Ritratto incompiuto
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Ritratto incompiuto

  1. 294 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ritratto incompiuto

Informazioni su questo libro

Rimasta senza le tre persone che più amava al mondo - la madre, il marito e la figlia -, Celia sta pensando seriamente al suicidio quando, su un'isola lontana, incontra Larraby, famoso ritrattista. Tra i due scatta subito un'intesa speciale e Celia gli confessa quanta paura abbia di concedersi una nuova possibilità di essere felice accanto a qualcuno, ma anche quanto la terrorizzi l'idea di vivere da sola. Riuscirà Larraby a far accettare a Celia il suo passato e a convincerla a guardare verso il futuro?
Uno scorcio toccante dell'animo umano colto nei suoi aspetti più fragili e una storia densa di emozioni, in cui la Christie, da grande attrice, si dimostra capace di interpretare se stessa, scavando a fondo negli argomenti più intimi e nevralgici della sua vita.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
Print ISBN
9788804602248
eBook ISBN
9788852064999
PARTE SECONDA

Tele

“Prepara le tele. Ho un soggetto per le mani.”
1

La casa

Celia era nel suo lettino e guardava gli iris lilla sulla tappezzeria della nursery. Si sentiva felice e assonnata.
C’era un paravento ai piedi del lettino. Serviva per non farle arrivare la luce della lampada della nannie. Invisibile a Celia, dietro quel paravento, la nannie leggeva la Bibbia. La lampada della nannie era un lume speciale: pesante, di ottone, con un paralume di porcellana rosa. Non mandava mai odore o fumo, perché Susan, la cameriera, era molto scrupolosa. Susan era una brava ragazza, Celia lo sapeva, anche se a volte aveva il difetto di “agitarsi”. Quasi sempre, quando lo faceva, buttava a terra qualche ninnolo nelle immediate vicinanze. Era una ragazzona con i gomiti del colore della carne cruda. Celia li associava vagamente alle misteriose parole “olio di gomito”.
C’era un lieve bisbigliare. La nannie ripeteva le parole tra sé, mentre leggeva. Per Celia era un mormorio rassicurante. Le palpebre le si appesantivano…
La porta si aprì e Susan entrò con un vassoio. Si sforzava di muoversi senza fare rumore, ma le sue scarpe glielo impedivano, scricchiolando.
Sottovoce, disse: «Mi spiace, nurse, sono un po’ in ritardo stasera».
L’altra disse soltanto: «Ssh! Si è addormentata».
«Oh, non vorrei certo svegliarla, allora.» Susan, un po’ ansante, sbirciò al di là del paravento.
«Che tipino, eh? La mia nipotina non è in gamba come questa qui.»
Nello scostarsi dal paravento, Susan urtò contro il tavolino. Un cucchiaio cadde a terra.
Pazientemente, la nurse disse: «Dovresti cercare di essere più attenta, Susan».
Mortificata, Susan si scusò: «Non lo faccio apposta».
Lasciò la stanza in punta di piedi, il che fece scricchiolare le sue suole più che mai.
«Nannie» chiamò Celia cautamente.
«Sì, cara, che c’è?»
«Non dormo mica, nannie.»
La nannie rifiutava di capire l’allusione. Disse soltanto: «No, cara».
Seguì una pausa.
«Nannie?»
«Sì, cara?»
«È buona la tua cena, nannie?»
«Buonissima.»
«Che cos’è?»
«Pesce lesso e crostata.»
«Oh!» sospirò Celia estasiata.
Un’altra pausa. Poi, la nannie apparve da dietro il paravento: una donnetta anziana, con i capelli grigi e una cuffia di batista annodata sotto il mento. In mano aveva una forchetta. Sulla punta della forchetta c’era un piccolo pezzo di crostata.
«Ora devi fare la brava e fare subito la nanna» disse la bambinaia, in tono di ammonizione.
«Oh! Sì» disse Celia con fervore.
