Icaro
eBook - ePub

Icaro

  1. 112 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Ragazzi che nel dopoguerra giocano con quel che trovano, fossero anche residuati bellici; giovani partigiani in attesa nei boschi dell'Appennino; bambini che assistono stupefatti alle complicate macchinazioni degli adulti. E indigeni astuti alle prese con i vacanzieri di turno, pensionati ormai al finale di partita, cocchieri palermitani che devono saper tenere i segreti... Guccini tratteggia delle figure, inquadra dei dettagli, in una successione di racconti che si fanno eco, come sette tracce di un ideale album, e che sono altrettanti squarci di esperienza, lampi di vita ora malinconica, ora arguta, ora straziata.
In queste sette storie, l'universo narrativo di Francesco Guccini si riconferma in tutta la sua densa essenzialità, e il lettore appassionato ritrova gli ambienti, i personaggi, le atmosfere più classiche del mondo dell'autore bolognese, e quella sua inesausta vena civile, ancora una volta al servizio di un'emozionante fantasia narrativa.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
Print ISBN
9788804591771
eBook ISBN
9788852047060

L’ànana

Scesero, i ragazzi e le due capre, verso il fiume, spalancando le vétiche* verdi di foglie nuove e rotolando sui mucchi di pietrisco delle macerie. Scivolarono piano sulla breve scarpata della barleda,** le capre a balzi nervosi, i ragazzi quasi seduti, col corpo bilanciato su un piede solo ed un braccio avanti ed uno all’indietro, per l’equilibrio. Sopra di loro la vecchia Centrale Idroelettrica diroccata, i muri sfumati di pallido giallo sporco e salnitro, gli alti finestroni vuoti, quasi fosse, con le ortiche, i sambuchi e le vitalbe che cominciavano a soffocarla, un tempio Maya abbandonato da tempo, mentre erano solo pochi anni che i tedeschi in ritirata verso nord l’avevano minata e fatta saltare.
Le bestie conoscevano bene la strada del pascolo e si fermarono, fra un campetto di erba medica e le vétiche* che spuntavano dal fiume. Un ronzio piano veniva dallo scorrere dell’acqua e da nidi di vespe nelle crepe del muraglione del fosso di scolo delle turbine. Era un pomeriggio di mezzo giugno, caldo. Il paese, in alto, appena sopra, era silenzioso; solo, ogni tanto il clacson di un camion che correva la statale.
I due ragazzi avevano vissuto molti pomeriggi come quello, giù al fiume, con le capre che agitavano i musi brucando l’erba e le foglie, un breve belato, uno scatto improvviso, un rondone che sfiorava l’acqua per un attimo e ritornava diritto in alto verso il paese.
Sirio, il più vecchio, si tolse la canottiera, si sdraiò su un sasso caldo, al sole, e chiuse gli occhi. L’altro, Nedo, legò le bestie a un arbusto, tenendo il filo del telefono abbandonato dagli americani, improvvisato guinzaglio, abbastanza lungo perché le capre potessero brucare all’intorno ma senza andare nel campetto di medica, che così fresca sarebbe stata per loro letale, fermentando in pancia e gonfiandole fino alla morte. Poi Nedo si accosciò, guardò in giro e tirò un sasso a una capra, tanto per fare qualcosa. La bestia fece un balzetto e si rimise a divorare foglie, la barbetta che si agitava. Lui la guardò oziosamente. «Sirio» disse.
«Cosa?» chiese Sirio, quasi infastidito. Si alzò a sedere, prese da una tasca dei calzoni corti un mezzo toscano e lo accese con un fiammifero pescato dalla stessa tasca, che sfregò su un sasso e poi tenne lontano da sé per un poco, a lasciar svanire l’odore pungente di zolfo. Tirò una boccata e la assaporò, guardando dagli occhi socchiusi il fumo salire in alto.
«Facciamo il bagno?» disse Nedo. «Prima che il sole vada giù, dopo l’acqua si infredda.» Non è che temesse tanto il freddo, ma aveva paura dell’acqua, quando non c’era più il sole a illuminarla, e diventava buia e verdastra, e dei massi grigi che emergevano diritti dal fondo, e delle alghe che, verdi com’erano, sembravano bisce, mosse dalla corrente.
