Sulla spiaggia più settentrionale dell’intera Dara, alcuni bambini giocavano nella calura languida e stanca di un pomeriggio d’autunno. Raccoglievano graziose conchiglie e cercavano frammenti di relitti interessanti che di tanto in tanto le onde portavano a riva, senza dimenticarsi di prendere anche le eventuali vongole e ostriche che trovavano, perché nella testa dei figli dei poveri c’era sempre il pensiero del cibo.
«Pirati!» annunciò uno dei ragazzini.
I suoi compagni si fermarono a scrutare il mare. Una flottiglia di navi, tutte di dimensioni differenti, apparve all’orizzonte: snelle barche da pesca costruite nello stile della vecchia Xana; larghe imbarcazioni mercantili dal pescaggio ridotto sottratte ai commercianti di Zampa di Lupo; sinuose cavalcaonde rubate da Arulugi, persino qualche antica nave da guerra che i pirati avevano strappato ai re Tiro negli anni passati. Da tutti i ponti sporgevano i remi, e le vele rattoppate schioccavano al vento. Alzandosi e abbassandosi sopra le onde, quella flotta improvvisata assomigliava a una manciata di foglie sparse su un laghetto.
«Sono tantissimi» mormorò una ragazzina. «Non ne ho mai visti così tanti.»
«È un assalto!»
Alcuni degli adulti che lavoravano nei campi terrazzati sulle colline si fermarono, fissando pieni d’orrore la flottiglia in avvicinamento. Quante navi c’erano? Decine? No, centinaia. Era come se tutti i predoni delle isole settentrionali stessero puntando su Dara. Sarebbe stata la più grande incursione piratesca che chiunque potesse ricordare, più grande persino di quelle narrate dalle leggende.
Mentre si spargeva la notizia, tutti quanti si diressero alle colline. Le persone uscivano da capanne e case, abbandonavano gli strumenti agricoli e l’attrezzatura da pesca e correvano finché reggevano loro le gambe: vecchi, giovani, maschi, femmine, ricchi, poveri… nessuna distinzione aveva importanza, dal punto di vista dei pirati. Alcuni abitanti dei villaggi ebbero l’accortezza di correre dai comandanti della guarnigione per comunicare la notizia dell’attacco. C’era da sperare che la voce potesse giungere al Principe Timu in tempo per organizzare una qualche forma di soccorso, una volta che i pirati avessero saziato la loro brama di distruzione e lasciato Dasu.
Quando le navi toccarono terra, la spiaggia e i campi circostanti erano deserti. Dalle imbarcazioni i pirati si rovesciarono sulla sabbia e si diressero nell’entroterra come uno sciame di termiti che assale una casa nuova. Scavalcarono gli steccati degli orti e travolsero i campi di taro, gambe e braccia che mulinavano in preda a una sorta di frenesia; guai a chiunque si fosse messo sulla loro strada.
Forse il Principe Timu non era esperto di questioni militari, ma sapeva quando era il momento di delegare a persone più competenti di lui. Le guarnigioni Imperiali di Dasu erano ben addestrate e capaci di sfruttare la conformazione del territorio e le strettoie a proprio vantaggio.
Un distaccamento di soldati Imperiali si presentò in cima al promontorio. Disposti in formazione ordinata, gli arcieri puntarono le frecce contro la marea di pirati in avvicinamento. L’ufficiale al comando alzò il braccio, pronto a dare l’ordine di scoccare.
I pirati stavano gridando qualcosa.
«… pietà…»
«Correte, mettetevi in salvo!…»
«… i miei occhi… l’orrore…»
L’ufficiale esitò. C’era qualcosa di strano. Ma gli incursori non stavano affatto rallentando, nonostante le frecce puntate contro di loro.
«Fuoco a volontà!»
Le frecce volarono a raffiche, e decine di uomini caddero.
Di solito, i pirati all’assalto battevano in ritirata di fronte a una resistenza così disciplinata: erano banditi del mare, più interessati a fare razzie e prendere prigionieri che a concetti come onore e vittoria. Ma non quella volta. Si inerpicarono sui corpi dei compagni caduti e continuarono a caricare. Correvano più velocemente e con più impeto di qualsiasi forza d’assalto l’ufficiale avesse mai visto; era quasi come se fossero accecati dalla furia…
L’ufficiale al comando fissò la scena, incapace di credere ai suoi occhi. La marea umana che li stava per travolgere era composta da uomini e donne, alcune di loro tenevano in braccio neonati e bambini. La maggior parte delle persone non indossava armature e non impugnava armi. Anziché una ciurma di pirati in preda alla foga dell’assalto, quella era un’orda di sfollati disperati che scappavano da un terrore innominabile.
