Bellair, alcuni mesi dopo
«No, Eccellenza. Non ditemi che domani non sarete dei nostri!» esclamò de Larnac, scuotendo la testa come in preda a un tic nervoso. Giorgio Caron lo guardò: l’attempato nobiluomo sembrava entrare in agitazione per ogni nonnulla.
«Caro conte, la vostra vita è un’eterna vacanza. Beato voi. Ma io ho dei doveri che mi impongono di tornare a Clerville» replicò il ministro Duncan, di qualche anno più giovane del conte, ma non meno presuntuoso.
La cittadina di Bellair era da sempre un punto di incontro per le persone più in vista della capitale. Chiunque fosse qualcuno a Clerville – nobili, politici, industriali – non poteva non avere una casa nella più nota località turistica sulla Grande Catena di Vernan. Anche chi non si era mai messo ai piedi un paio di sci in vita sua.
Quel pomeriggio era in corso un cocktail party nella baita del ministro della Giustizia, appuntamento irrinunciabile per la bella società in trasferta a Bellair. Il personale di servizio girava tra gli ospiti con vassoi carichi di bicchieri e tartine. Caron, il più giovane del gruppo che si era riunito sotto il lampadario di cristallo al centro del salone, si trovava intrappolato da diversi minuti in una conversazione inutile: il tema centrale era la battuta di caccia organizzata per l’indomani dal conte de Larnac. Con loro c’erano Sua Eccellenza Eriberto Duncan e un industriale di nome Ermanno Packard.
Il nobiluomo appoggiò una mano sulla spalla di Caron, che ne fu infastidito, ma non aprì bocca.
«Perché non ci mandate Giorgio a Clerville?» propose il conte. «È il vostro vice. Serve anche a questo, no?»
«A una riunione con il Primo Ministro?» ribatté Duncan. «Non è proprio il caso!»
«Peccato.» Il conte de Larnac scosse di nuovo la testa. «Volevo farvi provare il mio nuovo Remington. Ci ho fatto installare un mirino portentoso…»
Si sentì suonare il campanello. Un cameriere si affrettò ad aprire. Caron si accorse di trattenere il respiro.
“Sarà lei?”
Sulla soglia apparve una donna dai capelli biondissimi raccolti in uno chignon, che attirò immediatamente su di sé gli sguardi di tutti i presenti.
«Scusate.» Il viceministro si staccò dal gruppo e si diresse verso la nuova arrivata. «Eva, finalmente» disse, quando la raggiunse. Le sfiorò un braccio. «Vieni. Ti presento.»
Le regole della buona società prevedevano che l’ospite fosse condotta innanzitutto dalla padrona di casa. Caron guidò Eva verso una donna che cercava di sembrare molto più giovane della sua età. «Signora Duncan…»
L’interpellata si voltò e squadrò Eva. Sembrò darle la propria approvazione. «Lady Kant, immagino.»
«Buonasera. Grazie per l’invito» disse la nuova arrivata.
«Giorgio, se laggiù le donne sono tutte belle come lei, capisco perché tu vada così spesso in Sudafrica» osservò Emma Duncan.
Lady Kant sorrise. «In realtà io sono di Clerville, signora.»
«Sì» intervenne Caron. «Eva ha vissuto a lungo in Sudafrica, ma ora ha deciso di tornare a casa…»
Una voce tonante alle sue spalle lo interruppe. «Giorgio…»
Il ministro lo aveva raggiunto, insieme a de Larnac, Packard e altri due uomini che Caron non conosceva. Sembravano tutti ansiosi di conoscere Eva.
«… non mi presenti?» chiese Duncan, con un lieve tono di rimprovero.
Caron fece un cenno verso l’ospite. «Lady Kant, Eccellenza.»
Il ministro fece un inchino e accennò un baciamano. «Incantato» dichiarò.
Il conte alzò un dito, pensieroso. «Parecchi anni fa ho conosciuto un Lord Kant, durante una battuta di caccia in Sudafrica. Anthony, mi pare. Un parente? Vostro padre, forse?»
«Era mio marito» rispose Eva, a mezza voce.
«Era?» chiese Duncan.
«Purtroppo è morto. Ormai è quasi un anno» confermò lei.
«Peccato» commentò de Larnac. «Me lo ricordo come un cacciatore formidabile. Posso chiedervi come se n’è andato?»
«Un incidente.» La giovane donna sospirò. «Durante una battuta di caccia grossa.»
