«Non si può comprendere la psicologia femminile, e neppure quella maschile, se non si tiene presente che da circa seimila anni tra i sessi è in corso una guerra. Ora questa guerra si è trasformata in guerriglia. Le donne sono state sconfitte dal patriarcato seimila anni fa, e da allora la società si è fondata sul principio della dominazione maschile. Ma non esiste dominio di una parte dell’umanità sull’altra, di una classe sociale, di una nazione o di un sesso, che non generi anche ribellione: furia, odio e desiderio di vendetta negli oppressi e sfruttati, e paura e insicurezza in chi sfrutta e opprime.» In questa dichiarazione pubblicata il 16 febbraio 1975 sul settimanale italiano «L’Espresso» si ritrova in sintesi il pensiero fondamentale di Erich Fromm sulla questione del rapporto tra i sessi. Non è la differenza tra i sessi a creare problemi, ma piuttosto il fatto che sia stata utilizzata ad altri fini. Erich Fromm era infatti interessato non tanto alla differenza anatomico-biologica tra i sessi, ma al modo in cui questa è stata funzionalizzata nel corso della storia dell’umanità. In proposito, l’importanza dell’opera di Bachofen, Il matriarcato, nello sviluppo del pensiero di Fromm è inestimabile. Un’eco si ritrova già negli scritti che risalgono al principio degli anni Trenta, ma l’ammirazione per Bachofen percorre l’intera produzione di Fromm. Ancora in età avanzata egli lo annoverava tra le fonti più significative del suo pensiero ed era instancabile nel consigliare la lettura del Matriarcato.
I saggi compresi nella prima parte di questa raccolta sono una prova eloquente dell’entusiasmo con cui Fromm aveva assimilato le conoscenze di Bachofen sulle strutture sociali proprie del matriarcato e del patriarcato; in essi inoltre Fromm si rivela un acuto precursore di una tematica come quella del rapporto tra i sessi, oggi divenuta di grande attualità.
Qui vorrei aggiungere ancora qualche dettaglio di natura editoriale su due saggi compresi nella prima parte, e finora inediti.
Il saggio Bachofen e la scoperta del matriarcato si trovava presso il «Lascito Erich Fromm». Fu scritto in inglese a metà degli anni Cinquanta per fare da introduzione al progetto di una edizione inglese del Matriarcato, che non venne mai pubblicata. Solo nel 1967 la Fondazione Bollner ha espresso il suo consenso a una traduzione della principale opera di Bachofen. Nel frattempo l’introduzione di Fromm, dal titolo Bachofen Significance for Today, era stata dimenticata e non fu dunque mai pubblicata dall’autore.
Il saggio La creazione maschile è stato da me di recente rinvenuto nella parte del lascito di Fromm presso la New York Public Library. È stato scritto in tedesco. La datazione del 1933 non è accertata. Il fatto che nel manoscritto si faccia riferimento alla cultura europea e a quella americana lascia supporre che esso sia stato redatto nei primi mesi dopo l’emigrazione negli Stati Uniti. Negli scritti successivi Fromm tornerà spesso a confrontare, come qui appunto, i miti della creazione biblici e quelli babilonesi.
Le strutture sociali matriarcali e patriarcali sono essenziali alla tematica delle relazioni tra i sessi, pur non essendo gli unici fattori determinanti. Nella seconda parte del presente volume Fromm si domanda se sia possibile individuare un nesso tra il sesso e il carattere di un individuo. Il contributo sul tema «differenze tra i sessi e carattere» porta il titolo Uomo e donna, ed è frutto di una conferenza tenuta da Fromm nel 1949; qui vengono riportati anche i temi più importanti affrontati da Fromm nella discussione che ne seguì. Questo scritto, pubblicato nel 1951, si discosta da un punto di vista teorico dal saggio Sesso e carattere (in questo volume alle pp. 409-23), nel senso che qui Fromm non tenta neanche più di desumere differenze caratteriali tra i sessi partendo da dati biologici specifici, ma si limita a constatare lapidariamente: non è vero che le difficoltà nelle relazioni tra uomo e donna siano per loro natura condizionate dalla differenza tra i sessi. I rapporti uomo-donna sono in primo luogo relazioni tra esseri umani. Queste sono a loro volta definite dal carattere sociale di volta in volta dominante. Ma più interessante è per Fromm l’indagine su come la funzionalizzazione della differenza tra i sessi abbia un’influenza psichica sul senso di identità del singolo e sulla convivenza tra gli uomini, e tra i due sessi in particolare.
Una soluzione che miri a trasferire il potere dall’uomo alla donna alimenta il conflitto tra i sessi. Per questa ragione, nell’intervista del 1975 appena citata Fromm non tiene in gran conto un movimento femminista che in effetti continua a promuovere il principio patriarcale, con l’unica differenza di teorizzare un passaggio di potere dagli uomini alle donne, perché in tal modo le donne non hanno la possibilità di emanciparsi in quanto esseri umani. «La guerra continua e genera necessariamente odio e sadismo in entrambe le parti. Sfruttate e sfruttatori si trovano sulla stessa barca, come il prigioniero e la sua guardia: si minacciano l’un l’altro e si odiano, perché temono ciascuno gli attacchi dell’altro. Così gli uomini hanno paura delle donne, anche se fingono il contrario.»