«Pietà! Pietà! Pietà!» gridavano.
Persino un veterano temprato da mille battaglie, alla vista di migliaia di uomini e donne che piangevano implorando misericordia, non sarebbe potuto rimanere impassibile. Le braccia degli arcieri allentarono la presa, e molti di loro smisero di tirare e volsero lo sguardo all’ufficiale in attesa di istruzioni.
Ma quello non stava più guardando i pirati. Alle spalle della massa di sfollati, dietro le loro navi abbandonate sulla spiaggia, incombeva all’orizzonte una muraglia di legno sopra la quale svettavano immense vele, nitide e bianche come la schiuma del mare.
Venti enormi navi, ciascuna alta quanto le torri di guardia di Pan e grande quanto una piccola cittadina, dondolavano tra le onde.
Il Principe Timu radunò i suoi consiglieri a Daye per discutere degli stranieri che erano sbarcati e avevano allestito un accampamento sulla costa settentrionale di Dasu. Fino ad allora, sembravano accontentarsi di restare nella loro città di tende sulla spiaggia.
«I pirati razziano le coste di Dasu e Rui ogni anno» disse Ra Olu, che era stato reggente di Daye per conto di Re Kado e in quel momento fungeva da primo ministro nell’amministrazione del Principe Timu. Portava i capelli lucidi in una tripla crocchia arrotolata con cura, e la costosa veste in seta gialla si abbinava bene alla carnagione scura. «Sono uomini disperati, senza scrupoli, ma non mancano di coraggio. Eppure, questi sconosciuti li hanno spaventati e hanno spezzato il loro spirito combattivo a tal punto che sono disposti a consegnarsi alla mercé dell’imperatore. Che genere di mostri saranno mai questi? Dovremmo attaccare immediatamente.»
«Al contrario» disse Zato Ruthi, il vecchio insegnante del principe e suo attuale consigliere. «Non si può dire che i pirati possiedano autentico coraggio, poiché sono privi di morale. Le storie che raccontano su questi sconosciuti sono confuse, contraddittorie, e non bisogna prestare loro fede. Serpenti che sputano fuoco? Morte che piove dal cielo? Suonano come i vaniloqui febbrili di un pazzo.
«Se anche avessero attaccato i pirati, forse sono stati questi a provocare per primi gli stranieri, e tutti gli uomini civilizzati che viaggiano per mare provano un’avversione naturale per la pirateria. Le imbarcazioni corrispondono alla descrizione delle navi-città della leggendaria flotta dell’Imperatore Mapidéré. Che siano forse gli emissari degli immortali venuti da oltremare? Non dovremmo porci nei loro confronti come aggressori.»
«Se sono davvero degli ospiti immortali riportati indietro dalla flotta del vecchio imperatore» replicò Ra Olu, «non credete che a questo punto avremmo visto un anziano cortigiano del tempo di Mapidéré emergere fra le tende?»
«È possibile che gli uomini di Mapidéré e gli immortali stiano aspettando che noi ci comportiamo da degni padroni di casa e ci scusiamo per lo spettacolo volgare offerto dai pirati, un’accoglienza ben poco appropriata per dare loro il benvenuto alle porte di Dara.»
«Se anche non volete credere alle parole dei pirati, che restano pur sempre degli uomini di Dara, per quale motivo dovremmo presupporre che gli stranieri abbiano intenzioni amichevoli?» ribatté Ra Olu esasperato.
«Perché i pirati hanno dato prova nel tempo di essere criminali sregolati, mossi soltanto dalla cupidigia, mentre noi non sappiamo niente di questi stranieri. Come diceva Kon Fiji, “abbraccia lo straniero che arriva dal mare, e lo straniero abbraccerà te”.»
«Dubito che Kon Fiji avesse in mente stranieri in grado di far tremare come foglie d’autunno dei crudeli pirati. Dovremmo chiedere subito rinforzi da Rui e dall’imperatore stesso.»
«L’imperatore è impegnato a sedare una ribellione e non dovremmo distrarlo in mancanza di ulteriori indizi di pericolo» disse Ruthi. «Se il Principe Timu corresse subito a chiedere aiuto al padre, apparirebbe come un bambino non ancora cresciuto.»