«Meno male che voi sparate solo ai caprioli» si inserì la signora Duncan, cercando di alleggerire la conversazione.
Si fece avanti un’altra donna, che Caron supponeva essere la signora Packard, accorsa a sorvegliare la condotta del marito. «Io non sarei così tranquilla, cara Emma. Tuo marito dà la caccia a belve ben più pericolose.» Si rivolse poi al ministro. «Eccellenza, riuscirete a catturare Diabolik?»
Caron notò che Duncan assumeva la posa delle dichiarazioni ufficiali, anche se non c’erano fotografi intorno: mento sollevato, sguardo all’orizzonte. Probabilmente ormai era un riflesso condizionato, per lui.
«Sì, come ministro della Giustizia, la mia priorità è la sicurezza dei cittadini.»
«Quel criminale ha passato ogni limite, seminando il terrore in tutto lo Stato di Clerville» si fece sentire Caron. Se il gioco era darsi importanza, non voleva sembrare da meno degli altri, soprattutto di fronte a Eva. «Ma noi siamo determinati a fermarlo. E ci riusciremo, statene certi.»
Un’altra signora, a lui sconosciuta, si unì alla conversazione con una flûte di champagne in mano. «Altro che criminale. Quello è un demonio!»
«Io direi più un fantasma» volle precisare Packard. «Appare all’improvviso e, dopo ogni colpo, scompare nel nulla.»
«Scusate» li interruppe Eva, confusa. «Ma parlate di qualcuno che esiste realmente?»
«Pregate di non trovarvi mai faccia a faccia con lui, cara Lady Kant» disse il conte. Poi assunse un tono lugubre. «Perché chi incontra Diabolik, incontra la morte.»
La padrona di casa fece un cenno con la mano, turbata. «Basta parlare di quel mostro, o stanotte avrò gli incubi.»
Il conte si fece galante. «Avete ragione, signora Duncan. Per farmi perdonare, prometto di portarle il capriolo più giovane che uccideremo domani.» Ammiccò. «Naturalmente già scuoiato e pronto per il forno.»
Duncan prese sottobraccio il suo vice. «Giorgio, vorrei scambiare due parole con te.»
Caron si allontanò da Eva malvolentieri: l’aveva attesa per tutto il pomeriggio. Ma non poteva sottrarsi al dovere, neppure a un cocktail party. Si lasciò guidare verso la finestra. Fuori la sagoma scura del Monte Nero si stagliava nella luce rosata del tramonto.
«Altro che caccia ai caprioli» iniziò Duncan. «La questione Diabolik sta diventando un problema serio sul piano politico.»
«Non è che un delinquente» obiettò Caron. «Abile, certo, ma solo un delinquente.»
«Eppure…» Il ministro allargò le braccia. «Sulle prime abbiamo cercato di minimizzare. Abbiamo chiesto alla polizia di tacere il fatto che quei casi fossero collegati. Ma i giornalisti sono venuti a saperlo lo stesso e hanno cominciato a ricamarci sopra. E a lanciare gli slogan che ora ripetono tutti, come: “Chi incontra Diabolik, incontra la morte”.» Indicò la moglie e il gruppo di persone intorno a lei. «Li hai sentiti. Sta diventando una psicosi!»
Caron assentì. Non poteva smentirlo.
«Ma la gente, Giorgio, la gente… ne è affascinata» continuò Duncan. «Persino quando ne ha paura. E se qualcuno prendesse Diabolik come modello? Diventerebbe un problema ancora più grave.»
Caron cercò di rassicurarlo. «Lo cattureremo. Dico sul serio. E tutta la fama oscura che Diabolik si è guadagnato grazie alla stampa giocherà a nostro favore, quando lo porteremo in tribunale e lo manderemo alla ghigliottina.» Indicò a sua volta gli ospiti. «Lasciate che tutti ne parlino. Lasciate che ne abbiano paura. Tornerà a nostro vantaggio, quando vi vedranno ristabilire la legge e l’ordine.»
Duncan respirò a fondo. «Grazie, Giorgio. Mi sei di grande sostegno.» Guardò Eva. «Ti lascio andare. Ho notato che hai un particolare interesse nei confronti di Lady Kant… e non ti posso biasimare.»
Caron annuì e sorrise. Eva era in cima ai suoi interessi, in quel momento, ma lui aveva appena segnato parecchi punti a proprio favore con il ministro della Giustizia. Il che era molto utile, per i suoi obiettivi.
