Donnie Brasco
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Donnie Brasco

La mia battaglia contro la mafia americana

  1. 360 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Donnie Brasco

La mia battaglia contro la mafia americana

Informazioni su questo libro

Quando nel 1976 l'agente speciale dell'FBI Joseph Pistone cominciò una missione di sei mesi da infiltrato nella famiglia criminale newyorkese dei Bonanno, non aveva la minima idea di quello che ne sarebbe seguito. Fingendosi un ladro di gioielli di nome Donnie Brasco, Pistone finì per trascorrere i sei anni seguenti sotto falso nome da fidato membro della mafia, assistendo - e a volte prendendo parte in prima persona - a molte delle più feroci attività mafiose.

Pistone raccontò la sua storia nel bestseller Donnie Brasco: My Undercover Life in the Mafia. Ma, a causa di una serie di processi ancora in corso al momento della pubblicazione, molti dettagli e parecchi elementi non poterono essere inseriti in quelle pagine.

In questo secondo libro, invece, può ricostruire con grande dovizia di particolari e senza alcuna omissione l'intera operazione, offrendoci per la prima volta un affresco agghiacciante delle violenze perpetrate dagli affiliati. Pistone inserisce quella missione nel quadro storico della lotta a Cosa Nostra negli USA e narra anche la propria vita dopo quell'impresa, i giorni sul set con Johnny Depp e Al Pacino e la continuazione del suo lavoro di agente, in un resoconto teso, brutale e mozzafiato.