Quell’ultima argomentazione convinse Timu. «La cosa migliore è cercare di scoprire qualcosa in più sul loro conto, prima di reagire in maniera eccessiva. Maestro Ruthi, ci fareste da emissario presso gli stranieri?» Vedendo che Ra Olu stava per obiettare, il principe aggiunse subito: «Ma è buona cosa prendere anche delle precauzioni ragionevoli. Chiederò che ci mandino una flotta di aeronavi dalla base aerea Imperiale di Rui, per fare da scorta. Se gli stranieri sono amichevoli, vedranno le navi come un segno della nostra stima per la loro visita. E, se invece sono ostili, saremo già preparati allo scontro».
Venti grandi aeronavi stazionavano sopra la collina affacciata sulla spiaggia. Misuravano circa cinquanta metri di lunghezza, con scafi simili nella forma a snelli delfini. Non erano le navi più imponenti della flotta, le quali, secondo i progetti del tempo dell’Imperatore Mapidéré, tendevano ad avvicinarsi ai cento metri di lunghezza, ma erano modelli più recenti e veloci, nonché assai più convenienti per la Tesoreria Imperiale.
Sotto di esse, una guardia d’onore di duemila uomini si era disposta sulle pendici della collina. Fulgidi esempi della forza marziale di Dara, i soldati stavano immobili e muti, le armature che scintillavano al sole e le lance brillanti alzate al cielo come una foresta di bambù. L’unico suono che poteva udirsi era quello dei mantelli da guerra cremisi degli ufficiali in sella ai cavalli, che schioccavano al vento.
Alle spalle delle falangi, centinaia di lussuosi carri erano parcheggiati in equilibrio precario sulla cima della collina. Negli spazi vuoti tra un carro e l’altro erano state erette tettoie provvisorie e piattaforme panoramiche, realizzate in bambù e seta. Molte delle famiglie nobili e facoltose di Daye erano venute ad assistere a quella scena storica: i rappresentanti del Principe Timu stavano per entrare in contatto con gli immortali venuti da oltremare.
«Credi che gli immortali siano in cerca di mogli?»
«Ah! Stai forse pensando di ingaggiare un sensale di matrimoni?»
«Oh, io sono a posto con i miei pretendenti, tante grazie. Ma, visto che a Dasu non c’è nessun ragazzo che ti sembri alla tua altezza, magari soltanto un immortale da oltreoceano sarà in grado di soddisfarti, sia dentro sia fuori dal letto… ahia! Smettila di pizzicarmi!»
«Non so se sposerei uno di loro… ma sarebbe divertente andare a letto con un immortale, una volta. E magari potrei imparare il loro segreto e diventare anch’io un’immortale, no? Non sarebbe bello?»
«Credi che agli immortali puzzi l’alito al mattino?»
Quegli uomini e quelle donne viziati consideravano lo spettacolo come se fosse un giorno di festa. I presenti vibravano di entusiasmo mentre sedevano su comodi cuscini sotto i tetti di seta traslucidi, sgranocchiando stuzzichini e sorseggiando tè, osservando e commentando le tende bianche coniche che affollavano la spiaggia come un tappeto di conchiglie, e che apparivano minuscole al cospetto delle immense navi dietro di loro.
Quando avvistavano per caso uno degli stranieri che camminava per l’accampamento, esplodevano in grida e risolini. I nobili di basso rango immaginavano di farsi amici gli immortali e sfruttarli per elevare la propria condizione sociale. I facoltosi proprietari terrieri progettavano di vendere agli immortali piccoli appezzamenti a prezzi gonfiati e di convincerli ad abbandonare le tende in favore di case lussuose. I mercanti guardavano in lontananza le grandi navi che s’innalzavano e si abbassavano mosse dalle onde, formulavano congetture su quali merci trasportassero e facevano scommesse su quali generi di beni gli immortali avrebbero più apprezzato.
Quello era l’Anno del Cruben, dopotutto, un tempo in cui si diceva che il mare fosse particolarmente prodigo di tesori e opportunità.
Alle spalle di ricchi e nobili, i poveri abitanti del villaggio che erano stati sfrattati dalle loro case in seguito all’arrivo degli stranieri osservavano la scena con umore ben più cupo e ansioso. L’unica cosa che interessava loro era quando avrebbero potuto tornare nei campi e ricominciare con la vita di tutti i giorni. Non osavano abbozzare alcuna visione speranzosa per il futuro legata all’arrivo degli immortali… se erano davvero tali. A Dara, ogni volta che le cose cambiavano, sembrava che ricchi e potenti ne cogliessero i frutti e si lasciassero dietro soltanto gli avanzi.
In tutta calma, Zato Ruthi si stava dirigendo verso l’accampamento degli stranieri in groppa a un cavallo dal mantello candido. Era scorta...