Giovedì 29 novembre 1934, una notte molto buia
In una Armstrong Siddeley con l’onorevole Darcy O’Mara,
diretti non so dove. Ma Darcy è con me, e va tutto bene
Ero in macchina, seduta accanto a Darcy, e ci stavamo allontanando da Londra, verso nord. Quel giorno, lui mi aveva trascinato via dalle nozze della principessa Marina con il duca di Kent, nozze alle quali avevamo partecipato entrambi. Sulle prime avevo pensato che mi avrebbe portato a fare una cenetta romantica, ma poi, mentre ci lasciavamo alle spalle le strade londinesi, cominciai a sospettare che non stessimo andando a cena, ma che stessimo facendo rotta verso un albergo di qualche posto poco raccomandabile come Brighton. Però puntavamo in direzione nord, non a sud, e non mi veniva in mente nessun posto poco raccomandabile a nord di Londra. Nessuno si dirige verso il sudiciume industriale delle Midlands per fare lo sporcaccione con le ragazze, no? E forse, in un certo senso, mi sentii sollevata. Perché, per quanto desiderassi con tutte le mie forze passare una notte insieme a Darcy, e Dio solo sa se non avessi atteso più che abbastanza, nutrivo anche una certa preoccupazione per le conseguenze.
Darcy era enigmatico. Guidava con un sorrisino compiaciuto sul volto e continuava a non rispondere alle mie domande. Alla fine, mi dissi che con tutta probabilità ci stavamo recando a una festa data da uno dei suoi numerosi amici in una casa di campagna; cosa che sarebbe stata soddisfacente, anche se non eccitante quanto una notte in un hotel di Brighton, dove magari ci saremmo potuti registrare come il signore e la signora Smith. Ma mentre le luci di Londra si allontanavano e la macchina avanzava nel buio più completo, non ce la feci più a resistere.
— Darcy, dove diavolo stiamo andando? — gli chiesi.
Lui stava ancora fissando dritto davanti a sé, nel buio della notte. — A Gretna Green — mi rispose.
— A Gretna Green? Stai scherzando? — Le parole mi uscirono quasi come uno squittio. — È in Scozia. Ed è il posto dove va la gente quando...
— Quando fugge per sposarsi di nascosto. Proprio così.
Guardai il suo profilo. Aveva ancora quel sorrisino soddisfatto sul volto. — Ti conosco troppo bene, Georgie — replicò lui. — Sei troppo rispettabile. Hai ereditato molti tratti della tua bisnonna. — (Che, nel caso voi non lo sappiate, era la regina Vittoria.) — Non intendi fare il prossimo passo fino a quando non avrai l’anello al dito, e lo capisco. È per questo che sto tentando di rimediare alla situazione. Se viaggiamo per tutta la notte, entro domani sarai la signora Darcy O’Mara e io potrò portarti a letto senza sentirmi in colpa.
— Accidenti — replicai. Non certo una delle risposte più sofisticate, lo so, ma ero stata colta di sorpresa. Mi ritrovai anch’io a sorridere. La signora Darcy O’Mara. Non un titolo altrettanto nobile quanto lady Georgiana Rannoch, ma infinitamente più appagante. Morivo dalla voglia di vedere la faccia di Fig, mia cognata, quando sarei tornata a Londra agitandole davanti al viso il dito con l’anello. Il pensiero di Fig mi portò a una considerazione più pratica. Si sarebbe potuto dire che Darcy fosse un giovane senza fissa dimora, anche se era dotato di un impeccabile pedigree. Proprio come me, anche lui era cresciuto in un castello, e un giorno avrebbe ereditato il titolo. Ma pure lui, sempre come me, era senza un soldo. Sopravviveva grazie al suo ingegno e accettava missioni clandestine di cui non voleva parlare. Dormiva sui divani degli amici o badava alle loro case a Londra quando questi erano via a bordo dei loro yacht o in riviera. Quel genere di vita andava più che bene per un giovane scapolo, ma io non potevo mica dividere con lui il divano prestatogli da un amico, giusto?
Cercai di affrontare l’argomento con cautela. — Allora, Darcy, se non sono troppo curiosa, dove avresti pianificato di vivere insieme a me?