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Hollywood

Se mai vi capitasse di farvi impersonare sullo schermo da Johnny Depp, non buttate al vento l’occasione, soprattutto se avete delle figlie: impazziranno alla sola idea. E io di figlie ne ho tre, splendide, intelligenti e meravigliose, che ha cresciuto per lo più mia moglie, mentre io restavo sei anni sotto copertura e ne trascorrevo molti altri in giro per il Paese a testimoniare. Le mie figlie, che adoravano Johnny Depp, erano entusiaste all’idea che avesse lui il mio ruolo in Donnie Brasco. Ma, in fondo, chi non ama Johnny Depp? Johnny è una persona intelligente e molto educata. Vi racconterò in seguito di una cosa accaduta mentre stavamo girando una scena in un circolo, ma prima lasciate che vi spieghi due o tre cose su questi posti.
Per i mafiosi i circoli sono l’equivalente di un country club. È lì che passano il tempo. Ogni banda ha il suo punto di ritrovo. Per la maggior parte, sono di facciata. E ovviamente possono entrarci solo i mafiosi.
Era risaputo che John Gotti, il boss della famiglia Gambino, detto «Dapper Don» («Don elegantone»), pianificava gli omicidi e gli altri crimini assieme al suo vice, Salvatore «Sammy the Bull» Gravano, in due locali: il Ravenite Social Club a Little Italy e il Bergin Hunt and Fish Club nel Queens. I Gambino non erano patiti della pesca, ma ogni tanto gettavano nelle acque dell’East River un cadavere. I due amici erano cresciuti insieme in quei locali, e insieme caddero quando l’FBI nascose delle cimici nell’edificio e Sammy the Bull decise di collaborare, trascinando con sé l’amico Dapper Don.
Con il suo metro e settantasette per 135 chili, Joseph Big Joey Massino, un potente capo, e in seguito boss, della famiglia cui appartenevo, i Bonanno, ordinava gli omicidi, i furti di camion e le altre attività illecite dal J&S Cake Social Club nel Queens. La J stava per Joey e la S per Sal, il soldato dei Bonanno Salvatore «Good looking Sal» Vitale, amico d’infanzia di Joey, nonché suo cognato. I due soci del J&S erano destinati a far carriera insieme e a diventare due pezzi grossi della famiglia Bonanno.
Molti mafiosi finiscono la loro vita come ospiti del governo, ma di solito muovono i primi passi nella mafia in un piccolo locale. Uno degli scopi del film Donnie Brasco era mostrare al pubblico come si viveva e si trascorreva il tempo in uno dei più importanti tra questi luoghi, il Motion Lounge.
La banda della quale feci parte negli ultimi due anni che passai sotto copertura, dal 1979 al 1981, bazzicava il Motion Lounge a Greenpoint, Brooklyn. Il locale apparteneva al capo e reggente dei Bonanno, Sonny Black Napolitano. Il suo nome di battesimo era Dominick, come il mio secondo nome, ma tutti lo chiamavano Sonny Black perché si tingeva i capelli di un nero corvino. Non a caso, Sonny pareva uscito dalle mani del truccatore di una troupe cinematografica.
Ma tornando a Johnny, lo scenografo del film continuava a tempestarmi di domande perché voleva riprodurre alla perfezione l’interno del Motion Lounge. Be’, ci sono riusciti. Nel film c’è una scena che si svolge in quel locale (la girammo in un’armeria a Brooklyn), dove i membri della banda stanno lì a non fare nulla come al solito: giocano a carte, fumano, bevono, riferiscono a Sonny Black e chiacchierano del più e del meno. Uno degli attori doveva dire: «Io ho un camion pieno di lamette», ma continuava a incespicare. A un certo punto il regista perse la pazienza e iniziò a inveire contro di lui. All’improvviso Johnny Depp si alzò e disse: «Piantala di insultarlo. Se fossi io a sbagliare mi tratteresti così?». Tutti si diedero una calmata. E al ciak successivo, grazie al fatto che Johnny aveva preso le sue difese, l’attore riuscì a dire la sua battuta.
Molti degli amici con i quali sono cresciuto a Paterson, New Jersey, hanno recitato in Donnie Brasco come comparse. Un mio amico del liceo, George Angelica, ebbe la parte di Big Trin, uno dei tre potenti capi dei Bonanno uccisi il 5 maggio 1981 in un famoso ammazzamento di mafia. Si trattò di un omicidio multiplo che ricorda il famoso massacro di San Valentino di Al Capone a Chicago. Anche l’omicidio dei tre capi ebbe luogo in un giorno di festa, il Cinco de Mayo. E i pochi rimasti della famiglia Bonanno ricordano ancora con terrore quella carneficina e l’uccisione di Dominick «Big Trin» Trinchera, Alphonse «Sonny Red» Indelicato e Philip «Phil Lucky» Giaccone, tutti e tre alleati del tanto assetato di potere Carmine Galante.