Nell’aria fresca e limpida, le luci di Bellair brillavano sotto di loro: un panorama molto diverso da quello a cui lei si era abituata negli ultimi anni. Gli ospiti stavano lasciando alla spicciolata la baita del ministro e Lady Kant era uscita sottobraccio a Giorgio Caron.
«Eva, perdonami se insisto,» mormorò lui «ma perché non vieni a stare da me? Ho una casa enorme, sono solo…»
«Giorgio, non mi sembra il caso.» Lei gli sorrise. «Non vai un po’ troppo veloce?»
Lui la guardò con espressione delusa. «Lascia che ti accompagni, allora.» Indicò le auto parcheggiate lungo il ciglio della strada, quasi tutte nuove e costose.
Eva scosse il capo. «Ti ringrazio, ma l’albergo è qui vicino. Desidero fare due passi.»
Caron sospirò. «Ci vedremo al tuo arrivo a Clerville.»
Lei annuì. «Certo. Chiamami in albergo. Ci vedremo per cena.»
L’uomo la congedò con un casto bacio sulla guancia e si diresse verso una Giulietta Spider rossa con la capote nera. Dietro di lui, un trentenne biondo stava salendo su una 2600 Spider Touring nera; si fermò per un istante a guardarla. Eva voltò le spalle a entrambi gli uomini e si incamminò verso l’albergo, lieta di ritrovarsi sola.
Giorgio, pensò, era troppo insistente. Le dava la sensazione di volerla conquistare come un trofeo, quasi volesse imprigionarla nel ruolo prestabilito di brava mogliettina del politico di successo. Lei non era mai stata una brava mogliettina. Né era tagliata per un’esistenza convenzionale. Stava per cominciare una nuova vita, benché ancora non sapesse quale. Di sicuro, non avrebbe lasciato che fosse un uomo a decidere per lei.
La Giulietta la superò. Giorgio si voltò verso Eva, che gli fece un cenno di saluto con la mano, temendo per un attimo che lui intendesse fermarsi. L’auto invece proseguì, scendendo verso la cittadina. Poco dopo passò anche la 2600.
A piedi, Lady Kant impiegò una decina di minuti a raggiungere Bellair. Superò una piazza ben illuminata. Vide altre auto di lusso parcheggiate davanti a un bar frequentato da giovani. L’auto di Giorgio non c’era, ma lei notò una 2600 nera, forse quella che aveva visto poco prima fuori dalla baita.
Continuò lungo la via principale. Il vocio dal locale si spense nella distanza. Più lei si allontanava dalla piazza, più radi erano i lampioni. La luna proiettava strane ombre sulla strada. Mancavano ancora tre o quattro minuti per arrivare al Royal, in fondo alla via. Eva affrettò il passo.
Ripensava alle parole del conte de Larnac. “Chi incontra Diabolik, incontra la morte.” Sembrava la descrizione di uno di quei maniaci omicidi di cui ogni tanto si leggeva sui giornali, strangolatori che aggredivano e uccidevano donne inermi. Possibile che ci fosse qualcosa del genere anche in un Paese come Clerville?
In quel momento, la donna avvertì un lieve scalpiccio dietro di sé. Si disse che poteva essere solo una suggestione, ma aveva imparato a fidarsi dell’istinto. Mantenne la calma, ma tese le orecchie.
Passi, non molto lontani. Sì, ora ne aveva la certezza: qualcuno la stava seguendo. Poteva essere Giorgio Caron, che aveva deciso di seguirla in albergo e tornare alla carica? O, piuttosto, qualcuno con intenzioni peggiori?
Una mano le si posò sulla spalla.
E una voce dal tono cortese la chiamò: «Lady Kant?».
Lei si voltò, con espressione calma ma il corpo teso, pronto a reagire. «Sì?»
L’uomo le mostrava un tesserino. «Ispettore Ginko. Possiamo parlare un momento?»
Eva guardò il distintivo. «Polizia di Clerville…» lesse. Il documento le sembrava autentico e il volto nella fotografia era lo stesso che aveva davanti, quello di un bell’uomo dall’aria distinta, in abbigliamento formale. Eva si rilassò e sorrise. «Non ditemi che avete fatto tutta questa strada per me.»
Lui esitò un istante, quasi si fosse dimenticato ciò che doveva dire. Eva ne fu divertita: era un effetto che faceva spesso sugli uomini. Nondimeno il poliziotto assunse s...