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Il duca (I Romanzi Passione)
- 288 pagine
- Italian
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Il duca (I Romanzi Passione)
Informazioni su questo libro
Di giorno Imogen Pritchard fa l'infermiera, mentre di notte lavora come cameriera in un bordello per saldare i debiti di gioco del defunto padre. Una sera viene notata da Cole Talmage, duca di Trenwyth, il quale decide di offrire una somma favolosa per una sola notte con lei. Pur vergine, Imogen accetta, anche perché attratta da quel fascinoso uomo dai modi gentili. Lei è convinta che non lo rivedrà più, ma il destino ha in serbo altri piani. Tre anni dopo, quando Cole viene riportato a casa in fin di vita dopo una missione segreta, viene affidato proprio alle cure di Imogen, che gli salverà la vita. Lui non l'ha riconosciuta e la ragazza è combattuta: vuole davvero che il ricordo della loro passione rimanga un segreto per Cole?
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Informazioni
eBook ISBN
97888357165941
Londra, febbraio 1876
Imogen Pritchard rabbrividì e le si rizzarono i peli sottili delle braccia. L’atmosfera già pesante del Bare Kitten, sala da gioco con postribolo annesso, ora era carica di un’aura di pericolo, che le acuiva tutti i sensi come se lei fosse stata presa di mira da un grosso predatore.
Riportò al banco il vassoio con i bicchieri vuoti e studiò di nascosto la minaccia. Diversi militari stavano entrando nel locale con le loro uniformi rosso vivo ed erano tutti giovani, atletici e pieni di inquietudine tipicamente maschile, gli occhi accesi di ferali appetiti. Le ricordarono un branco di lupi che ringhiavano piano, mostrando le zanne mentre si preparavano a un macabro banchetto.
Fin da quando era stata costretta a lavorare in quel postribolo, il suo istinto per il pericolo era diventato affilato quanto le sciabole che quei soldati portavano alla cintura. Tutti loro, tutti quei giovani lupi, cercavano chiaramente guai, pronti a scatenarsi non appena il capobranco avesse dato il segnale.
Tuttavia, per quanto minacciosi fossero, capì subito che l’inquietante sensazione che l’aveva assalita non si doveva ai militari, ma proprio al loro capo.
Ostentava una conturbante calma nella carica di energia che lo circondava. Soprastava tutti gli altri di almeno due spanne, guardando chiunque dall’alto in basso anche solo per via della sua torreggiante statura. Suo era il pugno di ferro che li teneva tutti in riga. Sua era la decisione su chi doveva vivere o morire. Suoi erano gli ordini da eseguire senza discutere.
E sembrava saperlo molto bene.
Non ricordava di avere mai visto una fronte tanto altezzosa, né un volto così bello. Sarebbe stato un modello ideale per gli scultori dell’antica Grecia, che avrebbero usato il miglior marmo per rendere giustizia a quei tratti aristocratici quasi perfetti nella loro simmetria. Fremeva per avere a disposizione i suoi pennelli. Avrebbe ritratto quel corpo così imponente con grandi, rigidi tratti e ampie linee curve per le spalle e il busto.
Un’improvvisa consapevolezza l’assalì. L’aveva già visto da qualche parte. Di solito, tutte quelle sfumature di un solo colore le sarebbero rimaste impresse nella mente. Era come se fosse stato forgiato con il più prezioso dei metalli. La sua pelle era di una tinta dorata, i suoi capelli di una sfumatura un po’ più scura, oro e bronzo. E i suoi occhi, troppo luminosi per essere castani, rilucevano alla fioca luce delle lampade come rame fuso mentre controllava ogni angolo della grande sala.
Fino a quando quello sguardo indagatore si posò su di lei, restandovi per un lungo e sconcertante istante. Ma la sua rigida espressione non cambiò, anche se qualcosa nel modo in cui corrugava la fronte e nel rilassamento che cominciava a mostrare le svelò qualcosa che la lasciò perplessa.
