
- 252 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Biondo era e bello
Informazioni su questo libro
«Da ragazzo, da adolescente, da giovane, da uomo, lessi i versi di Dante: mi rimasero addosso come il caldo del cappotto d'inverno». L'endecasillabo dantesco è un filo rosso che attraversa la vita di Tobino, con letture solitarie e condivise, e recitazioni agli amici in osteria e ai pazienti del manicomio. Biondo era e bello è una biografia personalissima che di Dante racconta soprattutto la passione politica e i fervori battaglieri, le dissipazioni amorose, i dolori e le amarezze dell'esilio, come avrebbe potuto fare un contemporaneo: l'arte di Tobino, infatti, affonda le radici nella stessa Toscana rissosa e gentile, le cui linfe nutrirono la poesia dantesca.
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Informazioni
Print ISBN
9788804455714eBook ISBN
9788852031977Apparati
a cura di Paola Italia
Nota al testo
E davvero il mio maggior piacere, la mia più pura e solitaria gioia, è considerare le parole e i fatti degli uomini antichi, di Dante, Machiavelli, Guicciardini, paragonare al mio il destino della loro vita e pazientare umilmente, mettermi vicino al pianto e desiderare che la morte mi tolga da questa inutile nostalgia su una società italiana grande e civile.
Diario, 13 febbraio 1960
Una “vida” moderna
«Da ragazzo, da adolescente, da giovane, da uomo, lessi i versi di Dante: mi rimasero addosso come il caldo del cappotto d’inverno».1 Così Mario Tobino, in un’introduzione a Biondo era e bello, rimasta tra le sue carte e qui pubblicata per la prima volta, confessa il suo rapporto con Dante: un filo rosso che attraversa tutta la vita e ne scandisce le stagioni al ritmo sonoro e potente del suo endecasillabo. Un rapporto fatto di letture solitarie e condivise (come quelle con il trattore di San Macario in Piano «che dice Dante con la stessa immediatezza che certamente fu a quel tempo dove tutto era vivo»), di recitazioni agli amici in osteria e ai pazienti del manicomio di Maggiano.
Ma anche se Dante è e rimarrà sempre la prima passione letteraria, l’avventura di Biondo era e bello – il più popolare e fortunato tra i libri di Tobino – comincia all’inizio degli anni Sessanta e dura più di dieci anni, fino alla pubblicazione del 1974, nella collana «Scrittori italiani e stranieri» fondata da Vittorio Sereni.
È il giugno del 1963. Spenti i fuochi del successo del Clandestino (Mondadori, Milano 1962), che aveva proiettato Tobino nello star-system editoriale, garantendogli quella gloria letteraria a cui, dall’isolamento di Maggiano, aveva sempre aspirato e legandolo definitivamente (anche se non esclusivamente) al maggiore editore del dopoguerra, Tobino inizia a rileggere Dante in preparazione di un progetto accarezzato da tempo: scriverne la vita, raccontarla – come confessa più volte nel Diario e annota nei manoscritti preparatori – «al popolo».
Tobino è mosso da due esigenze. La prima è più intima, personale: dare una testimonianza privata di una lunga fedeltà alla Commedia («Ho amato Dante come si ama il proprio padre che da bambini ci prese per mano e dalla sua bocca ogni parola era dorata moneta»);2 la seconda è collettiva: dare vita a una battaglia culturale per avvicinare Dante a italiani e stranieri, attraverso le parole di un lettore d’eccezione, che, adulto, ha conservato intatta la sua passione giovanile (la stessa passione che, da ragazzo, aveva nutrito le letture notturne di Dostoevskij, divorato a letto, «sullo stesso fianco e con la stessa mano fredda a sorreggere il libro»).3 Da una parte la passione letteraria, dall’altra la passione politica, per raccontare la vita di Dante come avrebbe potuto fare un suo contemporaneo, convinto, come aveva scritto Barbi, che «l’opera di Dante ha la sua radice profonda nella ricchissima e complessa vita interiore del poeta».4 Con una sconfinata ammirazione, ma senza i pregiudizi che avevano animato i biografi contemporanei, a partire da Boccaccio, colpevole di diplomazia, di eccessiva prudenza e di cieca riverenza verso Petrarca, che trent’anni dopo la morte di Dante il mondo dei letterati onorava e incoronava in Campidoglio.
Tobino affronta l’impresa con entusiasmo e timore, con la stessa passionale tensione che aveva animato Il clandestino; con il consueto furore e, in più, con una volontà di rivalsa nei confronti di quel mondo culturale che aveva accolto con freddezza, quando non con perplessità, la sua più impegnativa prova romanzesca.5
Non è uno studioso, non frequenta le biblioteche. La sua casa è il manicomio, i suoi pazienti gli ascoltatori delle sue letture, Paola Olivetti la compagna di quest’avventura (i manoscritti recano traccia delle sue letture attente e appassionate).
