi lontani. Il sistema di Rosenblatt riusciva a malapena a leggere le lettere stampate, un compito piuttosto semplice. Quando la macchina analizzava un cartoncino su cui era stampata la lettera A, ogni fotocellula esaminava un punto specifico della carta, per esempio l’area accanto all’angolo in basso a destra. Se quel punto era più frequentemente nero che bianco, il Mark I gli assegnava un alto «peso» che quindi avrebbe avuto un effetto maggiore nel calcolo che misurava se si trattasse di una A. Leggendo ogni nuova carta, la macchina riusciva a riconoscere una A se la maggior parte dei punti segnalati con valori ponderati erano neri. Tutto qui. La tecnologia non era neanche lontanamente in grado di leggere le irregolarità dei caratteri scritti a mano.
Malgrado le evidenti carenze del sistema, Rosenblatt era ottimista; come lui, molti altri credevano che la tecnologia sarebbe migliorata negli anni a venire, apprendendo compiti complessi con metodi complessi. Ma apparve un ostacolo insormontabile: Marvin Minsky.
Frank Rosenblatt e Marvin Minsky avevano frequentato entrambi la scuola superiore Bronx Science. Nel 1945, però, i genitori di Minsky lo spostarono alla Philips Andover, uno dei licei privati più famosi d’America, e nel dopoguerra si iscrisse ad Harvard. Minsky raccontava come né l’uno né l’altra fossero stati all’altezza della Bronx Science, dove le lezioni erano più impegnative e gli studenti miravano più in alto, erano «persone con cui potevi discutere le tue idee più complicate e nessuno ti trattava con condiscendenza».17 Dopo la morte di Rosenblatt, Minsky descrisse il vecchio compagno di scuola come il tipico pensatore creativo che si incontrava nei corridoi della Bronx Science. Come Rosenblatt, Minsky fu un pioniere nel campo dell’intelligenza artificiale, ma di taglio diverso.
Da giovane studente ad Harvard, Minsky aveva costruito la primissima rete neurale – una macchina che chiamò SNARC – usando più di tremila valvole termoioniche e qualche pezzo di bombardiere B-52.18 All’inizio degli anni Cinquanta, dopo la laurea, continuò a esplorare i concetti matematici che diedero poi origine al percettrone, ma arrivò ad attribuire all’intelligenza artificiale una definizione più vasta.19 Nell’estate del 1956 fece parte del piccolo gruppo che diede forma alla IA come materia di studio indipendente durante un incontro al Dartmouth College.20 Un docente di Dartmouth, John McCarthy, insisteva perché il mondo accademico esplorasse un’area di ricerca che chiamava «studio degli automata»;21 al di fuori di lui, però, nessuno capiva quel nome, quindi lo modificò in «intelligenza artificiale» e quell’estate organizzò una conferenza con numerosi altri studiosi e ricercatori che condividevano le sue idee. Il programma della Conferenza estiva di ricerca sull’intelligenza artificiale di Dartmouth includeva le «reti neurali», ma anche i «calcolatori automatici», le «astrazioni» e l’«automiglioramento».22 I partecipanti divennero i luminari del campo negli anni Sessanta, in particolare McCarthy, che sviluppò la propria ricerca a Stanford, Herbert Simon e Alan Newell, che costituirono un laboratorio alla Carnegie Mellon di Pittsburgh, e Minsky stesso, che si installò al Massachusetts Institute of Technology nel New England. Miravano a ricreare l’intelligenza umana usando ogni tipo di tecnologia potesse rivelarsi utile ed erano sicuri che vi sarebbero riusciti in breve tempo;23 alcuni affermavano che entro dieci anni una macchina avrebbe battuto il campione del mondo di scacchi e avrebbe scoperto un nuovo teorema matematico. Calvo fin da giovane, con le orecchie grandi e un sorriso birichino, Minsky divenne un apostolo della IA, ma non si limitò a predicare solo le reti neurali, che riteneva uno dei diversi modi di costruire un’intelligenza artificiale; come molti dei suoi colleghi, decise di esplorare ulteriori vie. Verso la metà degli anni Sessanta altre tecniche richiamarono la sua attenzione e dubitò che le reti neurali fossero in grado di risolvere compiti più complessi delle dimostrazioni che Rosenblatt presentava nel laboratorio di Buffalo.
Minsky faceva parte di un movimento che rifiutava le idee di Rosenblatt. Come Rosenblatt stesso spiegò nel suo Principles of Neurodynamics (Principi di neurodinamica) del 1962, il concetto del percettrone era molto contestato tra gli studiosi.24 Rosenblatt ne attribuiva la colpa in gran parte alla stampa; alla fine degli anni Cinquanta i giornalisti avevano descritto il suo lavoro buttandosi «su quel compito con l’esuberanza e la discrezione di una muta di allegri cani da caccia».25 In particolare gli erano dispiaciuti i titoli come quelli del giornale dell’Oklahoma, che a suo parere non avevano ispirato alcuna fiducia nella serietà del suo lavoro scientifico. Quattro anni dopo la dimostrazione a Washington, Rosenblatt ridimensionò le proprie affermazioni, insistendo che il percettrone non fosse un tentativo di intelligenza artificiale, o perlomeno non ciò che i ricercatori come Minsky definivano IA: «Il programma del percettrone non si occupa principalmente dell’invenzione di strumenti di “intelligenza artificiale”, ma dell’indagine delle strutture fisiche e dei principi neurodinamici sottintesi alla “intelligenza naturale”» scrisse. «Ci è utile perché permette di determinare le condizioni fisiche necessarie per l’emergenza di diverse caratteristiche psicologiche.»26 In altre parole, desiderava comprendere come funziona il cervello umano e non produrne uno artificiale. Il cervello era un mistero e non si poteva ricrearlo, tuttavia Rosenblatt credeva di poter usare delle macchine per esplorarlo e magari anche risolverlo.
Fin dagli inizi della disciplina il confine che separa l’intelligenza artificiale dall’informatica, la psicologia e le neuroscienze fu poco chiaro. Stimolate dalle nuove tecnologie, sorsero varie fazioni accademiche e ognuna definì il proprio campo in modo diverso. Alcuni psicologi, neuroscienziati e anche informatici accettarono la visione di Rosenblatt, che descriveva le macchine come un riflesso della mente umana. Altri se ne distanziarono, sostenendo che i calcolatori non...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Costruire l’intelligenza
  4. Prologo. L’uomo che non si sedeva mai
  5. Parte prima. UN NUOVO TIPO DI MACCHINA
  6. Parte seconda. A CHI APPARTIENE L’INTELLIGENZA?
  7. Parte terza. TURBOLENZE
  8. Parte quarta. GLI ESSERI UMANI SONO SOTTOVALUTATI
  9. Cronologia
  10. I personaggi
  11. Note
  12. Ringraziamenti
  13. Copyright