Era... esausto? Oppure triste?
Mentre lottava per tirare il fiato, Imogen stabilì di non averlo mai incontrato prima. Tuttavia da qualche parte aveva visto quel naso aquilino e patrizio. Ricordava di averne tracciato la forma, ammirando quegli zigomi sporgenti e l’ampia mascella volitiva che creava la base perfetta per l’acida inclinazione di quelle labbra così dure.
Ma dove?
Sotto il peso del suo sguardo implacabile, si sentì come la cerbiatta scelta dal lupo dominante per essere separata dal branco e divorata. Arretrò, si voltò e quasi urtò Devina Rosa.
— Sembra che sarà una lunga notte — borbottò la prostituta spagnola, tirando indietro i ricci scuri e trangugiando in un sorso il mezzo bicchiere di gin abbandonato su un tavolo. Imogen si era sempre chiesta se Devina fosse il suo vero nome oppure lo pseudonimo che aveva scelto per esercitare la professione.
— Direi proprio di sì — concordò Heather, una prosperosa e lentigginosa scozzese, aggiustandosi il corpino per mettere ancora più in risalto il seno generoso. — Riconosco gli uomini pronti a partire per il fronte quando li vedo. A letto non faranno altro che sfogare su di noi tutte le loro paure.
— Vado a prendere dell’altro olio — replicò Devina sospirando.
— E io li farò ubriacare — disse Imogen.
— Vedi di riuscirci, Ginny. — Heather sembrava detestare persino il soprannome che si era attribuita per lavorare in quella casa di malaffare. — Così, almeno, ti renderai utile.
Lei ormai non badava più all’amarezza nel tono della voce di Heather. Sapeva che a tante ragazze non piaceva l’accordo che aveva raggiunto con il proprietario del locale, ovvero quello di servire solo al bar senza dover necessariamente aprire le gambe.
— Se siamo fortunate, qualcuno di loro sarà preda della maledizione irlandese quando Ginny avrà finito, cosa che ci permetterà di spillare loro tutti i soldi senza fare niente di speciale — continuò Heather speranzosa.
— Vuoi dire che permetterà a Ezio del Toro di intascare soldi facili. — Devina lanciò un’occhiata ribelle al proprietario del Bare Kitten, che già si faceva largo tra sedie e tavoli pronto ad accogliere con un sorriso untuoso i nuovi clienti.
— Cos’è la “maledizione irlandese”? — chiese sussurrando Imogen a Devina, che rispose con una risata.
— È un uccello messo a riposo dal troppo alcol, stupida oca — rispose Heather al posto di Devina, alzando gli occhi al cielo. — In pratica, per farlo rizzare dovresti impiccarlo. E non sempre funziona.
— Avevo capito — balbettò Imogen, arrossendo. — La prima parte della spiegazione era più che sufficiente. — Osò lanciare un’occhiata ai militari, scortati dalla corpulenta figura di Ezio del Toro nell’angolo riservato ai clienti più importanti. Lei si accigliò e si chiese perché. Come immigrato italiano, Del Toro non amava le uniformi, né sembrava granché patriottico.
Perché, allora, quel trattamento speciale?
Del Toro fermò Flora Latimer mentre passava, facendo apprezzare con orgoglio le forme procaci che la ragazza metteva sempre in bella mostra. Imogen la vide trasalire quando lui le sussurrò qualcosa all’orecchio. Poi la sospinse verso il banco, gli occhi azzurri di Flora così sgranati da ricordare una civetta. — Non indovinerete mai chi è appena entrato — cinguettò quando le raggiunse. — Anche se non riesco a immaginare cosa l’abbia portato qui a Soho. Non passa molta gente come lui da queste parti.
— Di che diavolo parli, stupida ragazza? Non abbiamo tempo per gli indovinelli — borbottò Heather.