Non esiste problema psicologico tanto controverso e complesso come quello del rapporto tra i sessi; il motivo è assai semplice: viviamo ancora nella tradizione del patriarcato, ciascuno di noi nutre prevenzioni su questo tema e ne è toccato, è vittima di esagerazioni e proiezioni. Per giungere a un chiarimento dobbiamo divenire consapevoli di essere partecipi del modello di pensiero patriarcale, e dobbiamo elaborare modelli percettivi e di pensiero matriarcali. Solo in questo modo potremo prefigurare e praticare un approccio alla realtà che integri le differenze tra i sessi.
Un’analisi sensata dovrà prendere le mosse dalla funzionalizzazione della differenza tra i sessi fin dal momento dell’istituzione del patriarcato. Fromm lo aveva compreso già alla fine degli anni Venti, grazie alla lettura degli scritti di Johann Jakob Bachofen, ma si era anche spinto fino ad affermare che oggi gli esseri umani non sono orientati a se stessi e alle peculiarità specifiche al proprio sesso, ma al mercato, al successo, alle aspettative degli altri, al ruolo che viene loro assegnato. Si potrebbe affermare che «nell’orientamento mercantile le relazioni tra uomo e donna conservano ancora solo pochi tratti specifici».
Fromm ritiene che la questione del rapporto tra i sessi sia determinata tanto dalle strutture sociali matriarcali e patriarcali quanto dall’orientamento del carattere sociale di volta in volta dominante. Ciò ha conseguenze di ampia portata sul ruolo e sul modo di intendere la sessualità; così, nella terza parte del presente volume, due interventi affrontano la tematica relativa al sesso e alla sessualità. Il primo saggio, dal titolo Sessualità e carattere, fu scritto nel 1948 in occasione della pubblicazione del Rapporto Kinsey. Ma Fromm vi fa riferimento solo per inciso. Prendendo le distanze da Sigmund Freud, che considerava il carattere di un uomo o di una donna determinato dalla pulsione sessuale, per Fromm si tratta proprio del contrario: «Dal nostro punto di vista il comportamento sessuale non è la causa bensì l’effetto della struttura caratteriale di una persona». Non è la sessualità a determinare la riuscita della relazione, ma è il tipo di modello relazionale, di carattere, a determinare il comportamento sessuale. I problemi specificamente riconducibili al sesso, dunque, non risultano da differenze sessuali, ma sono principalmente espressione del particolare tipo di relazione tra due individui.
Ciò non vale soltanto per le relazioni eterosessuali ma anche per quelle omosessuali. Il saggio Mutamento nel concetto di omosessualità è l’unico articolo di Fromm interamente dedicato a questo tema, e viene qui pubblicato per la prima volta. Fa parte del lascito newyorchese ed è stato scritto in inglese intorno al 1940. In esso Fromm dimostra che la teoria freudiana dell’omosessualità non trova conferme nella prassi terapeutica. L’omosessualità non costituisce una realtà clinica a sé stante ma è un fenomeno che si manifesta in concomitanza con diversi problemi caratteriali, e mostra la tendenza a risolversi non appena vengono risolti i problemi caratteriali generali. Anche in ciò Fromm trova conferma che non è la sessualità a determinare il carattere, bensì è l’orientamento caratteriale a determinare il comportamento sessuale. Perciò esistono tanti tipi di comportamento omosessuale quanto eterosessuale, e le relazioni tra omosessuali mostrano gli stessi problemi di quelle tra eterosessuali.
Se dunque il problema della relazione tra i sessi non è primariamente il risultato delle differenze sessuali, ma la differenza sessuale viene piuttosto utilizzata per dar sfogo ad altre pulsioni quali l’esercizio del potere e la sottomissione, l’amore e l’odio, allora il problema del rapporto tra i sessi è soprattutto quello di individuare l’orientamento caratterologico che determina le relazioni tra gli uomini: amore o odio, amore per la vita o fascino della violenza. La quarta parte del volume affronta perciò questi orientamenti di fondo, decisivi anche rispetto alla questione sessuale.