Gaudio! Felicità! Il pezzetto di crostata era tra le sue labbra. Incredibile delizia.
La nannie sparì di nuovo al di là del paravento. Celia si rannicchiò su un fianco. Gli iris color malva danzavano nel chiarore del fuoco. Sapore gradevole di crostata ancora in bocca. Fruscio rassicurante di Qualcuno-nella-Stanza. Indicibile benessere.
Celia si addormentò…
Era il terzo compleanno di Celia. Stavano prendendo il tè in giardino. C’erano i bignè al cioccolato. A lei ne era stato concesso uno solo. Cyril ne aveva avuti tre. Cyril era suo fratello. Era grande, lui: aveva quattordici anni. Ne voleva un altro, ma la mamma diceva: «Ora basta, Cyril».
Seguì poi il solito genere di conversazione. Cyril chiedeva “perché?” di continuo.
Un ragnetto rosso, un cosino microscopico, correva attraverso la tovaglia bianca.
«Guarda,» disse la mamma «c’è un ragnetto portafortuna. Sta andando da Celia perché è lei che compie gli anni. È proprio di buon augurio, sai?»
Celia si sentì emozionata e importante. Cyril indirizzò la sua insaziabile curiosità su un altro argomento.
«Mamma, perché i ragni portano fortuna?»
Poi Cyril alla fine se ne andò, e Celia rimase con la mamma. Ora aveva la sua mamma tutta per sé. La madre le sorrideva attraverso la tavola. Era un bel sorriso, non di quelli che sembravano dire: “Che buffa bambina!”.
«Mamma,» pregò Celia «raccontami una storia.»
Adorava le storie di sua madre: non erano come quelle degli altri. Gli altri, quando glielo chiedeva, raccontavano di Cenerentola, di Pollicino e di Cappuccetto Rosso. La nannie parlava di Giuseppe e i suoi fratelli, di Mosè tra i papiri – i papiri venivano sempre visualizzati da Celia come dei paperi molto magri e altezzosi–; ogni tanto, raccontava dei bambini del capitano Stretton, in India. Ma la mamma!
Per cominciare, non sapevi mai, ma proprio mai, quale sarebbe stato l’argomento della storia. Potevano essere i topi, o i bambini, o una principessa. Poteva essere su qualsiasi cosa… L’unico difetto delle storie della mamma era che non le raccontava mai una seconda volta. Diceva – cosa assolutamente incomprensibile per Celia – di non riuscire a ricordarsele.
«Va bene» concesse la mamma. «Quale raccontiamo?»
Celia tratteneva il respiro.
«Quella di Occhi Neri» suggerì. «Oppure quella di Coda Lunga e il formaggio.»
«Ah! No, quelle non me le ricordo più. Aspetta, ne racconteremo una nuova.» Fissava attraverso la tavola, ora, ma come se non vedesse niente, i grandi occhi castani in continuo movimento, l’ovale lungo e delicato del viso serissimo, il piccolo naso un po’ arcuato puntato verso l’alto. Tutta tesa nello sforzo di concentrarsi.
«Ecco, sì…» Improvvisamente, sembrava tornare da chissà dove. «La storia è intitolata “La candela curiosa”…»
«Oh!» Celia tratteneva il respiro. Era tutta orecchi, incantata. La candela curiosa!
Celia era una bambina molto seria. Pensava molto a Dio e a essere buona e virtuosa. Quando esprimeva un desiderio, era sempre quello di essere brava. Indubbiamente, ahimè, era una saputella, ma se non altro la sua pedanteria la teneva per sé.
A volte era presa dal timore orribile di essere “mondana”: parola misteriosa, che dava turbamento! Le capitava soprattutto quando era tutta vestita di mussola inamidata, con un gran fiocco rosa alla vita, e in attesa di scendere per il tè. Ma nel complesso era piacevolmente soddisfatta di se stessa. Faceva parte degli eletti. Era salva.
La sua famiglia, però, era causa per lei di orribili patemi d’animo. Era spaventoso ma… non era affatto sicura sul conto di sua madre. E se mamma non fosse andata in cielo? Pensiero angoscioso che la torturava.