— Ebbene, vedete quel tizio? — Flora indicò il capobranco, che si stava sedendo al tavolo. — Quello alto che sembra un angelo caduto?
Tutte annuirono, dato che era impossibile non notare un uomo come quello.
— I vostri occhi si sono posati su Collin Talmage, appena tornato dal funerale del padre e del fratello. Del Toro mi ha detto che partirà all’alba per l’ultima missione al servizio della Corona per poi rientrare in patria e assumere il titolo di duca di Trenwyth.
Ma certo! Ecco perché lo conosceva. La storia di quell’uomo era davvero sensazionale. Suo padre, il defunto duca di Trenwyth, sua madre la duchessa e il loro erede Robert erano morti nel deragliamento di un treno sulle Alpi francesi, lasciando la figlia secondogenita, Harriet, e il terzogenito, Collin. Il suo ritratto aveva riempito le prime pagine dei quotidiani per una settimana. E, doveva ammettere, senza rendergli giustizia: a quanto pareva, nessuno era riuscito a catturare la potente mascolinità che lo avvolgeva come un manto reale gettato su quelle spalle prodigiose.
E “reale” era l’aggettivo adatto a lui. Aveva lontane radici hannoveriane, unite alla parentela con un’antica famiglia nobiliare della Cornovaglia direttamente collegata a quella della loro amata regina Vittoria. Il suo aspetto tradiva ascendenze germaniche e lei lo immaginò alla testa di una delle fiere tribù che avevano combattuto la potenza di Roma duemila anni prima. La corporatura era quella di un feroce barbaro e continuava a guardarsi attentamente intorno, come se intendesse conquistare ciò che vedeva.
Guardava anche lei in quel modo.
Inoltre, aveva ragione. Era tristezza quella che aveva intravisto sul suo volto. Un dolore che lui cercava fieramente di nascondere.
— Ma non perdiamo tempo in chiacchiere — riprese Flora. — Del Toro ci chiama tutte all’appello. Dice che ogni uomo seduto a quel tavolo dovrà sentirsi come se avesse festeggiato il proprio compleanno quando se ne andrà. Specialmente il duca, visto che pagherà tutte le spese.
Come a un comando invisibile, le ragazze si voltarono verso lo specchio dorato sopra il banco. Anche Imogen si aggiustò la parrucca scura e si diede una passata di rossetto, sebbene in effetti non importasse tanto il suo aspetto ma il fatto che birra e gin venissero serviti in continuazione. Lei non era una prostituta ma una cameriera: quello era l’accordo con Del Toro e l’avrebbe mantenuto fino al saldo dei debiti di gioco lasciati da suo padre. Per il resto, pagava l’affitto e tutto ciò che serviva a lei, a sua madre e a sua sorella Isobel con il lavoro diurno di infermiera al St Margaret’s Royal Hospital.
— L’hai sentita, no? — Heather le affibbiò una tale gomitata da farla sobbalzare. — Smettila di perdere tempo e comincia a servire da bere.
Imogen afferrò un vassoio e lo strinse a sé, provando l’improvviso bisogno di approfittare persino della fittizia protezione che quell’oggetto poteva offrirle. Poi si diresse verso il bar, dove Jeremy Carson stava spinando due caraffe di birra. Aveva poco più di vent’anni, quindi era più giovane di lei. Si sentiva sempre in imbarazzo quando si accorgeva di pensare a lui come a un ragazzo e non come a un uomo. Era colpa del suo volto giovane e pulito, che però faceva a pugni col terribile accento da portuale di Liverpool. — Sembra che sarà una sera da ricordare, eh, Ginny? Un duca qui dentro con tutta la truppa.
— Anch’io stento a crederci — gli rispose, sistemando le due caraffe sul vassoio e poi i bicchieri puliti che lui le porse. Se c’era una cosa che apprezzava era l’attenzione che Jeremy mostrava per i clienti.