Dopo il massacro il mio capo Sonny Black e il capo Big Joey Massino furono entrambi promossi. Il boss della famiglia Bonanno, Philip «Rusty» Rastelli, al tempo in galera, nominò Sonny Black reggente e affidò a Big Joey Massino l’affare più redditizio della famiglia: l’importazione di eroina dalla Sicilia. In teoria Sonny e Big Joey, in quanto entrambi capi, avevano gli stessi poteri, ma in realtà Sonny si comportava come se fosse lui il boss. Per esempio, con Rusty assente perché in galera, si era preso l’incarico di presenziare agli incontri con le atre famiglie.
In effetti, Sonny Black (assieme a Lefty Guns Ruggiero, la mia guida più importante nel mondo della mafia) mi spiegò che prima dell’ammazzamento dei tre capi, fu lui, su incarico di Rusty, a incontrarsi con Costantino «Big Paul» Castellano nella sfarzosa abitazione di quest’ultimo, nota come «Casa Bianca», a Staten Island. Big Paul era il boss della famiglia Gambino, nonché boss dei boss delle cinque famiglie mafiose di New York: Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese. Sonny mi fece capire che Big Paul aveva dato il suo benestare all’assassinio dei tre capi in cambio di una partecipazione ai profitti derivanti dal traffico di eroina dei Bonanno.
Il miglior modo per far carriera nella mafia è partecipare a un omicidio. Proprio come nelle grandi multinazionali, per arrivare in alto devi far fuori qualcuno. Quando nel 1979 Carmine Galante, autonominatosi boss dei Bonanno, fu ammazzato con il sigaro ancora in bocca tra i tavoli del giardinetto del Joe and Mary’s Restaurant di Ridgewood, a Brooklyn, sia Sonny Black sia Big Joey Massino furono immediatamente promossi da soldati a capo, e Rusty Rastelli, malgrado fosse ancora in galera, ritornò a essere il boss.
Il 5 maggio furono uccisi i tre capi superstiti della fazione di Carmine Galante che si sospettava stessero preparando un golpe per detronizzare Rusty Rastelli, il boss incarcerato. Da lì in poi, all’improvviso, in qualità di nuovo reggente, Sonny Black si ritrovò a comandare i centodue «affiliati» della famiglia Bonanno. Vale a dire, centodue uomini accolti formalmente nella famiglia tramite una cerimonia segreta dal sapore religioso. Si trattava di uomini d’onore, che potevano fregiarsi di un tale titolo o di quello di «goodfellas». Uomini che avevano ricevuto i gradi, un incarico, che si erano fatti una posizione. Che dal momento in cui erano stati reclutati potevano godere di una sorta di immunità diplomatica, del potere di controllare quanto accadeva. Centodue uomini della famiglia Bonanno, cui vanno aggiunti tutti gli affiliati delle altre quattro famiglie di New York: una forza del male che aveva come unico scopo rubare, trafficare, uccidere.
Nel dicembre del 1981 avrebbero affiliato anche me: dovevo solo aspettare che il boss supremo della famiglia, Rusty Rastelli, uscisse di prigione. Ma pochi mesi prima che ciò avvenisse, quando erano ormai sei anni che lavoravo sotto copertura, il Bureau decise di tirarmi fuori dall’operazione per salvaguardare la mia incolumità. Ritenevano che il massacro dei tre capi avrebbe condotto a una guerra di mafia interna alla famiglia Bonanno: rischiavo di ritrovarmici in mezzo e di venire ammazzato. Ebbi la sensazione che mi stessero tirando fuori dal campo proprio all’inizio del nono inning, quando avevo ancora molto da dare. L’ordine di chiudere l’operazione, tuttavia, giungeva dall’alto. Così, invece di farmi affiliare, iniziai a fare film.
Una delle mie figlie, che di mestiere fa l’attrice, aveva il ruolo della donna di Bruno Kirby, che nel film è uno dei gangster. Una delle mie nipotine recitò nel film la parte di sua madre da bambina. Per ragioni di sicurezza non mi piace usare i nomi di famiglia. Anne Heche, una persona splendida che è stata estremamente gentile con la mia nipotina, ha impersonato mia moglie, e il ruolo di un’altra delle mie tre figlie è andato a quella che nella vita reale è sua figlia.
Forse potrà apparirvi strano e incomprensibile, ma nulla sul set mi ha divertito più del cuscino per le scoregge di Johnny Depp, una cosa di sicuro molto poco intellettuale. Johnny lo usava per fare scherzi agli attori o ai membri della troupe, e non vi dico le risate. Quando mi domandano se Johnny è italiano, ripeto quello che mi ha detto quando glielo chiesi: «Sono un po’ Cherokee e per il resto è un bel mischione». Nella sua roulotte Johnny aveva una cucina e io ne approfittai per dare prova delle mie capacità ai fornelli. Cos’altro potevo cucinare sul set di un film sulla mafia, se non salsicce, peperoni, bistecche, polpette, pasta e mille condimenti diversi?