Ed è proprio a Paola – come ricorderà lo scrittore – che si deve la nutrita sezione dantesca della sua Biblioteca:6
Non sono buono ad andare nelle biblioteche, non sono uno studioso, un professore, debbo leggere quando il cuore me lo detta, gli orari burocratici mi sono ignoti. Debbo avere i libri a disposizione, che siano assolutamente miei. Una mia gentilissima e pietosa amica mi protesse, me li ordinò, provvide – Ne è arrivato un altro! – 7
Sezione che spazia dai titoli più canonici, come l’Edizione Nazionale delle Opere (i volumi della Commedia «secondo l’antica vulgata» curati da Giorgio Petrocchi, Milano 1965) o l’Enciclopedia Dantesca, a testi più specialistici, come le concordanze realizzate nel 1965 da IBM sotto la supervisione di Carlo Tagliavini (ma giunte come dono nella Biblioteca dello scrittore solo nel 1974); testi strumentali, come il Dizionario della Divina Commedia Siebzehner-Vivanti (Feltrinelli, Milano 1965), e scolastici, come l’Introduzione allo Studio di Dante di Francesco Maggini (nelle due edizioni Laterza, Bari 1936, e Nistri Lischi, Pisa 1965), o squisitamente di parte come Le vite di Dante di Boccaccio e Leonardo Bruni (in un’edizioncina pubblicata a Pescara nel 1909), «primo motore» di tutta l’opera:
Me lo aveva già detto tutto mio padre, lo sapevo a memoria, ritrovai quasi il suono delle sue parole; scarsi sono i dantisti, ma vie lente e misteriose hanno portato Dante tra la gente come uno qualsiasi, uno vivente, come loro. E nello stesso tempo anche mi arrabbiai perché in quel trattatello c’era la debolezza del Boccaccio, lui bravo ma non eroe, un diplomatico, uno che nel rogo mai più desidera andarci. Nel suo cuore Dante aveva accesa una face, ma appena usciva di casa era il Petrarca che aveva fama, incenso, prostituzione, denari, Campidoglio. Dante non sarà mai di moda altro che in tempi eroici, e allora in questi non moda ma fratello.8
Prima di accingersi all’impresa Tobino avvicina anche alcuni testi canonici della critica dantesca: a partire dalla vita dello Scartazzini (XLII e XLIII volume dei Manuali Hoepli, Milano 1883) e dello Scherillo (Alcuni capitoli della Biografia di Dante, Loescher, Torino 1896).
E ancora: gli studi biografici di Umberto Cosmo,9 la filologia di Gianfranco Contini,10 i canonici commenti di Natalino Sapegno e Arnaldo Momigliano.11 E poi Barbi, dalle due serie dei Problemi di critica dantesca12 alla biografia di Dante,13 ma anche a testi più eruditi come il saggio Per un nuovo commento della “Divina Commedia” pubblicato da Sansoni nel 1956; l’erudizione di Parodi14 e soprattutto la sapienza di Isidoro Del Lungo e il suo commento alla Cronica di Dino Compagni, più volte ricordato da Tobino come una fonte inesauribile di notizie e informazioni («Quanto consultata! In ogni frangente a lei sono ricorso, nutrimento, spiegazioni che placavano la sete»):15 un volumetto in ottavo acquistato a Viareggio nell’inverno del 1943.16
Non mancano naturalmente Auerbach17 e Croce,18 alla cui Poesia di Dante, acquistata nel 1968, Tobino non risparmia – da par suo – un acre commento in frontespizio: «Croce: un po’ meschino»; ma sono presenti anche studi più specialistici, come la monografia di Salvatore Santangelo su Dante e i trovatori provenzali (pubblicata presso l’Università di Catania nel 1959) o la ricerca di Pietro Chiocchioni sull’Agostinismo nella “Divina Commedia” (Olschki, Firenze 1952), entrambe sottolineate e postillate; così come sono annotati anche alcuni testi utilizzati per documentare momenti particolari della vita del poeta, come il catalogo della mostra Dante e Verona (Verona 1965) o l’erudito studio di Corrado Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, presente in Biblioteca nella riedizione del 1965 curata dal Chiarini per le Edizioni «Dante» di Ravenna.
Se le Biblioteche parlano dei loro proprietari, quella di Tobino ci racconta una passione tenace, forse più condivisa di quanto l’autore abbia voluto ricordare (come testimonia il volume dantesco del «Parnaso Italiano», curato nel 1954 nei «Millenni» da Cesare Garboli, amico di Tobino di lungo corso), e duratura, se uno degli ultimi commenti alla Commedia, quello celebre di Natalino Sapegno realizzato per le scuole e pubblicato dalla Nuova Italia, viene regalato da Antonia Petroni Guarnieri allo scrittore appena un anno prima della sua scomparsa.
Dalla metà del 1963 Tobino si dedica con assiduità allo studio e alla scrittura della “sua” Vita di Dante, tanto da poter dichiarare nel consueto bilancio di fine anno un primo traguardo: «Nel 63 ho scritto la vita di Dante fino alla “compagnia malvagia e scempia”». Il riferimento, naturalmente, è alla profezia di Cacciaguida nel XVII canto del Paradiso, con cui Dante è consacrato esule e dichiara la propria irriducibilità a qualsiasi fazione politica, preferendo fare «parte per se stesso» («E quel che più ti graverà le spalle / sarà la compagnia malvagia e scempia / con la qual tu cadrai in questa valle», Par., vv. 61-63). Ma cosa aveva realmente scritto in questa febbrile seconda metà del 1963?
I materiali custoditi nel Fondo Tobino dell’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto G.P. Vieusseux di...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Prefazione. di Marco Balzano
- BIONDO ERA E BELLO
- Capitolo I
- Capitolo II
- Capitolo III
- Capitolo IV
- Capitolo V
- Capitolo VI
- Capitolo VII
- Capitolo VIII
- Capitolo IX
- Capitolo X
- Capitolo XI
- Capitolo XII
- Capitolo XIII
- Capitolo XIV
- Capitolo XV
- Capitolo XVI
- Capitolo XVII
- Capitolo XVIII
- Capitolo XIX
- Capitolo XX
- Capitolo XXI
- Capitolo XXII
- Capitolo XXIII
- Capitolo XXIV
- Capitolo XXV
- Capitolo XXVI
- APPENDICE
- APPARATI. a cura di Paola Italia
- Postfazione. di Giacomo Magrini
- Copyright