— Cosa pensi che ordinerà il duca? — le domandò, con un sorriso da cospiratore pieno di denti storti che lo fece sembrare ancora più giovane.
Persino nei giorni peggiori lei non poteva evitare di ricambiare quel sorriso. — Ebbene, sto proprio andando a scoprirlo.
— Ottimo, ma stai attenta con quelli, Ginny. Soprattutto stasera — l’ammonì Jeremy. — I soldati vanno temuti e rispettati persino da coloro che dovrebbero proteggere, ricordatelo.
Mentre avanzava tra i tavoli su gambe che sembravano di piombo, Imogen guardò il duca e i suoi chiassosi sottoposti e si disse che mai un tale consiglio era sembrato più appropriato.
Trenwyth sedeva con un’espressione di sardonico divertimento stampata in volto, ma raramente prendeva parte alla conversazione. E nonostante Imogen arrivasse da destra, quindi quasi alle sue spalle, si accorse subito di lei e le puntò addosso due occhi profondi e implacabili. Quello sguardo così intenso le fece battere forte il cuore, trasformando la breve camminata dal bar al loro tavolo in una sorta di viaggio avventuroso denso di pericoli.
Incespicò proprio mentre aggirava le ultime sedie, rischiando di rovesciare il vassoio. Rossa in volto per la mortificazione, si fermò tra il duca e uno scozzese dai capelli neri che sarebbe stato anche passabile senza quella luce crudele negli occhi scuri. Poi versò la birra a tutti, sforzandosi di ignorare Trenwyth, che la studiava silenzioso come una statua.
Una volta finito, aprì la bocca per rivolgersi a lui e chiedergli se volesse bere qualcos’altro, ma si ritrovò a corto di parole. Chiunque avesse più di quattro anni sapeva come rivolgersi a un Pari d’Inghilterra, ma con che titolo doveva chiamarlo? I duchi erano i nobili più titolati del Regno e l’appellativo corretto per rivolgersi a loro era “Vostra Grazia”, ma, se erano in uniforme, il grado militare aveva la precedenza. Però quella che indossava Trenwyth le era sconosciuta: il colore dominante era il nero invece dello scarlatto, e il rosso ornava solo le maniche e il colletto. Poteva essere di tutto, da un capitano a un colonnello, e lei non aveva la minima idea di come rivolgersi a lui.
— Faresti bene a chiudere la bocca, dolcezza, a meno che tu non ci stia offrendo i tuoi servizi — disse lo scozzese. — In tal caso, apprezziamo molto la tua disponibilità, ma prima vorremmo bere, se per te fa lo stesso.
Imogen chiuse la bocca così forte da temere di essersi incrinata un dente, mentre la dozzina di soldati seduti al tavolo sghignazzavano al suo indirizzo. Una nuova mortificazione l’assalì, ma la scacciò col sorriso più radioso che riuscì a produrre e lo rivolse al duca. Lui, almeno, non stava sghignazzando.
— Che cosa... che cosa gradite? — fu tutto ciò che riuscì a chiedergli.
— Dipende. Che cosa proponi? — Quella domanda le risuonò dentro, scaldandole il ventre come se le braci che ardevano nel camino si fossero miracolosamente trasferite nel suo stomaco. Fu poco più di un mormorio, ma il tono era così profondo da vibrarle in tutto il corpo, trafiggendola con quel doppio senso.
Di nuovo si ritrovò incapace sia di rispondergli che di tirare il fiato.
— Niente punch, sherry, brandy o porto al Bare Kitten — rispose lo scozzese per lei. — Solo la migliore birra da questa parte del Tamigi, gin, assenzio e whisky. Ma le carenze nella varietà di alcolici vengono più che compensate dagli altri servizi. Non è forse vero, bellezza? — Un feroce pizzicotto al fondoschiena la fece annas...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- IL DUCA
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
- 18
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