Al Pacino aveva un assistente personale e anche lui cucinava: tra noi due scattò una competizione amichevole. Sul set Al se ne stava defilato: il cuscino per le scoregge non faceva sicuramente parte del suo repertorio. Ma a cena, quando si sentiva a proprio agio e aveva iniziato a conoscerti, sapeva essere un’ottima compagnia. Sin dall’inizio, era tutto compreso nel suo ruolo. Ecco, visto? Ho usato l’aggettivo «compreso». Ne erano passati di anni da quando bazzicavo al Motion Lounge. E ora mi ritrovavo a discutere di persone sotto l’occhio della macchina da presa, non sotto il tiro di una pistola.
Comunque all’inizio Al avrebbe dovuto impersonare il sottoscritto. Ma Barry Levinson, il produttore esecutivo, gli fece cambiare idea, spiegandogli giustamente che sarebbe stato perfetto nella parte di Lefty Guns Ruggiero, il primo mafioso affiliato alla famiglia Bonanno, colui che mi reclamò come membro della sua banda. Quando nel 1979, dopo la morte di Galante, Sonny Black divenne un capo, Lefty e io entrammo nella banda di Sonny, Lefty come affiliato e io come un amico promettente, un associato, non ancora affiliato. Dopo aver deciso per il ruolo di Lefty, Al Pacino propose Johnny Depp per la mia parte.
Si dimostrarono interessati al ruolo di Donnie un bel po’ di star, tra cui Tom Cruise, Alec Baldwin, John Cusack e Nicolas Cage. Ci pensate? Be’, a me andavano tutti benissimo. Ognuno di loro avrebbe dato un tocco particolare al personaggio, dimostrando il proprio talento. Ma l’idea di Johnny è tutto merito dell’intuito di Al Pacino.
Gli attori erano attentissimi nel cercare di capire il carattere del personaggio che dovevano recitare. Praticamente tutti i ruoli si basavano su una figura realmente esistita, viva o morta che fosse. Per più di un mese, prima che iniziassero le riprese, Johnny Depp trascorse intere giornate con me così da poter riprodurre la mia cadenza e il mio modo di parlare. Una volta cominciate le riprese, continuò a consultarmi prima dei ciak, il che vuol dire che poteva chiamare a qualsiasi ora. Iniziavano a girare alle sette del mattino e potevano andare avanti anche fino alle tre del mattino successivo. Quando Johnny non era direttamente impegnato in una scena, io e lui facevamo un po’ di sollevamento pesi o stavamo semplicemente insieme. Per tutto il tempo continuò a studiarmi e a farmi domande.
Un altro aneddoto avvenuto durante le riprese in Florida spiega cosa rappresentasse Johnny per l’intera troupe. Stavamo girando da quelle parti perché lì avevo portato a termine come Donnie Brasco un affare per conto della mafia, allo scopo di documentare i rapporti criminali tra la famiglia Bonanno e un’altra famiglia della Florida.
Dovete sapere che nel 1970 il Congresso aveva approvato una parte della legislazione contro il crimine organizzato nota come RICO, acronimo per «Racketeer Influenced and Corrupt Organizations».a La RICO, una norma cardine per la lotta al crimine organizzato, era stata scritta da Robert G. Blakey, professore alla Notre Dame Law School, tra i principali consulenti del governo federale a partire dagli anni Sessanta ed esperto di questioni giuridiche legate all’uso delle intercettazioni. La RICO fu approvata proprio pensando ai boss della mafia. In passato il governo poteva al massimo sperare di far condannare un singolo criminale sorpreso in flagranza di reato, ma non aveva nessuna possibilità di risalire la catena di comando e far ottenere una condanna ai boss che tiravano le fila, né tanto meno di processare per la stessa accusa gli affiliati e i boss. Infatti, all’inizio degli anni Sessanta il ministro della Giustizia Bobby Kennedy era stato costretto a convocare il gran giurì per ognuna delle cinque grandi famiglie mafiose di New York. Ma il codice mafioso dell’omertàb aveva impedito di raccogliere le prove necessarie per definire la struttura della mafia e il ruolo dei boss, e dimostrare l’accusa di associazione a delinquere. Il colpo di genio della RICO era trasformare in un reato grave l’appartenenza a «un’organizzazione criminale», un’associazione a delinquere «continuativa e finalizzata ad attività illegali». Se il governo riusciva a dimostrare che una persona era colpevole di associazione a delinquere e gli attribuiva almeno due crimini tra quelli considerati di matrice mafiosa, come omicidio, traffico di droga, estorsione, gioco d’azzardo e usura, allora grazie alla RICO si poteva ottenere una condanna.