— Non l’ho ancora deciso — rispose lui. — Tu tornerai da tuo fratello e io partirò per la prima missione che mi viene offerta. Sto risparmiando il più possibile, e quando avrò messo via abbastanza denaro da poterci sistemare in una residenza adatta a noi, renderemo pubblico il nostro matrimonio. La scelta di Gretna Green è giusto per essere sicuri che se dovesse succedere qualcosa da questo momento in avanti e tu ti ritrovassi... — Fece una pausa e diede un colpetto di tosse. — Be’, ecco, se tu ti ritrovassi ad aspettare un bambino, potremmo sempre sbandierare il nostro certificato di matrimonio e tutto andrebbe a posto, perché il tuo onore sarebbe salvo.
A quel punto, non potei non scoppiare a ridere. Credo di aver fatto una risatina nervosa, a essere sinceri, anche perché si trattava di argomenti decisamente imbarazzanti da discutere con un uomo.
— Ma quanto pensi ci vorrà prima di poterci permettere una casa tutta nostra? — domandai.
— Non molto, spero. — Lui sospirò. — Se mio padre non avesse perso tutti i soldi e non fosse stato costretto a vendere il castello e le scuderie, avremmo potuto trasferirci nella mia casa paterna. Kilhenny Castle ti sarebbe piaciuto. È una residenza po’ meno remota e selvaggia di Castle Rannoch. Anzi, direi che è decisamente civilizzata.
— Tuo padre vive ancora nello chalet del custode, vero?
— Sì, e viene pagato per gestire le scuderie dall’americano che ha comprato l’intera baracca. Fa l’aiutante in una proprietà che la nostra famiglia ha posseduto per secoli. Io non me la sento neppure di avvicinarmi a quel posto. Mi fa troppo male. — Fece un’altra pausa. — Non che mio padre vorrebbe vedermi, comunque. Non gli vado molto a genio.
— Non approva il genere di vita che fai?
Darcy sbuffò. — Non credo che possa permettersi di non approvare, giusto? Non sono io quello che ha dilapidato l’eredità di famiglia. No, la questione è più semplice. Non mi ha mai perdonato di essere rimasto in vita.
— Cosa? — Lo guardai stupita. Aveva la mascella contratta.
— Nel 1920, quando arrivò la spagnola, io ero lontano, in una scuola privata inglese. Mia madre e i miei due fratelli più piccoli si ammalarono e morirono. La mia scuola, invece, era così ghiacciata e deprimente che nemmeno la febbre riusciva a resistere. Così l’ho scampata. Una volta che era ubriaco, mio padre mi disse che, quando mi guardava, gli tornava in mente che mia madre era morta mentre io ero sopravvissuto.
— Non certo per colpa tua — dissi con rabbia.
— Mio padre non è il più razionale degli uomini. Ha sempre avuto un caratteraccio e non ha mai smesso di covare rancori. Ma non parliamo di lui. Stiamo per imbarcarci in una bella avventura, no? Perciò al diavolo le nostre famiglie.
— Giusto — dissi, coprendogli la mano sul volante con la mia. — Dato che non ci mantengono, non sono affari loro se ci sposiamo o meno.
Mi immaginai mentre spiegavo alla mia famiglia che io e Darcy ci eravamo uniti in matrimonio. Binky, mio fratello, ne sarebbe stato felice, ma Fig non avrebbe certo approvato, perché Darcy era senza un soldo ed era anche di fede cattolica. E poi...
— Dannazione! — esclamai, raddrizzandomi sul mio sedile. Darcy si voltò a guardarmi. — Non posso sposarti, Darcy — dissi. — Mi sono completamente dimenticata che non è possibile. Sono ancora nella linea di successione per il trono, e a noi non è permesso di sposare un cattolico.
— Credevo fossimo d’accordo che avresti rinunciato alla tua pretesa al trono, no? Così tutto si sarebbe sistemato — disse lui. Poi mi guardò con un mezzo sorrisino sul volto. — A meno che tu non preferisca rinunciare alla possibilità di sposarmi, casomai un giorno diventassi regina.
Ridacchiai. — Dato che attualmente sono la trentacinquesima in linea di successione, dovrebbe scoppiare di nuovo la peste nera per togliere di mezzo tutti quelli che si trovano tra me e il trono — dissi. — E poi, chi mai vorrebbe diventare regina? Certo che ti voglio sposare, però bisogna procedere con una cerimonia ufficiale. Io sono tenuta a fare una richiesta al re e credo che questa richiesta debba essere approvata dal parlamento. Perciò forse è meglio tornare indietro prima che ci allontaniamo troppo.