Sirio si alzò dal sasso e spense il toscano, sfregandolo contro la pietra. «Ma sì, stiamo un po’ a bagno.» Si tolse i calzoncini e rimase nudo, la pelle bianca col segno della canottiera e dei calzoni, nera sul viso, le braccia e le gambe. Saltò rapido da un sasso all’altro verso il fiume e si fermò ad assaggiare l’acqua con un piede.
Nedo si tolse i calzoncini e rimase con un paio di mutande sbilenche. «Com’è l’acqua?» fece.
«Calda, calda... diomadonna s’è fredda!» Il fiume, dopo un drizzone, si allargava e formava una pozza abbastanza larga e fonda per poterci nuotare. Sirio avanzava piano, a piccoli passi, tenendo le braccia alzate per equilibrarsi, ed emetteva piccole grida a mano a mano che l’acqua avanzava sul suo corpo.
«Giù» fece Nedo alle sue spalle, e tirò in acqua una grossa piagna* per bagnarlo.
Sirio urlò: «Accidenti a te, figlio d’un cane!» e si tuffò con una mezza capriola in avanti, raggiunse il fondo con poche bracciate, poi, con un colpo di reni riemerse sputando acqua e gettando la testa all’indietro, per tirarsi via i capelli bagnati dalla fronte. «Ora vieni giù anche te!» disse a Nedo che a due mani si tirava in alto le mutande. «Cosa fai ancora in mutande, non ti spogli?»
«E se poi ci vedono?»
«O chi vuoi che ci veda? Vieni in acqua, che è un po’ fredda ma dopo si sta bene.»
Nedo si arrampicò su uno sperone in muratura che era stato costruito per riparare la riva dalle violente piene invernali, prese la rincorsa e si tuffò con le gambe aperte e il naso chiuso da due dita. Fu in acqua con un tonfo secco che echeggiò tra i muri della Centrale, annaspò a galla soffiando e scuotendo la testa e si mise a nuotare come i cani, raspando con le mani e sbattendo forte i piedi. «È fredda» gridava «è fredda.» Arrivò a riva e si gettò su un mucchio di rena calda, battendo i denti, l’acqua che luccicava in gocciole sulla sua pelle.
«Povera gioventù!» gli gridò Sirio, «è fredda, è fredda!», facendogli il verso, ma anche lui era tornato a riva e si era sdraiato a pancia bassa su un sasso caldo.
Nedo prese una manciata di rena e se la fece scivolare piano sulla pancia.
«O» disse, «ho trovato un nido, su in Centrale.»
«Di che cos’è?»
«Dev’essere di codiróssola. Ma ci sono ancora le uova. Andiamo a vederlo?»
«No, aspetta» fece Sirio, col tono di chi se ne intende. «Bisogna aspettare un po’ di giorni, che nascano gli uccellini, quando sono ancora all’impizzo. Se no, la madre si sdegna e non cova più, e addio uccellini da mangiare. Dov’è ’sto nido?»
«Là.» Nedo indicò col braccio magro gli scheletriti muri della Centrale. Dentro c’era ancora, sbeccato e sbrecciato, il pavimento di mattonelle a sei lati rosse, qua e là intignato d’erbe, e si aprivano voragini dove un tempo c’erano le turbine, ridotte a monconi di ferro contorti. «Sai» disse Nedo, «bisogna andare a prendere il ferro. Mi hanno detto che vengono quelli delle ferrovie per smontare tutto, e addio ferro.» Si voltò verso Sirio. «Tu te la ricordi la Centrale, quand’era in piedi?» L’altro assentì con la testa.
«E com’era?»
«Dentro non l’ho mai vista, non mi facevano andare, ma fuori era bella.»
«E te lo ricordi quando i tedeschi l’han fatta saltare?»
