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1. Si tratta di Pompeo Paolino, cavaliere originario di Arles (cfr. Plinio, Naturalis historia XXXIII, 143). Forse da identificarsi con il Pompeo Paolino che ricoprì la carica di prefetto dell’annona dalla fine degli anni ’40 al 55. Sulla base di Tacito (Annales XV, 60, 4), dove Pompea Paolina è indicata come moglie di Seneca, Paolino è stato identificato come suocero di Seneca; per maggiori dettagli sull’identità del dedicatario e sulla datazione del dialogo cfr. supra l’introduzione.←
2. La forma latina conqueritur costituisce un’eco letteraria di Sallustio, Bellum Iugurthinum 1, 1: Falso queritur de natura sua genus humanum, quod inbecilla atque aevi brevis forte potius quam virtute regatur («A torto gli uomini si dolgono di essere governati, a causa della loro natura instabile e di breve corso, dai capricci della sorte piuttosto che dalla virtù»). Cfr. TRAINA 19874, p. 164 e BORGO 1989.←
3. La parola aevum, data la connessione col greco αἰών “vita, tempo della vita, eternità” e ἀεί “sempre”, esprime il concetto di tempo nella sua continuità, «le temps considéré dans sa durée»; di qui termini quali aetas, aeternitas e saeclum. Il termine tempus designa invece un tempo selezionato, «le temps considéré surtout en tant que fraction de la durée». In ciò riconosciamo l’influenza del greco τέμνω “taglio”, donde termini quali templum, «espace carré délimité par l’augure dans le ciel, et sur la terre, à l’intérieur duquel il recueille et interprète les présages» (cfr. templa caeli = τέμενος αἰθέρος). Cfr. ERNOUT - MEILLET 19584, pp. 13-14 e 681-82.←
4. Reynolds, di contro a decurrant ω, sceglie, sulla scorta di Gertz, la forma indicativa decurrunt. Ma il congiuntivo ben si adatta a questa climax discendente che ci lascia apprezzare lo scarto tra l’opinione della maior pars mortalium e quella del saggio stoico. Non è dello stesso avviso WILLIAMS 2003, p. 118, secondo il quale il mantenimento della lezione tradita enfatizza, in maniera eccessiva, la distinzione tra l’oggettività del concetto introdotto dall’indicativo gignimur e l’opinabilità dello stesso, suggerita dal congiuntivo decurrant. Tuttavia, come già osservato da BOURGERY 1922, queste variazioni sintattiche sono rappresentative del sostanziale anticlassicismo senecano. Per l’idea del tempo che corre via rapinoso e la ricchezza di immagini connesse a questa metafora si vedano anche le osservazioni di TRAINA 19936, p. XI e ARMISEN-MARCHETTI 1989, pp. 82-83, 87-88, 121-22.←
5. Seneca ripropone, in forma chiastica, i primi due cola di Ippocrate (definito come maximus ille medicorum), Aphorismorum 1, 1 (IV, p. 458 Littré): Ὁ βίος βραχύς, ἡ δὲ τέχνη μακρὴ, ὁ δὲ καιρὸς ὀξὺς, ἡ δὲ πεῖρα σφαλερὴ, ἡ δὲ κρίσις χαλεπή. Δεῖ δὲ οὐ μόνον ἑωυτὸν παρέχειν τά δέοντα ποιεῦντα, ἀλλὰ καὶ τὸν νοσέοντα, καὶ τοὺς παρεόντας, καὶ τὰ ἔξωθεν («La vita è breve, l’arte lunga, l’occasione immediata, l’esperienza ingannevole, il giudizio difficile. Bisogna che non solo il medico compia lui stesso ciò che è necessario, ma che partecipino anche il malato, gli assistenti, le circostanze esterne»). Questo aforisma, che sarà poi ampiamente commentato da Galeno nel II secolo, era stato, peraltro, riproposto da Zenone il quale introduce la nozione di malattia dell’anima – cfr. Stoicorum veterum fragmenta I, 323: Ζήνων ἔλεγεν οὐδενὸς ἡμᾶς οὕτω πένεσθαι ὡς χρόνου. Βραχὺς γὰρ ὄντως ὁ βίος, ἡ δὲ τέχνη μακρή, καὶ μᾶλλον ἡ τὰς τῆς ψυχῆς νόσους ἰάσασθαι δυναμένη («Zenone era solito dire che di nulla ci diamo pena come del tempo. Breve infatti è la vita, lunga l’arte e soprattutto quella che è in grado di curare le malattie dell’anima»). Seneca espone una tesi apparentemente in contrasto con quella ippocratea, ovvero che abbiamo sufficiente tempo, se solo sappiamo farne buon uso. Come messo in luce da FASCE 1994, nella citazione di Ippocrate troviamo elucidata la coppia oppositiva χρόνος/καιρός (tempo/occasione) che è propria della temporalità medica. Attraverso la pratica dell’anamnesi il dato medico emerge dalla cooperazione tra paziente e dottore. Quest’ultimo interpreta e riempie di significato gli eventi che il paziente richiama alla memoria e che resterebbero, altrimenti, inintellegibili. Il processo di anamnesi è una ricomposizione di senso. Dalla sinergia medico/paziente il presente riceve significato alla luce degli accadimenti passati, e si dipana in una prognosi che scoglie gli esiti futuri della patologia. L’arte medica