Le leggi erano molto chiare. Giocare a croquet la domenica era peccato. Anche suonare il piano, a meno che non fossero inni. Celia sarebbe morta, martire volontaria, piuttosto che toccare una mazza da croquet nel “Giorno del Signore”, sebbene poter colpire palle a casaccio, sul prato, ogni altro giorno della settimana, fosse per lei un grande godimento.
Ma sua madre giocava a croquet la domenica, e anche suo padre. E suo padre suonava anche il piano e cantava canzoni, su un tale che “… andò a trovarla il lunedì, quando il marito era in città”. Decisamente, non era un inno sacro!
La cosa preoccupava Celia immensamente. Interrogava la nannie: la povera donna, buona e sincera, non sapeva come rispondere.
«Tuo padre e tua madre sono tuo padre e tua madre» diceva la nannie. «Tutto quello che fanno è giusto e ben fatto, e tu non devi trovarci niente da ridire.»
«Ma giocare a croquet la domenica è proibito» diceva Celia.
«Sì, cara. Vuol dire non santificare la festa.»
«Ma allora… ma allora…»
«Non tocca a te preoccuparti per queste cose, cara. Tu pensa soltanto a fare il tuo dovere.»
Così Celia continuava a scuotere la testa quando si vedeva offrire una mazza da croquet “per giocare”.
«Perché diavolo…?» si meravigliava il padre.
E la madre mormorava: «È la nurse. Le ha detto che non si deve, la domenica».
E poi, a Celia: «Non importa, cara, non giocare se non ti va».
Ma altre volte osservava gentilmente: «Sai, tesoro, il Signore ha fatto per noi un mondo bellissimo, e vuole che siamo felici. Il suo giorno è un giorno tutto speciale, un giorno in cui possiamo concederci cose speciali. Solo, non dobbiamo far lavorare gli altri: i domestici, per esempio. Ma divertirsi è assolutamente lecito».
Celia, però, strano a dirsi, per quanto profondamente amasse sua madre, non si lasciava smuovere. Le cose stavano così perché lo diceva la nannie.
Tuttavia, a un certo punto smise di preoccuparsi per sua madre. La mamma aveva sulla parete un’immagine di san Francesco, e un libriccino intitolato L’imitazione di Cristo sul tavolino accanto al letto. Dio, secondo Celia, forse avrebbe chiuso un occhio sul fatto di giocare a croquet la domenica.
Ma il padre era motivo di gravi perplessità. Spesso scherzava sulle cose sacre. A pranzo, una volta, aveva raccontato una storiella buffa su un curato e un vescovo. A Celia non era sembrata divertente: era semplicemente terribile.
Alla fine, un giorno, era scoppiata in singhiozzi e aveva confidato tutti i suoi timori alla madre.
«Ma, cara, il tuo papà è un uomo buonissimo. Ed è anche molto religioso. Si inginocchia e dice le preghiere tutte le sere, proprio come te. È uno degli uomini migliori del mondo.»
«Ride dei vescovi» piagnucolò Celia. «E la domenica gioca a croquet e canta delle canzoni: canzoni mondane. E io ho tanta paura che finirà nel fuoco dell’inferno.»
«Cosa ne sai, tu, di cose come il fuoco dell’inferno?» domandò la madre, e ora la sua voce era irritata.
«È lì che vanno quelli che peccano» rispose Celia.
«Chi ti ha spaventata con tutte queste sciocchezze?»
«Non sono spaventata» rispose Celia, meravigliandosi. «Io non ci vado all’inferno. Ho intenzione di essere sempre buona e di andare in paradiso. Ma…» le labbra le tremavano «voglio che anche papà venga in cielo.»
E allora la mamma ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Ritratto incompiuto
  4. Prefazione
  5. PARTE PRIMA - L’isola
  6. PARTE SECONDA - Tele
  7. PARTE TERZA - L’isola
  8. Copyright