L’articolo Egoismo e amore per se stessi fu pubblicato nella rivista «Psychiatry» nel 1939 e, a eccezione della prima parte, che nel 1947 Fromm incluse nel volume Psicoanalisi ed etica, è rimasto dimenticato. È uno dei saggi più importanti di Fromm. In esso, assai prima degli studi sulla psicologia del Sé e sulla teoria del narcisismo, egli elabora una teoria del Sé in cui, in contrasto con Freud, dimostra che esiste sempre una corrispondenza tra rapporto con se stessi e rapporto con gli altri. Invece di prendere le mosse da un contrasto tra amore per se stessi e amore per il prossimo, Fromm presuppone una corrispondenza e correlazione tra rapporto con se stessi e rapporto con l’oggetto. Perciò egli sottolinea la necessità di una relazione positiva con se stessi, dell’amore per sé. Solo se questo viene frustrato si giunge a forme di egoismo e narcisismo compensative della mancanza di amore per se stessi. Fromm ritiene che la stessa logica sia applicabile anche riguardo all’odio, tanto che egli parla di un odio reattivo e di un odio caratterialmente condizionato. A questo proposito è sorprendente la chiarezza con cui Fromm, nel 1939, ha potuto descrivere i fondamenti psicologici del nazionalsocialismo in Germania. (La ripartizione in paragrafi con un loro titolo è stata da me operata per articolare meglio la materia.)
Amore e odio sono orientamenti fondamentali del carattere, e plasmano il comportamento dei sessi. Nel corso del XX secolo amore e odio hanno acquisito un significato molto più ampio e nello stesso tempo più preciso. Non si parla più soltanto di amore, ma di biofilia, vale a dire di amore per ciò che è vivo, per ciò che cresce e si sviluppa. E non si parla più solo di odio, ma di piacere di distruggere e di volontà di distruzione, di attrazione per ciò che è inanimato, di fascino per la violenza, di amore per la morte: di necrofilia. L’ultimo saggio, pubblicato da Fromm nel 1967 in una rivista americana, è dedicato a questo argomento. Decisivo per il futuro dell’uomo non è la questione sessuale, ma il fatto che sia l’amore per la vita oppure l’amore per la morte a determinare le nostre relazioni, e dunque anche le relazioni tra i sessi. «È tuttavia difficile sperimentare questa modalità di approccio in una cultura che premia il risultato a scapito del processo, gli oggetti a scapito della vita, che trasforma i mezzi in fini e ci insegna a usare il cervello laddove è in gioco il cuore. Amare un’altra persona e amare la vita non sono cose che si raggiungono in fretta. Ciò è possibile con il sesso ma non con l’amore. Senza il piacere della quiete non c’è amore.»
Jakob Bachofen (1815-1887) è noto solo a una cerchia relativamente ristretta di specialisti. Eppure non è affatto un «autore dimenticato»: non è mai stato famoso né celebre neanche all’epoca della pubblicazione dei suoi scritti o subito dopo la morte. Negli ultimi anni della sua vita, la sua opera riscosse riconoscimento e ammirazione presso alcuni antropologi quali Adolf Bastian e Lewis H. Morgan; anche Friedrich Engels e Karl Marx furono fortemente influenzati dal suo pensiero. Bachofen fu quasi completamente ignorato per molto tempo, fino a quando, negli anni che precedettero la Prima guerra mondiale, un piccolo gruppo di intellettuali tedeschi di matrice romantica ricominciò a leggere le sue opere e a diffonderne il nome, seppure in circoli ristretti. È solo in anni recenti che si riscontra un nuovo, crescente interesse per Bachofen, non soltanto in Germania e in Svizzera, ma anche nei paesi di lingua inglese e spagnola.
La sorte singolare cui è stata soggetta l’opera di questo studioso risulta tanto più evidente se confrontata con quella di un altro genio come Sigmund Freud, il quale, una generazione più tardi, si trovò a lavorare su tematiche intimamente affini. Che diverso destino! Freud diventa uno dei pensatori più noti al mondo, le sue idee e i termini da lui adoperati entrano nel linguaggio comune, i suoi libri sono tradotti in tutte le lingue, le sue teorie costituiscono materia d’insegnamento in numerosi istituti; Bachofen rimane invece una figura sconosciuta al grande pubblico, ammirata da pochi e ridicolizzata dalla maggior parte degli specialisti. Il contrasto è ancora più stridente se solo si considera che per taluni aspetti Bachofen ha anticipato Freud e che talvolta ha fornito risposte molto più acute alle stesse domande.
Solitamente si ritiene che il risultato più significativo della ricerca di Bachofen sia stato la scoperta del matriarcato. Attraverso lo studio dei miti e dei simboli romani, greci ed egizi, egli giunse alla conclusione che la struttura sociale patriarcale, che ha informato di sé l’intera storia del mondo civilizzato, fosse relativamente recente, e che fosse stata preceduta da una cultura in cui il ruolo di comando spettava alla madre – rappresentata dalla Grande Dea – che era il capofamiglia. Bachofen suppose inoltre che, agli albori della storia, la fase del matriarcato fosse stata preceduta da un’altra forma sociale più primitiva e meno civilizzata, l’«eterismo». Fondata interamente sulla naturale produttività della donna, questa forma non conosceva l’istituto del matrimonio né leggi né principi né ordine: uno stato di vita comparabile alla crescita selvaggia della vegetazione di una palude. La fase del matriarcato si situa dunque tra lo stadio più basso e lo stadio più elevato dello sviluppo umano, quello del patri...