Dovevo raccogliere le prove necessarie per procedere, in base alla RICO, contro la famiglia Bonanno e, di conseguenza, contro le altre famiglie della mafia newyorkese. Dalla mia posizione relativamente bassa all’interno della mafia ebbi la fortuna di mediare un’alleanza tra i Bonanno e altre famiglie. Queste alleanze si sarebbero rivelate decisive per provare l’esistenza di un accordo «continuativo e finalizzato ad attività illegali» da parte dell’«impresa criminale» dei Bonanno e degli appartenenti alle altre famiglie facenti parte dell’organizzazione corrotta nota come mafia, altrimenti detta Cosa Nostra.c
Una delle famiglie con cui trattai un’alleanza per i Bonanno fu quella di Santo Trafficante, di Tampa, Florida. Tra gli altri crimini, le due famiglie vennero accusate di associazione a delinquere per spaccio di droga ed esercizio del gioco d’azzardo, attività che avrebbero svolto in un club privato, il King’s Court. Si trattava di un grande edificio ottagonale costruito su un terreno di due ettari vicino a Tampa ed equipaggiato di un casinò clandestino con tavoli da blackjack, roulette e dadi. Ciò che nessuna delle due famiglie però sapeva era che dietro il King’s Court si celava l’FBI.
Quando girammo gli interni del casinò King’s Court, in Florida faceva un caldo assurdo. Non potevamo usare l’aria condizionata perché i microfoni avrebbero registrato il ronzio dei condizionatori. Le scene prevedevano un sacco di comparse: bulli e pupe che giocavano d’azzardo. Ogni volta che il regista urlava «Taglia!» per fermare le riprese, obbligava le comparse a restare immobili nel punto in cui si trovavano per non avere poi il problema di farle tornare esattamente dov’erano prima. Così, però, nessuna di loro poteva approfittare della pausa per bere o mangiare. Johnny Depp se ne rese conto e agì di conseguenza: disse a un aiuto regista che o portavano una bottiglia d’acqua a ciascuna comparsa a ogni pausa o lui si sarebbe rifiutato di recitare.
Tutti gli attori avevano un ottimo rapporto con il personale della troupe e andavano molto d’accordo tra loro. È bello poter lavorare con persone come Michael Madsen, Anne Heche, James Russo e Bruno Kirby. Nessuno di loro era altezzoso. Sebbene prima dell’inizio delle riprese avessi parlato a lungo con tutti, venivano regolarmente a chiedermi conferma di quanto facevano: perché ogni mattina, non appena arrivavano sul set, dovevano modificare la loro natura e trasformarsi in un’altra persona. Be’, capivo benissimo quanto fosse complicato.
In particolare Al Pacino, a mano a mano che sviluppava il suo personaggio, veniva a chiedermi suggerimenti sulla cadenza e sul modo di parlare del vero Lefty Guns Ruggiero. La dedizione che mise nel creare il suo Lefty fu veramente incredibile. Ma da me venivano anche gli attori con ruoli secondari. Non che volessero realizzare una copia perfetta dei personaggi realmente esistiti: una parte della bravura di un attore sta nel mettere nel ruolo un po’ della propria personalità. Per esempio, Al diede il suo tocco a Lefty scegliendo per lui un abbigliamento meno elegante. Il vero Lefty, che conosceva bene le usanze e la storia della mafia, era proprio un damerino. D’inverno indossava un cappotto di cachemire. Ma per Al era possibile far vedere al pubblico un altro lato del suo carattere, un lato che rasentava il patetico, facendogli indossare un dozzinale giaccone a quadri con il colletto di pelo.
A proposito di giacconi, è il caso di ricordare l’ottimo lavoro dei costumisti. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Donnie Brasco
  4. Prefazione
  5. Introduzione. di Charles Brandt
  6. 1. Hollywood
  7. 2. Donnie, l’infiltrato
  8. 3. Nel profondo
  9. 4. «Sarai un uomo d’onore»
  10. 5. Primo sangue
  11. 6. Dietro la leggenda
  12. 7. Sotto giuramento
  13. 8. Sulla strada
  14. 9. Pizza Connection, parte 1
  15. 10. Pizza Connection, parte 2
  16. 11. Southern discomfort
  17. 12. Il processo Mafia Commission
  18. 13. L’anno tragico della mafia
  19. 14. Cosa successe a Philadelphia
  20. 15. Donnie Brasco gira il mondo
  21. 16. La famiglia Lucchese
  22. 17. La fine di Gaspipe
  23. 18. I poliziotti della mafia
  24. 19. La «posizione» dei Mafia Cops
  25. 20. I poliziotti della mafia in galera
  26. 21. La famiglia Colombo e il caso Protezione Scarpa
  27. 22. Evviva Hollywood!
  28. 23. L’ultimo padrino
  29. Epilogo. Riposino in pace
  30. Ringraziamenti
  31. Inserto fotografico
  32. Copyright