Darcy scosse il capo. — Non ci penso nemmeno. Arriviamo in Scozia e ci sposiamo. Non lo diremo a nessuno e, a tempo debito, tu potrai parlare con i tuoi parenti reali e chiedere il permesso di sposarmi. Così potremo fare un matrimonio come si deve in una chiesa, con il velo e le damigelle d’onore; e nessuno al di fuori di noi saprà mai che eravamo già sposati.
— Ma credi che sia possibile? — chiesi.
— Tanto non lo saprebbe nessuno.
— E se il re e la regina rifiutassero la mia richiesta?
— Perché dovrebbero? E comunque, anche se la rifiutassero, a quel punto rinuncerei alla mia religione, se fosse l’unico modo per sposarti.
Mi venne un nodo alla gola. — Darcy, io non ti ho mai chiesto una cosa del genere. So che la tua religione significa molto per te.
— Ammetto che la mia famiglia ha lottato in difesa di questa fede per diverse centinaia di anni, ma come dico, se è l’unico modo per sposarti, allora lo farò. Diventare anglicano non sarebbe poi così male; tutto sommato, è solo una forma un po’ annacquata di cattolicesimo.
Scoppiai a ridere, sollevata. Darcy mi amava così tanto da essere pronto a fare qualunque cosa per me. Non so dirvi quanto fossi felice.
Proseguimmo il viaggio. Si stava facendo sempre più freddo. Trovai una coperta sul sedile posteriore e me la avvolsi intorno alle gambe. Poi iniziò a piovere, una pioggia insistente che metteva a dura prova anche il parabrezza. Darcy cominciò a imprecare sottovoce mentre cercava di capire dove stavamo andando sotto quel diluvio.
— Se continua così, dovremo trovare un posto dove fermarci per la notte — dissi. — Non è piacevole guidare con questo tempo.
— No, andiamo avanti — disse lui. — Smetterà .
Ma non fu così. Superammo uno dopo l’altro i cartelli delle città delle Midlands, poi facemmo una sosta per mangiare un pasticcio di carne e bere una birra in un pub isolato. Nel camino ardeva un bel fuoco, e io lanciai un’occhiata nostalgica nella sua direzione prima di rimontare in fretta sulla nostra auto.
Quando arrivammo nello Yorkshire, la pioggia si era trasformata in neve. Per strada non c’era nessun pazzo che si azzardasse a viaggiare con un tempo del genere.
— Dobbiamo fermarci — dissi. — Potrebbe diventare pericoloso proseguire.
— Ma questa è una macchina molto solida — replicò Darcy. — Non dovrebbe avere problemi nemmeno in queste condizioni atmosferiche.
— Sì, ma non voglio finire fuori strada e ritrovarmi a testa in giù in un fosso — ribattei.
Superammo alcune strade secondarie che portavano alle città di Leeds e York, sebbene di queste non ci fosse alcuna traccia. Sembrava di essere in mezzo al nulla. All’improvviso, Darcy frenò e io sentii la parte posteriore dell’auto slittare. Credo di aver emesso un grido. Darcy ce la mise tutta nel tentativo di raddrizzare l’auto. Girammo su noi stessi mentre i fari illuminavano come impazziti gli alberi e la neve. Poi, come per miracolo, smettemmo di scivolare. Aprii gli occhi e mi accorsi che eravamo nella corsia sbagliata.
29 novembre, notte fonda da qualche parte nello Yorkshire
— Cos’è successo? — domandai con voce scossa.
— La macchina ha slittato. — Darcy sembrava quasi divertito.
Io lo fissai mentre la mia paura si trasformava in rabbia. — Non l’hai mica fatto apposta, vero?
— Certo che no. Mi prendi per un idiota?
— Allora perché hai frenato all’improvviso?
— Perché davanti a noi c’è un dannato camion che blocca la strada. — Anche lui adesso sembrava teso. Aprì la portiera, facendo entrare una folata di aria gelida e un vortice di neve, poi uscì nella bufera. Io cercai di sbirciare all’esterno per capire cosa stava succedendo. Darcy era sparito in mezzo a quei mulinelli candidi. Trattenni il respiro fino a quando non tornò, ma notai che aveva un’espressione cupa.
— Be’, per stanotte non c’è modo di proseguire — disse. — La carreggiata è interrotta a causa della neve. Ho chiesto se c’era un’altra strada che si potesse prendere, ma quel tipo mi ha detto che, se era bloccata la Great North Road, le strade secondarie lo sarebbero state ancora di più. — Sospirò spazie...