è dunque lunga poiché abbraccia una temporalità “espansa” che vuole essere interpretazione del segno, sulla base dell’analisi del dato passato, in funzione di un presente che si risolve nel futuro. Seneca utilizza questa massima ippocratea, presentata all’inizio del dialogo, e dunque in posizione di rilievo, per stabilire alcune coordinate fondamentali della sua riflessione sul tempo. La vita è in effetti breve per coloro che non sanno fare uso del tempo (cfr. De brevitate vitae 16, 1). Ma ecco che nel De brevitate vitae assistiamo a una ridefinizione del tempo stesso che, oltrepassando la sfera biologica della medicina, viene ora valutato attraverso la dimensione della meditazione e dell’otium. Ecco che la vita diventa lunga se solo la durata di questa nostra esistenza si trasforma in un respiro dello spirito. Su questa citazione in Seneca si vedano BAUMGARTEN 1970 e, ricchissimo di bibliografia, SETAIOLI 1988, pp. 154 sgg.←
6. Si tratta di una massima peripatetica che Seneca attribuisce ad Aristotele, mentre invece Cicerone, Tusculanae disputationes III, 69 riporta questo pensiero come di Teofrasto: Theophrastus autem moriens accusasse naturam dicitur, quod cervis et cornicibus vitam diuturnam, quorum id nihil interesset, hominibus, quorum maxime interfuisset, tam exiguam vitam dedisset; quorum si aetas potuisset esse longinquior, futurum fuisse ut omnibus perfectis artibus omni doctrina hominum vita erudiretur. Querebatur igitur se tum, cum illa videre coepisset, extingui («Tuttavia si dice che Teofrasto, morendo, avesse accusato la natura di aver dato una vita tanto lunga ai cervi e alle cornacchie, ai quali di tale dono non importava nulla, e di averne concessa una così breve agli uomini, per i quali sarebbe stata una cosa di massima importanza; poiché con maggior tempo a disposizione avrebbero potuto perfezionarsi in tutte le arti e avrebbero appreso ogni conoscenza. Perciò si lamentava di dover morire proprio nel momento in cui aveva cominciato ad intravederle»). Sulla base di questa sententia teofrastea VIANSINO 1992-93, p. 707 propone un’altra interpretazione per quella che sembrerebbe l’errata attribuzione del pensiero ad Aristotele. Si tratterebbe di un espediente volontariamente adottato da Seneca per affiancare a Ippocrate un’altra figura eminente, ovvero Aristotele il caposcuola e non Teofrasto lo scolaro. Leggiamo quest’aforisma di Teofrasto anche in Diogene Laerzio, V, 41: ἡμεῖς γὰρ ὁπότ’ἀρχόμεθα ζῆν, τότ’ἀποθνῄσκομεν («Infatti quando cominciamo a vivere, moriamo»). In particolare la longevità del cervo e del corvo costituivano un topos della letteratura antica già a partire da Esiodo, fr. 304.1-2 M-W. Ma vedi anche Ovidio, Metamorfosi VII, 273-74 e Plinio, Naturalis historia VII, 153. ←
7. Di contro a perdidimus ω, conservato sia da Traina che dalla Ramondetti, seguo Reynolds nella scelta di perdimus ς. Se il perfetto enfatizza l’aspetto resultativo dell’azione (ci accorgiamo che il tempo è trascorso in quanto, appunto, l’abbiamo perso), mi pare che il presente meglio si addica al tono predicatorio di questa sententia, tuttavia da un punto di vista di genesi dell’errore risulta più facile il passaggio perdidimus a perdimus che non viceversa. Seneca descrive, in questo caso, una situazione miserevole ma tipica della condizione umana. ←
8. Registriamo la presenza di un’altra eco sallustiana. In Bellum Iugurthinum 1, 4 si legge infatti: ubi per socordiam vires, tempus, ingenium diffluxere, naturae infirmitas accusatur e anche 2, 4: per luxum et ignaviam aetatem agunt. Come osservato da Traina la rara costruzione di diffluo con per + accusativo costituisce un’ulteriore prova della derivazione sallustiana del passo. Cfr. TRAINA 19874, pp. 159-64. ←
9. Per luxum è una iunctura rara di derivazione sallustiana (Bellum Iugurthinum 1, 4; 2, 4), a conferma dell’influsso stilistico di alcuni tratti di queste opere su Seneca. In proposito cfr. BORGO 1991.←
10. Seguo Reynolds e stampo il presente facimus ς, invece del perfetto fecimus ω, per le stesse ragioni esposte supra alla nota 7.←
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1. Per il tema dell’ubriachezza si vedano, all’interno del dialogo, anche 7, 1 e 16, 4, nonché l’Epistola 83. Si riteneva che l’uso smodato del vino alterando gli equilibri termici del corpo, in particolare la giusta commistione di caldo e freddo, provocasse uno sbilanciamento degli umori corporei e, dunque, un conseguente, generale deterioramento...