«O sì. Ero in paese. Eran venuti a dirci di aprire i vetri delle finestre di casa, sennò lo spostamento d’aria li avrebbe rotti. C’è stato il botto e poi il fumo che...» cercava la parola «si è sparso in fuori. Madonna che fumo, e che botto. È durato un pezzo, il fumo. Credevo che fosse venuto giù tutto, invece i muri sono rimasti in piedi. Ma prima o poi cascano, non possono stare sempre su.»
«Sai cosa mi hanno detto? Che dentro ci sono ancora delle mine non esplose.»
«Ma quali mine?! Lo dicono quelli delle ferrovie perché noi non si vada a prendere il ferro per rivenderlo. Quando arrivarono gli americani ci avevano fatto le cucine per i soldati, là dentro. E poi...» Sirio rise, grattandosi una sbucciatura su un ginocchio. «Ci vanno sempre a far l’amore, là dentro. E noi non andiamo sempre a portar via il ferro? Se ci fossero le mine, sai quante volte sarebbero scoppiate?»
Nedo tirò un sasso a una capra che stava tirando il filo verso l’erba medica. Si alzò in piedi. «Dove vai, porca putandra?!» urlò. La bestia, colpita in pieno, belò alto e ritornò saltellando verso il fiume. Nedo tornò ad accucciarsi. «Ma li hai mai visti, tu?»
«Chi ho visto?»
«Quelli che fanno l’amore.»
Sirio rise. «A voglia! Ci si rimpiatta, loro vengono e credono d’essere soli.»
«E cosa fanno?»
«L’amore, fanno, te l’ho detto. Si baciano, si toccano, fanno l’amore, insomma.»
«E tu, l’hai mai fatto l’amore?»
«Io?» scrollò le spalle. «’Na qualche volta.»
Nedo rise. «Mi hanno detto che sei andato su per i castagneti con la Lina di Primo. Ci sei andato a fare l’amore?»
«No, a cercare i funghi.»
«Ma mi han detto che ti hanno visto mentre le cavavi le mutande!»
«Ragazzi, la gente! Che mutande, che non le porta mai! E poi sì, ci son stato, ma l’ho soltanto guardata e toccata, qui e qui» e fece vedere i punti toccandosi la pelle. Ma l’amore no, quella lì è matarocca, dopo lo va a dire in giro, e sai il babbo se lo viene a sapere, mi dà del suo!» Sirio si riaccese il sigaro.
«È matta sì, è matta.» Nedo corse dietro alla capra che si stava ancora allontanando. Una vespa gli passò vicino alla faccia. «O, o!» fece il ragazzo scostandosi. Ormai era caldo e asciutto ma le mutande, ancora bagnate, gli sbattevano ad ogni passo sulle cosce e gliele facevano pizzicare. Finì che se le tolse, e le picchiò contro un sasso per farle asciugare.
«M’è andata l’acqua in un orecchio!» diceva Sirio, e se lo picchiottava con la palma della mano a testa inclinata. Alzò lo sguardo e vide una capra che si era slegata e se ne andava a cercare altro pascolo verso la Centrale e la strada. «Nedo, prendila che scappa!» gridò.
L’altro ragazzo tirò a vuoto una pietra e si mise a correre sui sassi. Arrivò al campo di medica ma l’erba era stata in parte segata. «O, qui mi buco!» disse Nedo, camminando sui talloni.
«Passa dal muro!» gli urlò Sirio, «e rimandala in qua.»
Era il muro che fiancheggiava il canale di scolo delle turbine. Una volta colmo d’acqua, il canale si era trasformato in una sorta di palude di pozze quasi stagnanti che si perdevano verso la Centrale, sotto ai muri, verso le turbine, con la galleria d’uscita ostruita a tratti da blocchi di cemento armato massicci e grifagni, chiazzati di ruggine, irti di ferri contorti. La capra era sul muro, belò quasi irrisoria poi sc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il libro
  3. di Francesco Guccini
  4. Icaro
  5. Lo “gnuri”
  6. Buona domenica, Miguel
  7. L’ànana
  8. La scimmia
  9. Arriva la libertà
  10. José Pasculli
  11. Icaro
  12. Copyright