Brannagh fece scorrere le dita tra i capelli dorati di Ianthe, schioccando la lingua davanti alla vista della poltiglia insanguinata che teneva in grembo. «Vai da qualche parte, Feyre?»
Gettai la maschera.
«Sì, ho da fare» risposi ai reali di Hybern mentre notavo che, facendo finta di niente, mi si stavano mettendo ai fianchi.
«Che cos’hai di più importante da fare che assisterci? Dopotutto hai giurato di aiutare il nostro re.»
Tempo... prendevano tempo in attesa che Tamlin tornasse dalla caccia con Jurian.
Lucien si staccò dall’albero, ma non venne al mio fianco. Sul suo viso comparve un’espressione tormentata quando finalmente vide la bandoliera rubata e lo zaino sulle mie spalle.
«Non ho giurato fedeltà a voi» dissi a Brannagh, mentre Dagdan si spostava fuori dalla mia visuale. «Sono una persona libera e posso andare dove voglio quando voglio.»
«Davvero?» commentò Brannagh mentre faceva scivolare una mano verso la spada sul fianco.
Mi voltai leggermente perché Dagdan non uscisse dal mio campo visivo.
«Hai tramato con cura in queste settimane, come una vera esperta. A quanto pare però non hai pensato che noi potessimo fare altrettanto.»
Non avrebbero permesso che Lucien lasciasse quella radura vivo. O almeno con la mente intatta.
Lui sembrò rendersene conto nello stesso momento; capì che non avrebbero fatto quella rivelazione se non avessero pensato di potersela cavare.
«Prendete la Corte della Primavera» dissi, ed ero sincera. «In un modo o nell’altro, è destinata a cadere.»
Lucien ringhiò. Lo ignorai.
«Oh, certo che la prenderemo» rispose Brannagh, mentre la sua spada usciva lentamente dal fodero nero. «Ma tu sei sempre un problema.»
Aprii il fodero di due dei coltelli Illyrian.
«Non ti sei domandata il perché di quei mal di testa? O perché le comunicazioni attraverso l’Unione sembravano attutite?»
I miei poteri si indebolivano così rapidamente, avevano perso sempre più forza nelle ultime settimane...
Dagdan sbuffò e alla fine disse alla sorella: «Le do ancora dieci minuti prima che la mela faccia effetto».
Brannagh ridacchiò e colpì con la punta dello stivale la fascia di pietra azzurra. «Abbiamo dato la polvere alla sacerdotessa. La Polvere del Tormento, macinata così finemente che non si vedeva, né se ne sentiva l’odore o il sapore nel vostro cibo. Ve l’ha data poco per volta, per non destare sospetti: mai molta, o avrebbe annullato tutti i vostri poteri all’istante.»
Mi sentii torcere le viscere.
«Siamo daemati da mille anni, ragazza» sogghignò Dagdan. «Ma non abbiamo neanche dovuto infiltrarci nella sua mente per indurla a obbedire. Invece tu... che impresa valorosa tentare di proteggerli da noi con uno scudo!»
Dagdan cercò di entrare nella mente di Lucien, e fu come se scoccasse una specie di freccia nera. Frapposi fulminea uno scudo tra loro. Sentii dolermi la testa... persino le ossa...
«Quale mela?» proruppi.
«Quella che hai divorato un’ora fa» rispose Brannagh. «Il frutto di un albero piantato e coltivato nel giardino personale del re, innaffiato con acqua e Polvere del Tormento. Basterà ad annullare i tuoi poteri per qualche giorno, senza bisogno delle manette di pietra azzurra. E tu che pensavi che nessuno si fosse accorto dei tuoi progetti di fuga...» Schioccò di nuovo la lingua. «Nostro zio sarebbe molto dispiaciuto se te lo permettessimo.»
Il tempo che mi restava si stava esaurendo. Potevo trasmutare, ma avrei abbandonato Lucien in balia di quei due, se la Polvere del Tormento assunta con il cibo all’accampamento gli avesse impedito di fare altrettanto...
Lasciarlo lì. Avrei dovuto e potuto lasciarlo lì.
Abbandonarlo a un destino forse peggiore della morte...
L’occhio color ruggine ebbe un bagliore. «Vai.»
Feci la mia scelta.
Esplosi in una nuvola di notte, fumo e ombra.
E a Dagdan non bastarono i suoi mille anni di esperienza quando trasmutai davanti a lui e lo colpii.
Affondai il pugnale nel pettorale della corazza di cuoio, non tanto a fondo da ucciderlo e, mentre l’acciaio si incastrava nelle lastre dell’armatura, lui si girò con abilità , costringendomi a scoprire il fianco destro o a lasciare il coltello...
Trasmutai ancora. Quella volta Dagdan venne con me.
Non stavo combattendo contro gli scagnozzi di Hybern sorpresi nel bosco. E neanche contro l’Attor e i suoi simili nelle strade di Velaris. Dagdan era un principe di Hybern... un comandante.
E combatteva come tale.
Trasmutazione. Colpo. Trasmutazione. Colpo.
Eravamo un turbine nero di acciaio e ombra nella radura; i mesi di addestramento brutale con Cassian diedero i loro frutti, perché mantenni un equilibrio perfetto.
Avevo la vaga impressione che Lucien mi stesse osservando a bocca aperta. Persino Brannagh era sorpresa dalla mia abilità nel contrastare il fratello.
I colpi di Dagdan, però, non erano forti... erano precisi e rapidi, ma non impiegava tutta la sua potenza.
Stava prendendo tempo. Mi stava stancando in attesa che il mio corpo assorbisse la mela e il suo potere mi rendesse quasi mortale.
Allora colpii il suo punto più debole.
Brannagh urlò quando venne investita da un muro di fuoco.
Dagdan perse la concentrazione per un istante. Il suo ruggito, quando gli squarciai l’addome, fece volare via gli uccelli dagli alberi.
«Puttanella» sbottò, indietreggiando dopo il mio colpo successivo mentre il fuoco spariva e lasciava vedere Brannagh in ginocchio. Non aveva innalzato uno scudo fisico resistente, credendo che avrei attaccato la sua mente.
Sussultava e respirava a fatica per la sofferenza. L’odore della pelle bruciata giunse sino a noi, direttamente dal suo braccio destro, dalle costole, dalla coscia.
Dagdan si lanciò di nuovo su di me, e io sollevai entrambi i pugnali contro la sua spada.
Quella volta il colpo fu forte.
Lo sentii riverberare in ogni punto del mio corpo.
Percepii anche un silenzio opprimente e sempre più intenso. Avevo già avvertito quella sensazione... quel giorno a Hybern.
Brannagh scattò in piedi con un urlo acuto.
Ma Lucien era lì.
La principessa era concentrata su di me, perché voleva sottrarmi la bellezza che le avevo tolto con il fuoco. Si accorse di Lucien che trasmutava solo quando fu troppo tardi.
Solo quando la spada di Lucien rifletté la luce del sole che filtrava tra gli alberi, prima di affondarle nella carne e nelle ossa.
Una scossa attraversò la radura, come se un filo tra i due gemelli fosse stato reciso, quando la testa scura di Brannagh cadde sull’erba con un tonfo.
Dagdan gridò e si avventò su Lucien, trasmutando attraverso i quindici piedi che ci separavano.
Lucien aveva appena sollevato la spada dal collo mozzato di Brannagh quando si ritrovò davanti Dagdan, che si avventava verso la sua gola.
Ebbe appena il tempo di indietreggiare per evitare la lama. E io il tempo per fermarla.
Il principe sgranò gli occhi quando trasmutai tra loro; con un coltello parai e spinsi da una parte la spada... poi gli conficcai l’altro pugnale in un occhio. E lo affondai nel cranio.
Ossa e sangue e tessuti molli stridettero e scivolarono lungo la lama; la bocca di Dagdan era ancora spalancata per lo stupore quando estrassi il pugnale.
Lasciai che cadesse sopra la sorella. L’unico rumore che si udì fu il tonfo della carne sulla carne.
Guardai appena Ianthe mentre i miei poteri svanivano e un dolore tremendo mi attanagliava le viscere, e le impartii un ultimo ordine che rettificava i precedenti. «Dirai che li ho uccisi io. Per autodifesa. Dopo che mi hanno ferita gravemente, mentre tu e Tamlin non facevate nulla per impedirlo. Anche quando ti tortureranno per sapere la verità , dirai che sono scappata dopo averli ammazzati, per salvare questa corte dai loro orrori.»
L’unica risposta fu uno sguardo vuoto, assente.
«Feyre.»
La voce di Lucien era roca.
Pulii i miei due coltelli sulla schiena di Dagdan e poi andai a riprendere lo zaino caduto a terra.
«Stai tornando là . Alla Corte della Notte.»
Misi in spalla lo zaino pesante e finalmente lo guardai. «Sì.»
Il suo viso abbronzato era pallido. Ma era sopravvissuto a Ianthe, ai due reali morti. «Vengo con te.»
«No» mi limitai a rispondere, dirigendomi verso il bosco.
Avvertii un crampo nelle profondità del ventre. Dovevo andarmene... dovevo usare i poteri che mi rimanevano per trasmutare fino alle colline.
«Non ce la farai senza la magia» mi avvertì.
Digrignai i denti per la fitta acuta di dolore all’addome e radunai tutte le mie forze per trasmutare fino alle colline lontane. Ma Lucien mi afferrò il braccio e mi fermò.
«Vengo con te» insistette; il sangue che gli macchiava il viso brillava come i suoi capelli. «A riprendermi la mia Metà .»
Non c’era tempo per discutere. Per la verità e i dibattiti e le risposte che desiderava disperatamente.
Tamlin e gli altri ormai dovevano avere già sentito le grida.
«Non farmene pentire» gli dissi.
Quando, ore dopo, arrivammo alle colline, avevo la bocca impastata di sangue.
Ansimavo, la testa mi pulsava, lo stomaco si torceva dolorante.
Lucien non stava molto meglio, e il suo potere di trasmutazione era stato fiacco quanto il mio prima che ci fermassimo tra il verde delle colline; allora si piegò in due e appoggiò le mani sulle ginocchia. «È sparita...» disse ansimando. «La mia magia... non ce n’è più traccia. Devono averci drogati tutti, oggi.»
E a me avevano dato la mela avvelenata, per essere sicuri di tenermi a bada.
Il mio potere mi stava abbandonando come la risacca di un’onda che si allontana dalla spiaggia. Ma quell’onda non tornava. Continuava a spingersi sempre più verso il nulla.
Guardai il sole, ormai a un palmo dall’orizzonte; le ombre erano già dense e fitte tra le colline. Cercai di orientarmi, basandomi sulle conoscenze accumulate in quelle settimane.
Mi incamminai verso nord, barcollando. Lucien mi afferrò il braccio. «Userai una porta?»
Puntai verso di lui gli occhi doloranti. «Sì.» Le caverne – loro le chiamavano porte – conducevano ad altre parti di Prythian. Ne avevo attraversata una che mi aveva portata dritta al Regno Sotto la Montagna. E or...